In questi giorni è nei cinema italiani Escobar – Il fascino del male, il cui successo è certo sostenuto dai due protagonisti, Javier Bardem e Penélope Cruz, due bravissimi attori, ma anche due personaggi assolutamente glamour, da copertina. Non ho visto il film, questa definizione non vuole essere una recensione, ma – come quasi sempre mi succede – il pretesto per raccontare qualcos’altro. So che Pablo Escobar è già stato raccontato in un film e soprattutto in una fortunata serie televisiva, Narcos, giunta alla terza stagione. Il trafficante colombiano è un “cattivo” di questi anni, uno dei peggiori probabilmente, è giusto che l’arte lo racconti. Lo ha sempre fatto e lo farà sempre.
Il mondo è terribilmente complicato. Il cattivo non è più quello dei film americani in bianco e nero, in cui ti accorgevi subito chi era il cattivo, perché aveva la “faccia” del cattivo. Anzi lo sapevi dai titoli di testa, perché in quei film spesso il cattivo era Basil Rathbone, che fu anche il più famoso Sherlock Holmes del grande schermo. E per tutto il film il cattivo faceva il cattivo, fino a che non moriva o comunque era messo in condizione di non commettere più del male. Noi sappiamo – anche a nostre spese, talvolta – che quello che ti fa davvero del male è uno che all’inizio non sembra pericoloso. E sappiamo anche che nessuno di noi è sempre uguale, ma che ci sono momenti, occasioni, fasi della vita, in cui siamo migliori – o come vorremmo essere – e altri in cui siamo peggiori – o come non vorremmo essere. E ci sono motivi per cui siamo davvero crudeli, a volte ci serviamo di questi motivi come un alibi, ma talvolta capire perché qualcuno è diventato così è molto utile: magari per non diventare noi allo stesso modo o per impedire che altri lo diventino.
Ma cosa succede quando l’eroe di una storia è un personaggio negativo e magari è interpretato da qualcuno che normalmente ammiriamo? Quanto è pericoloso il fascino che esercita su di noi?
Il significato etimologico di fascino è abbastanza diverso dal valore che noi diamo a questa parola in italiano. Avere fascino è una dote, che invidiamo a chi ce l’ha o che ci illudiamo di avere, e che troppo spesso banalizziamo e riduciamo alla bellezza. In latino fascinum ha invece un significato negativo, richiamando anche un termine greco con la stessa radice: è un influsso malefico, che si esercita per lo più attraverso le parole – la radice infatti è la stessa che ritroviamo nelle lingue antiche in verbi che significano direparlare – è una sorta di incantesimo, che può condurre alla rovina, e perfino alla morte. Il fascino quindi è qualcosa da maneggiare con cura, specialmente quando lo racconti, quando lo rappresenti.
Ovviamente non credo che il film di Leòn de Aranoa spinga le persone a diventare narcotrafficanti, così come c’era qualche imbecille che voleva censurare Gomorra perché avrebbe istigato alla violenza camorrista. Ma certamente guardare un film o una serie incentrati su un personaggio negativo, totalmente negativo – come in questo caso, un uomo che ha passato la vita a uccidere e che è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo sulla sofferenza di milioni di persone che acquistavano la sua droga – dovrebbe porre delle domande, domande a cui forse non sappiamo più dare risposta. E questo credo sia il problema.
Se avessi un figlio certamente gli permetterei di guardare Narcos, non avrei paura che andasse al cinema a vedere un film su Pablo Escobar. Ma con altrettanta certezza sarei davvero preoccupato per il clima di impunita violenza in cui starebbe crescendo, in cui stanno crescendo i vostri figli, in cui viviamo tutti i giorni. Sarei preoccupato di farlo crescere in una società in cui non esiste più il senso di responsabilità, in cui se uno è più debole deve in qualche modo rassegnarsi e adattarsi, mentre quando è forte può fare quello che vuole, in cui, specialmente se fosse una ragazza, sarebbe più importante il suo aspetto rispetto alla sua intelligenza. Sarei preoccupato perché in questa ignorante meschineria in cui galleggiamo farebbe molta fatica a difendersi dal fascino, specialmente da quello del male, anche perché non mi pare che ci sia il rischio che incontri sulla sua strada quello del bene, dell’impegno, della solidarietà. Rischiamo che Pablo Escobar sia l’unico eroe che incontra, perché non sappiamo offrirne altri.

 

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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