Con il nuovo governo M5 Stelle-Lega il ‘populismo all’italiana’ sembra arrivato al potere. Non è così. La Lega ha governato per nove anni con Berlusconi votando ogni politica neoliberista che ha favorito finanza, imprese e modello di integrazione europea che ora critica.
I 5 Stelle sono pronti a scendere a compromessi su tutto con chiunque – Washington, Bruxelles, imprese, finanza, militari – pur di avere il loro turno al potere, sapendo che il loro grande consenso è nel migliore dei casi temporaneo. Il risultato è che – retorica a parte – il programma di governo è dominato da politiche neoliberali a favore dei ricchi e delle imprese, con una verniciata di populismo: dure misure contro i migranti e piccole mance ai più poveri. Potremmo chiamarla ‘politica lib-pop’.
Il vincitore di questa fase politica è il capo della Lega, Matteo Salvini, che ha trasformato la Lega da partito ‘separatista’ del Nord in un partito nazionalista e reazionario sul modello del Front National francese. Ha quadruplicato i voti della Lega (nel 2013 erano il 4%) e nel Nord ha oltre un terzo dei voti; soprattutto è diventato il leader di una coalizione di centro-destra (superando il 14% di Forza Italia) che a marzo ha avuto il 37% dei voti ed è vicina a una maggioranza dei seggi alle prossime elezioni.
Salvini ha tenuto insieme la coalizione – nonostante i litigi – e ha avuto il via libera per il governo dai partner di centro-destra che hanno promesso un’opposizione morbida e il sostegno parlamentare per le (molte) politiche su cui saranno d’accordo. Salvini è così nella posizione di guidare dall’estrema destra una larga coalizione di centro-destra che comprende i moderati e l’élite; una situazione inedita in Europa.
La crescita politica di Salvini si è rafforzata con le elezioni in Valle d’Aosta di domenica scorsa, in Molise e in Friuli di un mese fa. I sondaggi confermano l’immagine di una Lega in crescita e un sostegno stabile per il partito di Luigi Di Maio; quando il consenso ai 5 Stelle si indebolisce – come per le periferie di Roma e Torino, governate dai 5 Stelle – la Lega riesce a intercettare gran parte dei loro elettori delusi. Lo scenario politico vede così Matteo Salvini probabile vincitore di una maggioranza assoluta dei seggi per il centro-destra alle prossime elezioni, dando così a Salvini una posizione di forza nelle trattative di governo. Infine, la capacità egemonica della Lega viene anche dalla sua capacità di unire gestione del potere e voto di protesta: è stata a lungo al potere in tutti i governi Berlusconi e guida molte regioni-chiave, ma non è percepita come responsabile della crisi attuale. Allo stesso tempo, la Lega cavalca la protesta sociale con la sua retorica contro l’Europa, le tasse, la burocrazia e i migranti.
Tra le cinque stelle del movimento fondato da Beppe Grillo manca ancora una ‘stella polare’ che ne caratterizzi il progetto politico; l’unica priorità sembra ora la rivendicazione del potere, indipendentemente dal tipo di alleanza e programma. L’anti-corruzione e la democrazia dal basso sono poco più di un rumore di fondo; il 94% dei sostenitori dei 5 Stelle ha approvato il programma di governo in una consultazione elettronica tenuta in un pomeriggio; le decisioni dall’alto su priorità lontane dai temi tradizionali dei 5 Stelle non sono state messe in discussione dalla base; solo il ‘candidato a ministro del lavoro’ Pasquale Tridico si è ‘dimesso’ dopo l’annuncio del programma. La difficile ricerca di un Presidente del consiglio diverso da Luigi Di Maio riflette la fragilità di una gestione dall’alto del movimento che impedisce l’emergere di un più ampio gruppo dirigente.
La debolezza di fondo dei 5 Stelle è nella loro stessa visione ‘post-ideologica’; con la ‘casta’ come nemico principale e l’illusione di superare la divisione destra-sinistra, sembra che non abbiano ancora imparato come usare il potere politico per affrontare interessi di classe contrastanti e come costruire politiche capaci di sostenere il loro consenso elettorale. Al contrario, la Lega ha rafforzato le sue radici ideologiche di destra, dando ai suoi elettori forte identità e visione del mondo. Nessuna sorpresa quindi che molti tra gli italiani più poveri – classe operaia e senza lavoro nel Mezzogiorno – dopo aver scelto i 5 Stelle come anti-sistema, finiscano per votare Lega.
L’asimmetria tra una Lega con priorità chiare – in termini di classe e nazione – e i 5 Stelle con l’unica preoccupazione di arrivare a un accordo, ha prodotto un programma di governo che comprende alcuni temi generali dei 5 Stelle – anti-corruzione, legalità e reddito minimo – e molte misure concrete volute dalla Lega – su tasse e migranti soprattutto. Le richieste di rinegoziare i trattati europei e tornare alla sovranità nazionale in alcuni ambiti sono abbastanza rumorose per aprire uno scontro retorico con Bruxelles – e avere molta attenzione mediatica – ma hanno finora poco contenuto concreto.
La misura più importante che verrà introdotta dal nuovo governo è la versione italiana della ‘flat tax’; persone e imprese pagheranno un’imposta sul reddito del 15 o del 20%, contro l’attuale 43% per la fascia di reddito più alta. Nel programma si dichiara che non verrà introdotta alcuna imposta sul patrimonio (l’Italia è stata spesso criticata dall’Ue per aver abolito le tasse immobiliari sulla prima casa). I controlli fiscali su piccole imprese e lavoratori autonomi saranno ridimensionati, legalizzando in sostanza l’evasione fiscale per un gran numero di elettori di centro-destra con redditi medio-alti. Per la finanza e le banche non verrà introdotto alcun controllo o limite alle loro attività. Tutto questo farà dell’Italia un paradiso fiscale per le imprese, in competizione con l’Irlanda nella ‘rincorsa verso il basso’ a chi riduce più le tasse. Un ‘neoliberismo da sogno’ che, in pratica, offrirà un po’ di margini di sopravvivenza alle piccole imprese italiane drammaticamente colpite da un decennio di crisi, ma che non ha prospettive di sviluppo. Con questo programma, il trasferimento di reddito al 20% più ricco degli italiani sarà enorme, con i ricchissimi a beneficiarne di più. Berlusconi non sarebbe mai stato in grado, con le sue maggioranze precedenti, di introdurre un programma così favorevole ai più ricchi e alle imprese.
Queste misure sono le più facili da realizzare: riducono semplicemente la redistribuzione attraverso l’azione dello stato, ‘lasciando fare’ al mercato – e aprendo una falla enorme nei conti pubblici. Costosa, ma in una direzione ragionevole, è invece la correzione di rotta sulle pensioni. Più difficile è l’attuazione dell’unica misura ‘a favore dei poveri’, cavallo di battaglia dei 5 Stelle, il ‘reddito di cittadinanza’. Nel programma è ridotto ad un sostegno al reddito di 780 euro al mese per un massimo di due anni per gli italiani disoccupati (nessun residente con cittadinanza straniera potrà ottenerlo) pronti ad accettare qualsiasi offerta di lavoro; nessuna cifra sui potenziali beneficiari e sui finanziamenti necessari per la sua attuazione è fornita dal programma.
Ma il successo più oscuro della Lega nel programma di governo è il capitolo sui migranti, che prevede di bloccare i flussi di rifugiati, cambiamenti nelle norme europee su asilo e libera circolazione e propone il rimpatrio dei 500 mila immigrati con status irregolare ora presenti in Italia. Insieme alle altre misure su legittima difesa, legge e ordine, queste politiche offrono una risposta all’‘effetto paura’ che sta dietro alla crescita del voto della Lega. In parallelo, il voto ai 5 Stelle si basava su un ‘effetto povertà’, specialmente al Sud. La tragedia è che gli italiani più poveri hanno votato in modo larghissimo per due forze politiche che, al governo, faranno i regali più grossi ai più ricchi e alle imprese. Peggio ancora, questa ‘politica lib-pop’ potrebbe essere l’anticipazione di un futuro politico all’insegna della destra più estrema.