Di Jonathan Cook
I recenti passi dell’Amministrazione Trump nel conflitto israelo-palestinese dovrebbero sicuramente mettere a tacere qualsiasi dubbio sull’enorme e pericoloso potere della lobby di Israele a Washington.
Con Trump, la lobby ha dimostrato di poter esercitare un’influenza senza precedenti – anche secondo i suoi soliti standard – con palese inosservanza di tutti gli evidenti interessi degli Stati Uniti.
Primo, il 14 maggio di quest’anno, c’è stato il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme, non tranquillamente ma nel 70° anniversario del giorno più doloroso nel calendario palestinese, il Giorno della Nakba (catastrofe), in cui palestinesi commemorano la loro espulsione in massa dalla loro patria, nel 1948.
Trasferendo l’ambasciata, Trump ha dato la benedizione ufficiale alla rottura del processo di pace durato 25 anni e, avendo scelto il Giorno della Nakba per lo spostamento, ha fatto ricordare ai palestinesi e, per estensione, al mondo arabo, la loro sconfitta.
La Casa Bianca ha poi aggravato l’offesa, elogiando i cecchini israeliani che hanno massacrato molti palestinesi disarmati che lo stesso giorno protestavano alla barriera di confine di Gaza. Una serie di dichiarazioni rilasciate dalla Casa Bianca le avrebbe potute scrivere lo stesso primo ministro israeliano di estrema destra, Benjamin Netanyahu.
All’ONU, gli Stati Uniti hanno bloccato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che chiedeva che si facesse un’indagine sul massacro, mentre Nikki Haley, inviata di Trump all’ONU faceva osservare ai colleghi delegati. “Nessun paese avrebbe agito con maggior moderazione di quella usata da Israele.”
Nessuna di queste mosse è stata di aiuto ad alcun ovvio interesse nazionale degli Stati Uniti, né lo è stata la decisione di Trump della settimana precedente, di strappare l’accordo nucleare con l’Iran del 2015 che è stato per lungo tempo insultato dal governo israeliano.
Invece, proprio il contrario: queste azioni rischiano di infiammare tensioni a l punto di una guerra regionale che potrebbe rapidamente tirare dentro le potenze maggiori, o provocare attacchi terroristici sul suolo americano.
Un muro di silenzio
Si dovrebbe ricordare che venti anni fa era impossibile soltanto nominare l’esistenza di una lobby israeliana a Washington senza essere etichettati come antisemiti.
Paradossalmente, i sostenitori di Israele hanno esercitato proprio quel potere che negavano esistesse, costringendo alla sottomissione i critici, insistendo che qualsiasi
voce di una lobby di Israele dipende da tropi antisemiti del potere ebraico.
Il muro di silenzio è stato infranto soltanto con la pubblicazione di un saggio fondamentale del 2006 – in seguito trasformato in libro, (The Israel Lobby) di due preminenti accademici statunitensi, John Mearsheimer and Stephen Walt.
Ma come segnale dell’immenso peso della lobby, anche quando veniva portata alla luce, i due autori non sono stati in grado di trovare un editore negli Stati Uniti. Invece il libro ha trovato la sua al di là dell’Atlantico, nella prestigiosa, anche se poco nota London Review of Books. Uno dei due autori, Stephen Walt, ha pubblicamente ammesso che in conseguenza del saggio la sua carriera ha sofferto.
Da allora, ha iniziato a esserci un poco di interesse sull’argomento. Perfino l’editorialista del New York Times, Thomas Friedman, un difensore fedele di Israele, ha ammesso l’esistenza della lobby.
Nel 2011, Friedman ha spiegato un rituale ben consolidato, anche se sorprendente, della politica statunitense: il Congresso saluta ogni primo ministro israeliano in visita in maniera più entusiasta che il presidente americano stesso.
Friedman ha osservato: “Spero davvero che il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, capisca che la standing ovation che ha avuto al Congresso quest’anno non sia stata motivata dalla sua politica. Quell’ovazione è stata comprata e pagata dalla lobby di Israele.
Intimidire il Congresso
Friedman alludeva alla rete di organizzazioni della leadership ebraica e dei comitati di azione politica negli Stati Uniti, tutti favorevoli a Israele, che, nel periodo elettorale, possono consegnare grosse somme di denaro a favore o contro i candidati del Congresso.
Non vuol dire che le organizzazioni pro-Israele controllano il Congresso. Significa che queste sono diventate esperte delle tecniche di intimidazione politica. Capiscono e sfruttano un sistema americano difettoso che ha permesso alle lobby e al loro denaro di dettare le agende della maggior parte dei legislatori degli Stati Uniti. I membri del Congresso sono vulnerabili come individui, non soltanto alla perdita delle donazioni, ma anche a un rivale generosamente finanziato.
Nel caso di Trump, il principio “seguite il denaro” non poteva essere più chiaro. Nelle prime fasi della sua battaglia per diventare il candidato del Partito Repubblicano alla presidenza, quando la maggior parte delle persone ritenevano che non avesse alcuna possibilità e mentre lui si autofinanziava la campagna, era relativamente critico nei confronti di Israele.
Per quanto sia difficile da credere adesso, Trump aveva promesso di essere “neutrale” circa il problema Israele-Palestina; aveva espresso dubbi sul fatto che avesse senso dare ogni anno a Israele miliardi di dollari di aiuti militari; aveva appoggiato la soluzione dei due stati, e aveva rifiutato di impegnarsi a riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.
Tutto questo è stato buttato via nel momento in cui Trump ha avuto bisogni di grossi finanziatori per il suo tentativo di diventare presidente. La persona che determina le nomine nel Partito Repubblicano, è Sheldon Adelson, il miliardario dei casino e campione del tipo di politica israeliana ultra-nazionalista e anti-araba in cui Netanyahu eccelle.Ad Adelson piace così tanto Netanyahu che gli ha perfino comprato un giornale, l’Israel Hayom che Adelson ha fatto diventare il quotidiano con la maggior circolazione a Israele.
Alla fine Adelson ha sostenuto la campagna per l’elezione di Trump con la bellezza di 35 milioni di dollari. E’ stata la necessità dell’appoggio di Adelson che ha assicurato che Trump nominasse David Friedman, un benefattore da molto tempo degli insediamenti illegali ebraici in Cisgiordania, nella posizione presumibilmente non-partigiana, di ambasciatore degli Stati Uniti a Israele. Ed è stato Adelson che era tra gli ospiti d’onore all’apertura dell’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme il 14 maggio.
La fandonia dell’antisemitismo
Coloro che accusano chiunque sollevi il problema della lobby israeliana di anti-semitismo o capiscono male o intenzionalmente travisano quello che si sta affermando.
Nessuno, a parte a parte degli odiatori di Israele facilmente identificabili sta aggiornando i Protocolli degli Anziani di Sion di un secolo fa, una falsificazione tristemente nota fatta dai sostenitori dello zar russo che si ipotizza provasse che “gli Ebrei” cercavano di avere il dominio del mondo tramite il controllo delle banche e dei media.
Innanzitutto, l’argomento dell’esistenza di una lobby di Israele non si riferisce affatto agli Ebrei. Riguarda un paese, Israele e la sua influenza ingombrante sulle politiche degli Stati Uniti.
Altri paesi o gruppi di cittadini statunitensi cercano di esercitare un’influenza del genere o tramite lobby simili o con un sotterfugio.
Nessuno negherebbe che esiste una lobby a Cuba che ha contribuito a influenzare la politica statunitense cercando di rimuovere il leader rivoluzionario Fidel Castro. Inoltre, la maggior parte dei legislatori statunitensi attualmente schiumano di rabbia per quelli che considerano come sforzi della Russia di influenzare la politica americana a vantaggio di Mosca.
Perché dovremmo aspettarci che Israele sia diversa? Il problema non è se la lobby esiste, ma il motivo per cui il sistema politico degli Stati Uniti non sta facendo nulla per proteggersi dalla sua interferenza.
Se la presunta mano invisibile del leader russo Vladimir Putin negli Stati Uniti è una minaccia così grossa, perché non lo è anche Israele?
Cinque lobby in una sola
Invece di rivelare e affrontare la lobby di Israele, i presidenti degli Stati Uniti si sono, solitamente piegati alla sua volontà. Questo è stato fin troppo ovvio, per esempio, quando Barack Obama si è unito alla sua iniziale battaglia con Netanyahu per limitare l’espansione degli insediamenti ebraici illegali in Cisgiordania.
Con Trump, però, la lobby israeliana è arrivata a esercitare un potere insuperato perché ora è di gran lunga di più che soltanto una lobby. E’ un’idra con cinque teste, degna della mitologia greca, e soltanto una delle sue teste si collega direttamente a Israele o agli Ebrei americani organizzati.
Di fatto, il potere della lobby ora non deriva principalmente da Israele. Fin dall’elezione di Trump, la lobby di Israele è riuscita ad assorbire e a mobilitare altre quattro potenti lobby, e a un livello non visto prima. Queste sono: i Cristiani Evangelici, la destra alternativa, il complesso militare-industriale e la lobby dell’Arabia Saudita.
All’interno, la vittoria elettorale di Trump è dipesa dalla sua capacità di radunare al suo fianco due gruppi che sono profondamente devoti a Israele, anche se sono in gran parte indifferenti o attivamente ostili agli Ebrei che vivono là.
I leader della destra alternativa statunitense – un’ampia coalizione di suprematisti bianchi e di gruppi neo-nazisti – sono infatuati di Israele, ma generalmente non amano gli ebrei. Questa opinione è stata sintetizzata dal leader della destra alternativa che di definisce “un sionista bianco”.
In breve, la destra alternativa ha grande considerazione di Israele perché ha conservato un modello a lungo screditato di patria come fortezza razziale aggressiva.
Vogliono gli Stati Uniti riservati esclusivamente a una comunità “bianca” che è stata immaginata, proprio come Israele descrive se stesso come rappresentante di una comunità esclusivamente ebrea.
L’affidamento fatto da Trump sul voto della destra alternativa è stato evidenziato dalla nomina iniziale nella sua amministrazione di vari personaggi di primo piano, compresi Steve Bannon, Stephen Miller, Michael Flynn, Julia Hahn and Sebastian Gorka.
Adempiere la profezia divina
Ancora più significativo è stato, però, il ruolo degli Evangelici. Questo è il motivo per cui Mike Pence, in cristiano devoto, è stato scelto come candidato alla posizione di vice di Trump. La squadra del presidente ha capito che erano assicurati i voti di diecine di milioni di Americani se Trump assecondava i loro pregiudizi.
E fortunatamente per Netanyahu, il loro pregiudizio più entusiasta è l’appoggio fanatico a Israele – e non soltanto per Israele all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale, ma anche per la Più Grande Israele che comprende molti insediamenti ebraici illegali costruiti su terra palestinese.
I sionisti cristiani credono che gli ebrei debbano essere nella loro patria biblica per adempiere alla profezia divina e portare al Secondo Avvento del Messia.
E’ stato primariamente per il bene di questi Cristiani Sionisti che Trump ha spostato l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. Ed è stato questo il motivo per cui due pastori evangelici con una storia di antisemiti, John Hagee e Robert Jeffress sono stati invitati per offrire la loro benedizione alla cerimonia di inaugurazione.
Il motivo per cui Trump è in debito con gli evangelici è un motivo di preoccupazione riguardo alle sue politiche nella regione. I cristiani sionisti non hanno alcun interesse
per la correttezza, la giustizia o la legge internazionale. Sono, invece, preparati, a scatenare le tensioni in Medio Oriente, e anche a dare il via proprio ad Armageddon, se pensano che potrebbe essere di beneficio a Israele e a promuovere la profezia di Dio.
L’avvertimento di Eisenhower
Il complesso militare-industriale ha goduto di una influenza più lunga, anche se velata, sulla politica statunitense. Un ex generale dell’esercito americano, che divenne presidente, cioè Dwight Eisenhower, aveva avvertito della minaccia incombente posta da un settore delle imprese sempre più dominante che dipendeva dai profitti della guerra, nel 1961.
Da allora, il potere di queste aziende è aumentato e si è esteso esattamente nei modi che Eisenhower temeva. Questo ha soltanto aiutato Israele.
All’inizio degli anni ’80, Noam Chomsky, l’intellettuale americano dissidente, ha osservato, nel suo libro The Fateful Triangle, che Israele e gli Stati Uniti avevano concezioni diverse del Medio Oriente.
Allora gli Stati Uniti erano quello che Chomsky definiva “una potenza dello status quo” che era per lo più interessata a conservare l’ordine regionale esistente. Israele, d’altra parte, era impegnato nella destabilizzazione della regione – la sua Balcanizzazione – come strategia per estendere la propria egemonia sugli stati confinanti in lotta e divisi internamente.
Oggi non è difficile vedere quale visione del Medio Oriente prevaleva. Le industrie belliche con la sede negli Stati Uniti hanno fatto pressione per e hanno enormemente profittato di una infinita, globale “guerra al terrore” che ha bisogno dei loro costosi giocattoli che uccidono. L’Occidente è stato perfino in grado di commercializzare le sue guerre di aggressione contro altri stati sovrani come se fossero di natura “umanitaria”.
I benefici per le industrie militari possono essere misurate esaminando i profitti sempre crescenti di grandi fabbriche statunitensi di armi come la Lockheed Martin e la Raytheon nello scorso decennio.
Coltivare la paura
Israele non ha soltanto beneficiato dall’imposizione di sanzioni e dallo smembramento dei rivali regionali, come la Siria, l’Iraq e l’Iran, ma ha anche sfruttato l’occasione di rendersi indispensabile a queste industrie che traggono profitto dalla guerra.
E’ stato, per esempio, il cardine nello sviluppare e affinare nuovi modi per sfruttare la coltura della paura, soprattutto l’industria sempre più in espansione, della “difesa nazionale”.
Usando per la sperimentazione i territori palestinesi occupati, Israele si è specializzato nello sviluppare la sorveglianza e le tecnologie biometriche, metodi di controllo della folla letali e non letali, sistemi complessi di carcerazione, schedatura psicologica delle popolazioni assoggettate, e ridefinizioni altamente sospette della legge internazionale per abolire le misure esistenti sui crimini di guerra e sulle guerre di aggressione.
Questo si è dimostrato molto prezioso per le industrie militari che hanno cercato di trarre profitto da nuove guerre e occupazioni in tutto il Medio Oriente. Ha, però, anche dimostrato che la competenza di Israele è molto ricercata dalle élite politiche e della sicurezza degli Stati Uniti che desiderano pacificare e controllare popolazioni interne inquiete.
L’incoraggiamento di Israele riguardo alla destabilizzazione del Medio Oriente, ha rilanciato ha provocato negli Stati Uniti nuove minacce di proteste, di immigrazione, di terrorismo, per le quali Israele ha poi fornito soluzioni già pronte.
Israele ha contribuito a razionalizzare il militarismo delle forze di polizia negli Stati Uniti e altrove, e ha fornito l’addestramento. Ha anche presentato gradualmente e agli Stati Uniti e ad altri paesi occidentali il tipo di schedatura razziale e politica che è stat da tempo uno standard in Israele.
Questo è stato il motivo per cui il saggista Jeff Halper ha avvertito del pericolo che la “guerra al terrore” potrebbe alla fine trasformarci tutti in palestinesi.
Alleanza con l’Arabia Saudita
Forse, però, la spinta supplementare più significativa per il potere israeliano a Washington, è stata la sua recente alleanza con l’Arabia Saudita, a malapena nascosta.
Per decenni, la lobby del petrolio negli Stati Uniti era stata considerata come un contrappeso per la lobby israeliana. Questo è stato il motivo per cui i sostenitori di Israele hanno tradizionalmente oltraggiato il Dipartimento di Stato americano, che era considerato un avamposto arabista.
Non più. Trump, sempre uomo di affari, ha coltivato legami anche più forti con i Sauditi, sperando che le vendite di armi e di tecnologia faranno resuscitare l’economia degli Stati Uniti e le sue personali fortune politiche. Durante una visita del Principe della Corina Saudita Mohammad bin Salman negli Stati Uniti in marzo, Trump ha osservato: “L’Arabia Saudita è una nazione molto ricca e se tutto va bene darà agli Stati Uniti un poco di quella ricchezza, sotto forma di posti di lavoro, sotto from dell’acquisto dei migliori armamenti del mondo.”
Ma gli stretti legami di Washington con i Sauditi sono sempre di più una manna per Israele invece che un impedimento. I due hanno trovato una causa comune nella loro frenetica opposizione all’Iran e ai suoi alleati sciiti in Siria e in Libano e nella loro determinazione a impedire che essi guadagnino maggior potere nella regione.
Israele vuole un’egemonia militare in Medio Oriente che l’Iran potrebbe indebolire,
mentre Riyadh ha bisogno di un’egemonia ideologica e finanziaria che l’Iran sarebbe in grado di interrompere.
I palestinesi – l’unico argomento che continua formalmente a dividere Israele e l’Arabia Saudita – sono considerati sempre di più da Bin Salman come un pezzo degli scacchi che è pronto a sacrificare in cambio della distruzione dell’Iran.
Trump ha strappato l’accordo nucleare deciso da Obama con l’Iran con tale slancio provocatorio, perché i suoi due alleati in Medio Oriente gli hanno chiesto congiuntamente di farlo.
Le indicazioni sono che possa fare di peggio – perfino attaccare l’Iran – se la pressione da parte di Israele e dei Sauditi riuscirà a essere una massa critica.
E’ ora di avere un poco di umiltà
Tutte queste varie lobby hanno per lungo tempo esercitato un potere significativo a Washington, ma sono rimaste in gran parte separate. In anni recenti, i loro interessi sono arrivati a sovrapporsi in modo considerevole, rendendo Israele sempre più inattaccabile nella politica statunitense.
Con Trump, i loro programmi di azione si sono allineati in maniera così completa che questa lobby dalle molte teste ha catturato bene e collettivamente la presidenza riguardo ad argomenti che la riguardano moltissimo.
Questo non vuol dire che la lobby israeliana non affronterà sfide future. Stanno emergendo altre pressioni in reazione al potere inaffidabile della lobby di Israele, comprese voci progressiste nella politica statunitense che, per la prima volta interrompono la natura bipartisan di vecchia data del dibattito su Israele.
Il balzo inatteso di Bernie Sanders nella corsa alla candidatura Democratica per la presidenza, l’aumento del movimento internazionale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), l’alienazione crescente dei giovani ebrei americani da Israele, e la sempre maggior sui media sociali dei crimini di Israele, sono segnali di tendenze che sarà difficile per Israele contrastare o annullare.
Al momento Israele sta facendo a modo suo, ma la presunzione è una colpa dalla quale siamo stati messi in guardia fin dall’epoca degli antichi Greci. Israele potrebbe ancora arrivare a imparare un poco di umiltà a proprie spese.
Nelle foto; Jonathan Cook, autore dell’articolo.
Jonathan Cook, giornalista britannico di base a Nazareth fin dal 2001,è autore di tre libri sul conflitto Israelo-Palestininese. E’ stato vincitore del Premio Speciale Martha Gellhorn Special Prize per il giornalismo. Il suo sito web website il suo blog di possono trovare su: www.jonathan-cook.net
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/israel-lobby-is-a-hydra-with-many-heads
Originale: Middle East Eye
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0