In una giornata come quella di ieri, la memoria non può non tornare a Washington, in quel 1993 quando la stretta di mano tra Rabin e Arafat, leader israeliano e palestinese del tempo, venne definita storica. A Singapore ne abbiamo vista un’altra di strette di mano, tra due degli attuali protagonisti, nel bene e nel male, in proporzioni che lascio distribuire al lettore, della politica mondiale: il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong – Un. C’è da augurarsi che questa abbia un futuro migliore rispetto a quella di Washington. Israeliani e palestinesi continuano infatti a spararsi ed uccidersi, in barba al summit negli Stati Uniti e alla presunta storicità di quel momento. Ma veniamo a quel che è avvenuto nella scorsa notte – italiana – sull’isola di Singapore. E’ andato in scena un faccia a faccia di circa 40 minuti tra i due leader, equamente diviso tra diplomazia (forse troppo poca) e propaganda (fin troppa, da ambedue le parti), i quali hanno dunque dato atto ad una chiacchierata tra due potenze che non si incontravano ufficialmente da decenni. Il tema principale, a quanto si legge sulla stampa internazionale, sarebbe stato l’accordo di denuclearizzazione della porzione settentrionale della penisola coreana. In tal direzione sarebbe stato firmato un documento comune, nel quale Kim si impegna a lavorare per la “completa denuclearizzazione della penisola coreana” congiuntamente agli USA che, da parte loro, dichiarano di voler “costruire una pace duratura e stabile”.
Naturalmente, in tale intesa, si auspica inoltre l’avvio di nuove relazioni tra i due Paesi, per mezzo delle quali, pare essere sottointeso, gli Stati Uniti concederanno a Kim assicurazioni sulla sicurezza del suo Paese. Il leader nordcoreano è parso ottimista al temine dell’incontro, tanto che ha affermato di aver avuto un incontro storico – di nuovo questa parola – nel quale è stato deciso di lasciarsi alle spalle il passato, mai facile nei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Nord. Secondo Kim, il mondo assisterà presto ad un cambiamento decisivo. Anche Trump si è mostrato soddisfatto e si è augurato l’inizio di una magnifica relazione, prima di invitare, com’è ultimamente solito fare con chiunque incontri o quasi, il suo novello interlocutore alla casa Bianca.
L’incontro è stato dunque cordiale, ed entrambi i leader hanno voluto seppellire l’ascia di guerra, se così possiam dire, e, assieme ad essa, tutte le battute che si erano rivolte nei mesi passati. Quando litigavano persino su chi dei due avesse il pulsante rosso – quello che sgancia i missili e le testate nucleari – più grosso; quando Trump chiamava Kim Rocketman – e non lo faceva certo per una comune passione dei due per Elton John – e il suo omologo coreano definiva l’inquilino della Casa Bianca “vecchio lunatico”. I tempi sembrano ora essere radicalmente cambiati e i rapporti tra le due potenze appaiono rovesciati, decisamente più caldi. E’ ben chiaro che incontri finalizzati alla pace fanno sempre molto piacere, in questo nostro martoriato mondo; eppure, come sempre, in vertici di questo tipo, è ben più importante quel che accade sotto il tavolo, di quello che vi avviene sopra. “I dettagli non sono ancora noti” hanno scritto e detto le testate giornalistiche in merito all’accordo di denuclearizzazione, e questo che significa? La diplomazia internazionale è un mare impetuoso, nel quale nessuno ti offre un porto sicuro se non sei disposto a scaricarvi numerose delle tue merci, per cui non possiamo non aspettarci che Kim abbia avanzato richieste, e probabilmente abbia avuto garanzie su esse, all’insaputa dei media internazionali. Non ci si spiega altrimenti come mai due uomini che fino a qualche settimana fa erano cane e gatto, siano oggi rilassati compari. Qualunque cosa sia rimasta nascosta sotto l’increspata superficie dell’acqua, di una cosa possiam stare certi: entrambi i leader escono dall’incontro con una immagine pubblica rinnovata e ripulita, e a Trump questo non dispiace di certo, vista la velocità con cui si avvicina alle mid term elections, le elezioni dove verrà domandato ai senatori americani di rinnovare la fiducia nel quarantacinquesimo presidente.