Io ho avuto la fortuna di vincere i mondiali trentasei anni fa, in Spagna. Avevo pochi mesi la notte dell’Azteca: ho sempre invidiato quelli che possono dire di aver visto la “partita del secolo”, ma non posso farci niente. Teoricamente sono andato vicino alla vittoria dodici anni dopo il Bernabéu e poi li ho anche rivinti, nel 2006, ma per me i mondiali si vincono solo quando si è ragazzini. Mi dispiace per quelli che adesso hanno dodici anni, per quelli che sono nati quando Zidane stendeva con una testata Materazzi: loro purtroppo hanno perso l’opportunità di vincere i mondiali, tra quattro anni saranno ormai troppo vecchi.
A dire il vero, quando io ho vinto i mondiali, non è stata proprio una spedizione carica di onori: era una squadra su cui pesava ancora l’ombra sinistra dello scandalo chiamato dai giornali Totonero. E su cui soprattutto pesò il pareggio con il Camerun nell’ultima gara del girone eliminatorio, quell’1-1 che permise alla squadra africana, alla sua prima esperienza mondiale, di uscire imbattuta dai mondiali, e all’Italia di agguantare per il rotto della cuffia quel girone terribile con Brasile e Argentina, in cui, contro tutti i pronostici, la nostra squadra riuscì a vincere, aprendosi la strada alla finale con la Germania, anzi la Germania ovest, perché allora c’erano ancora due Germanie, c’erano l’Unione sovietica, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia. In trentasei anni la cartina dell’Europa è cambiata parecchio. Comunque sia, quando sei un ragazzino fai fatica perfino a concepire che i tuoi eroi della domenica pomeriggio – allora si giocava solo la domenica pomeriggio, pensate che bizzarria – potessero aver venduto una partita: anche il “mio” Bologna fu pesantemente coinvolto in quell’inchiesta, con i suoi due giocatori più rappresentativi, Giuseppe Savoldi e Franco Colomba. Allora non capivo neppure perché ci fossero due Germanie, anche se sapevo che una delle due era comunista, come mio padre. Però era quella che non era comunista che era forte a giocare a pallone, anche se non forte come l’Italia di Dino Zoff e di Paolo Rossi, un altro eroe che era finito nello scandalo.
Sinceramente non ricordo bene le partite della prima fase e neppure Italia-Argentina. Ricordo invece benissimo Italia-Brasile, ricordo l’altalena dei gol, noi, loro, noi, loro. Noi. Ricordo i tre gol di Rossi e quelli di Socrates – uno che poi avrei saputo che era comunista, come mio padre – e di Falcao. Tra l’altro i calciatori di quei mondiali giocavano – o avrebbero giocato – tutti in Italia, da Boniek a Rummenigge, da Zico a Platini, e ovviamente Maradona. E poi, anche se meno distintamente, ricordo la finale, ma su questi ricordi pesa naturalmente il fatto che sono immagini che abbiamo visto migliaia di volte: l’urlo di Marco Tardelli, le braccia alzate di Sandro Pertini, la coppa in mano a Enzo Bearzot. Sì, è così che ho vinto i mondiali dell’82.
Adesso ho qualche difficoltà a sapere chi gioca nell’Italia, conosco i grandi campioni più che altro per il fatto che i loro nomi fanno continuamente capolino nella home page dei giornali on line, perché si sono fidanzati con una bellissima top model o perché il loro ingaggio ha bruciato un nuovo record. So che sono cominciati i mondiali in Russia, anche perché nelle altre reti ci sono per lo più repliche. Non mi appassiono ai mondiali, sostanzialmente perché non ho più dodici anni, anche se dico che è per il fatto che si tratta ormai di uno spettacolo con cui il finanzcapitalismo cerca di distrarre il popolo, come facevano gli imperatori dell’antica Roma con i giochi nel Colosseo. Ma anche se io non lo seguo più, credo che un ragazzino di dodici anni abbia il diritto – e il dovere – di vedere quelle partite come un grande gioco, di appassionarsi alle gesta dei suoi eroi; avrà tempo, crescendo, di capire cosa c’è dietro, come noi, crescendo, abbiamo capito cosa c’era dietro l’oro della coppa dell’82.
Ed evitiamo anche di fare confronti. Certo allora avevamo un presidente della Repubblica di cui essere fieri, un uomo che è ancora un nostro maestro. Tra trentasei anni quelli che adesso ne hanno dodici si saranno giustamente dimenticati dell’uomo grigio che siede al Quirinale. Non era comunque un’Italia migliore, non era una politica migliore, anche se c’erano indubbiamente uomini migliori, non era un calcio migliore, anche se c’erano uomini migliori. O almeno non è un’Italia di cui dobbiamo avere nostalgia. Se adesso facciamo schifo è anche per quello che è stato fatto – o non fatto – allora.
E, nonostante tutto, io sono contento di aver vinto i mondiali dell’82.
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…