Era circa il 1910, mio nonno Luigi Russo, non ancora diciottenne, restò improvvisamente orfano di padre e sena speranze in una terra desolata, immiserita dalla sopraffazione dei ceti capitalistici del nord, i quali dallo sfruttamento delle regioni meridionali succhiavano risorse per la propria crescita, e da quella ancora peggiore dei proprietari assenteisti i c.d. “galantuomini” meridionali, vera e propria “borghesia compradora” , che si asservirono al dominio esterno e ne mediarono gli interessi in cambio dell’intoccabilità di quell’ammorbante immobilismo che assicurava il loro predominio sociale.
Con il carico di una famiglia da mantenere – la mamma nonché fratelli e sorelle più piccoli – e senza alcuna prospettiva di lavoro sicuro, non potendo più neanche continuare l’apprendistato per diventare sarto e ascendere alla categoria delle “mezzecappe” – artigiani che se pur non potevano aspirare a indossare i grandi mantelli allora in uso pure ne potevano sfoggiare alcuni più ridotti (le mezze cappe appunto) – con drammatica scelta, come milioni e milioni di altri disperati, meridionali e non solo, decise di tentare la grande carta dell’migrazione in America. Si liberò di un orologio d’oro ereditato, della catena e di qualche anello della mamma e delle sorelle e poté comprare il biglietto per la terra promessa. Ma lui e i suoi compagni di sventura furono abbandonati dagli scafisti di allora sulle coste dell’Algeria e per due anni dovettero penare come bestie, insolentiti e maltrattati non dalla popolazione locale ma dai colonialisti francesi; finirono sotto le grinfie di caporali che li schiavizzavano e ne sfruttavano il lavoro come del resto avviene oggi in tante campagne della nostra bella Italia.
Dopo due anni di angherie, maltrattamenti e umiliazioni riuscirono a imbarcarsi e raggiunsero Marsiglia, da dove poterono finalmente imbarcarsi per le Americhe.
Dopo il degradante periodo di isolamento a Ellis Island- campo di raccolta così simile a quella specie di gulag di oggi- poté finalmente mettere piede a New York; e furono nuove umiliazioni: senza casa, senza lavoro, senza conoscere la lingua, disprezzati e umiliati dai residenti ferocemente razzisti, costretti ad accettare condizioni di lavoro terribili: paghe ai limiti della sopravvivenza, orari sfibranti, senza diritti o garanzie.
Dopo decenni, al ritorno in Italia, ancora con dolore e rabbia raccontava che i WASP (Bianchi, anglosassoni protestanti) in nome della terroristica white supremacy non solo sui popoli di origine coloniale (afroamericani, asiatici ecc.) ma anche sugli immigrati provenienti da paesi (quali l’Italia) considerati di dubbia purezza razziale fuggivano dai rioni dove arrivavano gli italiani…
terroristica white supremacy non solo sui popoli di origine coloniale (afroamericani, asiatici ecc.) ma talvolta anche sugli immigrati provenienti da paesi (quali l’Italia) considerati di dubbia purezza razziale
Eppure, anche se una parte ha finito per diventare mafiosa, questi milioni di lavoratori, pur disprezzati e per decenni vittime dell’odio razzista e antioperaio, che, come ricordava mio nonno, ha portato al processo e alla condanna a morte di innocenti come Sacco e Vanzetti, hanno saputo lottare, guadagnare dignità, produrre ricchezza e rendere l’America migliore, se è vero che proprio il voto di milioni di migranti ha consentito la vittoria di Roosevelt e l’avvio del New Deal.
Oggi un’Italia immemore, incarognita da pregiudizi razzisti, fa la voce grossa ed usa il pugno di ferro contro chi viene nel nostro paese in cerca di speranza, salvo poi sfruttarne il lavoro…
Ritroviamo le radici della nostra democrazia, difendiamo i vilipesi valori costituzionali e non lasciamo che la esaltante memoria dei milioni di Italiani che da migranti sono divenuti costruttori di progresso in ogni parte del mondo venga vilipesa dal becero razzismo dei Salvini di turno.