Non mi appassiona il dibattito estivo sui radical chic – che tendenzialmente mi sono sempre stati antipatici – ma vorrei porre a voi, ponendola a me stesso, una domanda: un ricco può essere davvero comunista?

La domanda credo sia meno banale di quanto possa sembrare all’inizio – anche a me era sembrata tale, lo confesso – ma forse così banale non è, visto che non sono riuscito a darmi una risposta del tutto convincente. Se rispondo in maniera istintiva, allora la risposta è certamente no, un ricco non può essere un comunista, è uno che si trova dall’altra parte della barricata nella guerra di classe. E poi la parola ricco deriva dall’antico tedesco – qualcosa vorrà dire – e ha la stessa radice che ritroviamo in reich, quindi il ricco è per definizione etimologica il re, il potente. E il re non può essere comunista.

Ma quando ci rifletto un po’ di più, quella domanda mi svela una contraddizione nella quale tanti di noi vivono. Perché se ne porta dietro un’altra: io sono ricco? So che esiste una soglia di povertà: ossia lo stato stabilisce un reddito sotto il quale una persona è considerata ufficialmente povera, con tutto quello che questo comporta. E allo stesso modo esiste una soglia di ricchezza, un limite, superato il quale, devi essere considerato ricco? Ovviamente no, ciascuno di noi deve valutare soggettivamente se si considera ricco.

Io sono un impiegato comunale di categoria c, mia moglie lavora in un caf, non abbiamo figli, abbiamo la casa di proprietà su cui paghiamo un mutuo, abbiamo un’auto e qualche risparmio. Per esperienza familiare e personale, so cosa significa dovere fare delle rinunce, anche se ho la fortuna di non essere mai stato davvero povero, ricordo quando dovevamo guardare continuamente cosa avevamo in tasca e in base a quello decidere cosa fare e soprattutto non fare. Adesso oggettivamente non è così. Per natura ed educazione ricevuta, Zaira ed io non siamo persone che spendono molto – anzi mia moglie dice che io sono un po’ tirchio e quando andiamo a fare la spesa spesso brontolo, anche quando non c’è davvero motivo, ma per stare nel personaggio – ma possiamo andare in vacanza, comprarci un paio di scarpe belle, andare a cena fuori, senza fare troppa attenzione. Siamo fortunati e io credo sinceramente di avere abbastanza, il che mi sembra già un gran risultato e quindi mi sento di aver superato la fatidica, per quanto soggettiva, soglia di ricchezza.

Eppure credo anche, in tutta onestà, di essere comunista. Credo che la ricchezza debba essere redistribuita, penso che sia giusto che io paghi più tasse per finanziare quei servizi che devono andare a vantaggio di tutti, specialmente di quelli che hanno meno di quello che ho io, penso – come recitava la Clausola IV della Statuto del Labour – che gli obiettivi da raggiungere per avere una società finalmente giusta siano la “proprietà comune dei mezzi di produzione, distribuzione e scambio” e “il controllo da parte del popolo di ogni industria e servizio”. Ma intanto vivo in questo mondo dominato dal capitalismo, e devo venire ogni giorno a patti con un regime che vorrei abolire: ho un conto in banca, faccio la spesa al supermercato, acquisto i prodotti elettronici delle grandi multinazionali e così via. Adotto qualche forma minima di resistenza: non pago più Bill Gates, ma uso un sistema operativo open source, cerco di fare attenzione ai miei acquisti, per lo più ignoro le pubblicità. Si tratta però di piccole azioni, che non cambiano la sostanza, se sei ricco – anche nella forma in cui io mi considero ricco – devi accettare tutti i giorni di fare compromessi con il capitale e credo che questo ti renda un po’ meno comunista.

Zaira e io in queste settimane abbiamo cominciato a guardare in televisione la serie The Americans, che racconta la vita di due spie dell’Unione sovietica negli Stati Uniti di Reagan. Elizabeth e Philip vivono come due normali cittadini americani, hanno un lavoro, una casa, hanno un tenore di vita che non si sarebbero immaginati vivendo nel loro paese; uno dei temi forti della serie è proprio il contrasto tra essere due agenti comunisti, fedeli al partito e all’ideologia – tanto da essere disposti a morire in nome del comunismo – e vivere, anche piuttosto bene, nel sistema che combattono. Io ovviamente non devo fingere di essere felice di vivere nel regime capitalista; mi ci sono adattato, anche in maniera piuttosto soddisfacente, e posso scrivere che questo sistema è profondamente ingiusto, che è violento, che occorre fare di tutto per abbatterlo. Ma la contraddizione rimane ed è qualcosa con cui devo convivere. Come credo succeda a quelli di voi che condividono questa situazione.

Un ricco può essere comunista? No. Ma forse un comunista può essere ricco, o meglio può essere soddisfatto di quello che ha, quando lo ha guadagnato in maniera onesta, lavorando e non sfruttando gli altri. Non credo sia poco.

 

 

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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