‘Non sono cittadino di nessun posto, non ho bisogno di documenti e non ho mai provato un senso di patriottismo per alcun paese, ma sono un patriota dell’umanità nel suo complesso. Io sono un cittadino del mondo’, Charlie Chaplin
Degli undici titolari della nazionale campione del mondo di calcio 2018 solo tre sono chiaramente di origine francese: Lloris, Pavard e Giroud. Gli altri sono di etnia africana o comunque di colore, cioè sono immigrati di seconda o terza generazione: Varane, Umtiti, Pogba, Kantè, Matuidi, Mbappè. Oppure hanno cognomi non propriamente di etnia transalpina: Hernandez e Griezmann. L’unico che di certo è francese è il selezionatore, già vincitore del trofeo mondiale come calciatore nel 1998, Didier Deschamps.
L’esultanza del presidente della Republique Emmanuel Macron è comprensibile, ma i calciatori della nazionale francese con il sangue ‘blue’ sono veramente pochi. Atleti figli d’immigrati ce ne sono ormai in tutte le squadre di calcio delle nazionali europee o dei club di tutti i campionati: Lukaku, Balotelli, Ozil, Shaqiri, sono solo alcuni esempi, l’elenco è lungo.
Questa tendenza, nonostante i respingimenti, la costruzione di muri ed il crescente odio razziale, continua ad ampliarsi a tutte le squadre e a tutti gli sport. Maria Benedicta Chigbolu, Ayomide Folorunso, Raphaela Lukudo e Libania Grenot sono le quattro ragazze di colore italiane che hanno vinto la medaglia d’oro nella staffetta 4×400 ai Giochi del Mediterraneo.
I mondiali di calcio non li ha vinti la Francia, ma una multinazionale d’immigrati di seconda o terza generazione, un esempio d’integrazione e tolleranza etnica, altroché i porti chiusi del ministro Matteo Salvini e del governo ‘pentaleghista’.
Fonte: wikipedia.org