A leggere i giornali, ad ascoltare quelli che alimentano le notizie, parrebbe che il maggior problema di questo paese sia la gestione delle donne e degli uomini che arrivano da altri paesi. Nel 2017 si è trattato di 119.247 persone, certo un numero rilevante, ma comunque di poco inferiore allo 0,2% dell’intera popolazione italiana, più o meno una città come Forlì. Dall’inizio del 2018 sono stati meno di 15mila.
Non voglio affatto minimizzare il problema, anzi, io credo che questo sarà il tema che caratterizzerà la storia mondiale dei prossimi decenni, perché molti fattori, di carattere demografico, ambientale, economico, socio-culturale, spingeranno una massa incalcolabile di donne e di uomini a emigrare dalle loro terre per cercarne delle altre. E questo fenomeno – di proporzioni ben maggiori di quello che ha interessato l’Europa tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, quando ci fu la grande emigrazione che portò milioni di donne e uomini europei nelle terre “vuote” delle Americhe – è destinato a sconvolgere in maniera radicale il nostro pianeta, per moltissimo tempo.
Ma in Italia – come nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti – non stiamo affatto parlando di questo fenomeno, non stiamo cercando di capire come sarà tra un secolo il nostro paese, sotto la spinta di alcune generazioni di emigranti con un tasso di natalità decisamente superiore a quello delle popolazioni autoctone. Noi parliamo sempre d’altro.
Chiaramente sarà loro il futuro, io – come molti di voi – non lo vedrò e non lo so neppure immaginare, potrebbe perfino succedere che questi “nuovi” siano destinati a cambiare il mondo, in meglio, anche nei rapporti economici e sociali: forse faranno loro la rivoluzione che noi non abbiamo la volontà e la forza di fare. E quando succederà – magari in seguito a una catastrofe ambientale – che un intero popolo, non un centinaio di uomini stipati su una barca, deciderà di venire a stabilirsi in queste terre che noi continuiamo a definire nostre, non ci sarà evidentemente nulla da fare, non sarà questione di costruire un muro, o di chiudere i porti, o di gestire nuovi centri di accoglienza: semplicemente loro arriveranno e prenderanno il nostro posto, anche perché noi saremo morti o sempre più vecchi.
Capisco che per molti questa sia una prospettiva terribile, una sorta di apocalisse, personalmente non ho così paura, perché, per ragioni squisitamente anagrafiche, mia moglie e io non ci saremo e soprattutto perché penso che questa società sia così marcia che energie nuove e diverse non possano che farle bene. Ma – ripeto – non è qualcosa su cui io o voi – o Salvini – possiamo mettere becco.
Anche se non possiamo farci nulla, credo però che non sarebbe inutile cominciare a parlarne davvero, smettendo una buona volta di discutere di quello di cui vogliano farci discutere, per distrarci. Dovremmo aprire un grande dibattito politico e culturale per provare a immaginare cosa succederà. Personalmente – provo a dare un modesto e non richiesto contributo – credo dovremmo impegnarci come non mai a preservare quello che di grandissimo la nostra civiltà ha creato nei secoli, in modo da consegnarlo nel modo migliore ai nuovi che arriveranno, affinché serva a loro non tanto a capire chi eravamo noi, ma per imparare quello che noi colpevolmente abbiamo dimenticato. Ai nuovi che arriveranno dovremo consegnare le nostre biblioteche, i nostri musei, le nostre città, ma anche le nostre tradizioni, il nostro territorio e il nostro paesaggio, affinché siano per loro motivo di progresso, affinché possano crescere leggendo i versi di Dante e guardando gli affreschi di Michelangelo, ascoltando le musiche di Verdi e gustando le decine di paste ripiene che le nostre nonne ci hanno insegnato a fare, così uguali e così diverse, in ogni angolo di questo paese.
E invece noi stiamo qui a discutere giorni interi – ormai ho perso il conto – se e quando qualche centinaio di persone debbano sbarcare da una nave, quanti debbano andare in Francia e in Germania, dove costruire nuovi centri di accoglienza. Pare che questo sia l’unico tema che affronta il nuovo governo, l’unico tema su cui i nostri politici abbiano qualcosa da dire. E su questi temi non fondamentali ci accapigliamo, anche con le migliori intenzioni. So bene che il Talmud dice che “chi salva una vita salva il mondo intero” e quindi la battaglia affinché quei pochi siano salvati è degna di essere combattuta, fosse anche l’ultima cosa che faremo. Ma vi chiedo allo stesso tempo di non farci distrarre. Non è questo il tema, neppure se alla fine riuscissimo a vincere, riuscissimo a convincere i nostri riottosi concittadini ad aprire le porte a quei poveri cristi che continueranno a sbarcare. E’ ora di cominciare a parlare d’altro.

 

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

Un pensiero su “Quando vorranno davvero arrivare, non potremo continuare a parlare d’altro”
  1. Una precisazione.
    I tassi di natalità elevati, dovuti certo alla condizione di proletari che queste persone vivono, sono dovuti anche a un’altra cosa: le politiche che la Chiesa propugnava fino a tempi recenti contro i profilattici in Africa e più o meno ovunque ci siano delle missioni. Missioni che, sia chiaro, svolgono fra l’altro un ruolo fondamentale per prevenire le affiliazioni alle cosche locali, ai gruppi terroristici, agli eserciti mercenari eccetera. Ma c’è stata anche questa.
    E queste politiche, almeno fino a tempi recenti (ho letto di una prima apertura nel 2009 per l’uso fra coniugi in caso di sieropositività), erano rigorosamente rispettate.
    Ora mi chiedo: tanti sostenitori della Lega o di altri partiti contrari all’immigrazione o meglio all’accoglienza, in primis Salvini, si dicono “cristiani” (fra l’altro non “cattolici”, che è anche abbastanza strano: Putin? L’Internazionale Sovranista? La Lega delle Leghe? Mah!).
    Sanno questi signori che hanno appoggiato per diversi decenni l’idea che non si debba usare il profilattico né distribuirlo (si parlava una volta delle scuole superiori, per esempio) in Italia e altrove, Africa in primis?
    Sanno questi signori che è anche grazie a queste idee che oggi ci troviamo una bomba demografica in arrivo?
    Sanno questi signori che stanno raccogliendo ciò che hanno seminato?
    No, perché poi sento cose sul presepe, sul crocifisso nei luoghi pubblici, sulla famiglia “naturale”…appunto il “parlar d’altro”. Beh, c’è anche questa, signori.
    Fate pure voi, ma non dite che non ne sapevate niente.
    Vogliamo fermare o ridurre i flussi migratori dall’Africa e in parte dall’Asia all’Europa?
    Bene.
    Per me bisognerebbe, come prima semplice cosa, istruire le donne di quei Paesi (donne più istruite fanno in media meno figli; e in parte già si fa) e distribuire profilattici come il pane, facendone anzi una condizione imprescindibile per ogni accordo con quei Paesi.
    Non dico per l’oggi, ma per il domani, forse, ci evitiamo milioni di persone in arrivo e loro si trovano comunque gente più colta e meno bocche da sfamare.
    Dice: ma non fermerà la bomba.
    Mah. Converrete che come minimo la riduce.
    O davvero qualcuno ha dubbi sul fatto che prima o poi ci diranno che dobbiamo sparargli?! C’è qualcuno qui che ha dei dubbi sul fatto che se arrivano cose come 2 o 3 milioni di persone l’anno alle nostre navi sarà ordinato di affondare i barconi con la gente dentro?!
    Io su questo non ho dubbi.
    Perché se bastano le cifre di oggi a smobilitare la nostra Guardia Costiera e a cercare di distruggere l’Unione, mentre la Libia fa col nostro benestare i respingimenti per cui l’Italia stessa è stata condannata in Corte Edu nel 2012, voglio proprio vedere cosa succederà fra una ventina d’anni.

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