Appena diramata a mezzo stampa la notizia delle condizioni critiche di Sergio Marchionne, irreversibili secondo i medici della clinica di Zurigo dove era ricoverato per non meglio precisati motivi, subito si è acceso in italia il dibattito intorno al personaggio. Come commentare la sua figura?  Quali sono le sue responsabilità e quali i suoi meriti?

Ma ha veramente senso, per la sinistra, porsi queste domande?

di Adriano Manna

 

Alla gran parte dei commentatori sembra sfuggire un dato essenziale: Sergio Marchionne era semplicemente l’amministratore delegato della FIAT prima, poi FCA dopo la fusione con Chrysler.

Come tale ha operato per quattordici anni esclusivamente nell’interesse della sua azienda. Come un algoritmo, che studia le regole del mercato e ottimizza le risorse dell’azienda nella maniera più efficiente.

Del resto, se storicizziamo il suo operato, era impossibile per un gruppo pre-cotto come quello FIAT investire su innovazione dei processi produttivi e dei prodotti. Sarebbero serviti ingenti capitali finanziari ed umani, e per un’azienda come FIAT che per decenni ha prosperato all’ombra degli aiuti statali e di un mercato protetto dallo Stato in nome della difesa occupazionale, sarebbe stata un’impresa titanica, quasi impossibile.

Allora Marchionne ha fatto l’unica cosa che poteva fare per rilanciare il gruppo torinese: scaricare il risanamento aziendale sui lavoratori, insieme ad una finanziarizzazione selvaggia. Si avviava quindi una grande stagione delle delocalizzazioni, di referendum nelle fabbriche italiane per far accettare ai propri operai condizioni lavorative peggiorative rispetto a quelle previste dal contratto nazionale di categoria, e si registrava anche qualche suicidio di operai stremati e angosciati per il futuro. Ma anche quell’inconveniente era già conteggiato dall’algoritmo generale, non è colpa di Marchionne.

Il tema quindi non è se Marchionne fosse o meno una brava persona, un manager illuminato. Marchionne, è bene ripeterlo, nella sua veste professionale era un algoritmo che a suo modo funzionava bene, perché l’azienda l’ha risanata. Con tante ombre, per carità (FCA ha un ritardo mostruoso rispetto ai competitors nello sviluppo delle auto elettriche per dirne una, ma la cosa al momento ci interessa poco).

Quella che andrebbe veramente messa sotto giudizio in tutta questa storia, è proprio la Politica. Dove era la Politica quando una società che aveva usufruito come nessun’altra di aiuti statali, delocalizzava in altri paesi, decideva di pagare le tasse in Olanda e imponeva nuovi standard lavorativi al ribasso nelle fabbriche italiane?

Non lo sapremo mai perché allora tutti tacevano, maggioranza e opposizione, inclusa la gran parte dei sindacati, fatta eccezione per la FIOM ed i sindacati di base (ricordate il povero Landini messo sulla graticola perché definito “irresponsabile” dinanzi al rischio di una perdita di posti di lavoro?).

Dopo aver fatto tutte queste riflessioni, capita la sventura di leggere il commento di Matteo Renzi. Si, proprio quel Matteo che ha finito per disarmare politicamente e culturalmente la sinistra nel nostro paese. “Per me Marchionne è stato un gigante”, afferma in maniera un po’ superficiale l’ex Presidente del Consiglio. Certo, dinanzi all’inconsistenza di una certa cultura politica, uno che quanto meno ha saputo comprimere chirurgicamente il costo del lavoro è effettivamente un gigante.

Eppure Renzi, dopo aver ridotto il PD a variabile ininfluente dello scenario politico italiano, ci ricorda con questo commento che non si è mai veramente ritirato dalla politica, che lui è ancora qui per vigilare perché anche nel campo democratico venga distrutta l’idea stessa di relazioni industriali nel nostro paese.

Ci ricorda con estrema puntualità, come una certa cultura politica tardivamente e rozzamente “blarista” (ma anche qui siamo generosi, perché sempre di culture politiche parleremmo se così fosse)  abbia aperto le porte ad un forte vento reazionario nel nostro paese.

Ma Renzi non parla a caso, è un killer perfetto. Vuole distruggere ogni rimasuglio di credibilità del PD nel mondo del lavoro, per fare terra bruciata a chi verrà dopo di lui. Perchè questa era la sua missione storica (o di chi lì ce l’ha messo). Lui prima o poi andrà via, col cadavere ancora caldo ed un arretramento di almeno 40 anni dei rapporti di forza tra Capitale e Lavoro.

Ma anche qui, prendersela con Renzi è forse ingeneroso, del resto anche lui faceva semplicemente il suo lavoro. L’angoscia vera, la rabbia, è nel constatare quanti pochi anticorpi erano rimasti, in seno a questa sinistra, quando è stato lanciato l’assalto finale. Ma questa è un’altra storia, e forse parte almeno dalla Bolognina (ma probabilmente anche prima).

Ora, risparmiamo al paese, che comunque non sembra in trepidante attesa di commenti da sinistra sui fatti del giorno, il teatrino dei commenti social di invettiva verso la persona di Marchionne.

Non si criticano gli algoritmi, semmai sarebbe meglio ricominciare a criticare l’impianto ideologico che questi algoritmi li determina, e la politica che con questa ideologia ci va a braccetto. Il problema serio è quando questa politica, che col liberismo ci va a braccetto, nella percezione generale assume il nome di “sinistra”. Allora si che i danni, sul profilo politico e culturale, risultano incalcolabili.

http://www.sinistraineuropa.it/approfondimenti/non-ha-senso-criticare-marchionne-riflettiamo-sulla-subalternita-della-politica/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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