Francesco Cecchini

              Montanelli e Fatima

Un episodio agli inizi dell’avventura coloniale in Eritrea è emblematico di futuri cinquant’anni di violenze e soprusi sulle donne di quel paese. Dopo l’occupazione di Asmara, il Generale Baldissera,  su richiesta scritta dei suoi ufficiali, estrasse a sorte le cinque vedove del Kantibal Aman, morto in carcere,  da assegnare ad altrettanti gentiluomini per soddisfarne i bisogni sessuali. Siamo nel 1889 ed è il debutto, o quasi, di una lunga storia di molestie, stupri, atti di pedofilia, pornografia, di crimini sessuali Come scrivono Campassi e Sega nel loro libro Uomo bianco e donna nera “La donna nera diventa il simbolo dell’Africa… ed il rapporto uomo bianco donna nera è simbolico del rapporto nazione imperialista coloni.”  

La donna eritrea diventa quindi il simbolo di un’azione colonizzatrice dove l’uomo bianco europeo la  domina  sia per la  razza che per il  genere. La donna nera assieme alla terra e alle ricchezze naturali è parte del bottino, il bianco ne può disporre come ne vuole. Nel corso dei 50 anni di possedimento cambia il rapporto tra Italia e l’Eritrea, prima una colonia poi parte dell’Impero. Cambia anche la rappresentazione della donna, che fu funzionale alle differenti fasi. Nella prima fase lo sfruttamento sessuale delle eritree fu  non solo giustificato e tollerato ma promosso per attrarre maschi, scapoli e sposati, a venire a lavorare ed abitare questa terra. Anche per gli stupri o altre forme di molestia sessuale venne chiuso un occhio. Le innumerevoli fotografie scattate contribuiscono a far capire che significato ha i donna nera nella cultura razzista e sessista degli italiani. Le donne sono il soggetto più fotografato dai colonizzatori in genere sono nude ed in pose invitanti e costituirono un vasto mercato di immagini pornografiche sia nella colonia che in patria. Una promozione della merce donna nera, beneficio per chi vive in colonia.  Anche quello che potrebbe significare il rovesciamento di questa situazione, la legge del 1937 con le sanzioni per i rapporti di indole coniugale fra cittadini italiani e sudditi neri, mette solo  legame tra politiche  e razziali del colonialismo fascista e ruolo della donna indigena. Secondo i fascisti l’eritrea nera era per lo sfogo sessuale, quella italiana bianca era per l’amore, per formare una famiglia. Negli impero dell’Impero al fine di limitare il numero dei meticci se non di eliminarlo, si proibirono canzoni come Faccetta Nera si propagandò un’ immagine ributtante della  nera. Paolo Monelli nell’ articolo Mogli e buoi dei paesi tuoi, pubblicato nella Gazzetta del popolo del 13 Giugno del 1936, descrive con ribrezzo la donna africana: &… sempre fetide di burro che cola a goccioline sul collo; sfatte a vent’anni; per secolare servaggio fatte fredde ed inerti tra le braccia dell’uomo; e per una bella dal viso nobile e composto, cento ce ne sono dagli occhi cipriosi, dai tratti duri e maschili, dalla pelle butterata… Le parole faccetta nera sono peggio che idiote. Sono indice di una mentalità che vorremmo trapassata. & Lidio Cipriani in un Articolo, L’ incrocio con gli africani è un attentato contro la civiltà europea, apparso su “ La difesa della razza” del giugno 1938 così si esprime:  Nella razza negra, l’inferiorità mentale della donna confina spesso con una vera e propria deficienza; anzi almeno in Africa certi contegni femminili vengono a perdere molto dell’umano, per portarsi assai prossimi a quegli degli animali.                        

La donna eritrea venne presentata quindi come un animale, da trattare come tale, al quale potevi fare di tutto, ma non convivere o sposare e fare dei figli.  Numerosi furono anche gli atti di pedofilia.  Nei casi più eclatanti i responsabili furono rimpatriati, ma in genere ci fu tolleranza, la pedofilia non genera i meticci che il regime fascista diventato Impero vuole limitare se non eliminare.

Il caso più famoso, perché il protagonista divenne famoso, è quello di Indro Montanelli che compro per 500 lire in cambio di compagnia sessuale una bambina eritrea di dodici anni, Fatima. Da quello che Montanelli scrisse sugli eritrei in Civiltà Fascista del gennaio 1936: “Non si sarà mai dei dominatori, se non avremmo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Con i negri non si fraternizza, non si può, non si deve…”  POSSIAMO IMMAGINARE QUALE FU LA NATURA DEL GIOVANE FASCISTA MONTANELLI E LA BAMBINA FATIMA.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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