Chi raccoglie i suoi sfoghi da settimane, la descrive infuriata, stanca di tutte queste pressioni, nervosa per una storia che sembra perseguitarla, come se tutto dipendesse da lei: «Cosa fa Luigi (Di Maio, ndr)? Vengono tutti a chiedere a me del Tap, come se fossi io la responsabile. E invece è lui che deve prendere una decisione, è lui il ministro competente».
La ministra del Sud Barbara Lezzi non ne può più. E lo si è visto ieri che è arrivata al limite, nella sceneggiata (termine che prendiamo in prestito da lei) tutta pugliese con il governatore della Regione Michele Emiliano. Già ferita dalle contestazioni che tre giorni fa le hanno rivolto i vecchi compagni pugliesi di lotta No Tap, non le è andato giù che il presidente dem l’abbia scavalcata e si sia rivolto ad Alessandro Di Battista, un ex deputato, ricordandogli i comizi in cui prometteva che il Tap «mai e poi mai» si sarebbe completato e che se fosse andato al governo il M5S lo avrebbe «bloccato in due settimane». Promesse da campagna elettorale, perché a quanto pare il ministro competente, ossia Luigi Di Maio, titolare dello Sviluppo economico si è convinto che il Trans Adriatic Pipeline vada fatto. Per un semplice motivo: perché non si può più fermare, perché ci sono contratti e il progetto e in piena fase di avanzamento. È quello che ieri hanno ribadito fonti del Dipartimento di Stato Usa all’Ansa, confermando la notizia de La Stampa sull’appello rivolto dagli americani al governo italiano a pochi giorni dalla visita del premier Giuseppe Conte alla Casa Bianca.
Ma per capire come la crisi di nervi che attanaglia il M5S e l’esecutivo sul Tap potrebbe aprire un baratro politico e diplomatico, bisogna andare con ordine. Mettere in fila i fatti e le dichiarazioni contraddittorie delle ultime settimane. Lezzi, 14 giugno: «Il Tap un’opera inutile, può essere anche dannosa, e soprattutto è un’opera già vecchia». Lezzi, tre giorni dopo tempera le certezze: «Personalmente la ritengo un’opera inutile. Ma c’è un trattato ratificato da 5 anni». 18 luglio, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi accompagnando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Baku, Azerbaijan: «L’Italia conferma gli impegni sul gasdotto, compatibilmente, chiaro, con i vincoli ambientali». Intercettata alla Camera, Lezzi tace imbarazzata. Due giorni dopo, Università di Lecce: la ministra viene accolta così: «Traditrice. Sei peggio della Bellanova, (ex viceministro allo Sviluppo del Pd, ndr)». Gli occhi tradiscono la delusione: per lei, salentina doc, attivista tutto pane e M5S, il Tap era stato il battesimo di fuoco e con quei contestatori fino a qualche mese fa conduceva una battaglia spalla a spalla in difesa della spiaggia di San Foca, a pochi chilometri da casa sua.
L’appello di Emiliano a Di Battista è stata l’ultima goccia. Lezzi l’ha presa come una provocazione, la lite è degenerata e i video hanno immortalato tutto. Anche quando la ministra si lascia scappare: «Noi stiamo lavorando per bloccare l’opera», in contraddizione con quello che aveva detto Moavero. Di Maio sa che il M5S affonda le sue radici nelle campagne contro le grandi opere che non possono essere snobbate, soprattutto se il governo non avrà lunga durata. E alla fine, stretto tra le richieste dei militanti e le esigenze del Quirinale e degli americani, se la cava girandoci attorno: «Il vero grande errore del Tap è che, prima di tutto, non si è dialogato con le comunità». Anche Di Battista, chiamato in causa dal Messico, dov’è in viaggio con la famiglia, risponde a Emiliano con un video: «Fai un po’ il paraculo. Ci sono ministri che si occupano di questo. Mi fido di loro. Vedrete che queste opere “stupide” verranno affrontate nel modo giusto». Sì, ma come le affronteranno i ministri?