Riceviamo e pubblichiamo
di Franco Astengo
Ricordiamo la strage del 2 agosto 1980 nel momento in cui l’Italia attraversa, probabilmente, il punto più basso della sua storia repubblicana sia sotto l’aspetto della convivenza civile, con settori sociali pronti a ricevere impulsi di natura razzistica, sia sotto l’aspetto dell’espressione di cultura politica.
Una società italiana sfibrata da decenni di malgoverno sembra pronta ad affidarsi ad avventure di tipo autoritario in un quadro di grande confusione politica e morale.
L’Espresso in edicola in questi giorni ricorda la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Nelle pagine del settimanale si riepilogano le principali tappe della striscia di sangue lasciata dalle “stragi di Stato” che hanno attraversato la storia d’Italia tra il 1969 e il 1980: Piazza della Fontana (17 morti), piazza della Loggia 8 morti), Peteano ( 3 morti) Bologna (85 morti).
L’articolo di Biondani e Tiziani non cita le stragi sui treni che vogliamo ricordare anche in questa sede: Italicus (12 morti) , San Benedetto Val di Sambro (16 morti, attentato verificatosi però nel Dicembre 1984 successivamente alla strage di Bologna).
Sono emersi nuovi documenti rispetto a quella tragica stagione che può essere collegata a quella delle stragi mafiose del 1992 e del 1993 e alle vicende della trattativa Stato – Mafia e ai massacri di Falcone e Borsellino.
Si rafforzano ancora tre elementi sui quali la natura “duale” dello Stato italiano è rimasta opaca: la protezione da parte di agenti dei servizi segreti ai neo fascisti dei Nar; il collegamento tra rappresentanti dei servizi segreti deviati e la loggia P2 di Licio Gelli e l’attualità permanente di un pezzo di istituzioni (come sostengono i familiari delle vittime) che rema contro la verità.
Siamo alla progenie della situazione attuale nella quale si stanno – appunto – costruendo condizioni ideali per l’applicazione dei progetti che servizi segreti deviati e massoneria occulta avevano in serbo per il nostro Paese da tanto tempo e che erano sempre stati frustrati da una reattività sia sociale,sia politica che ancora il 4 dicembre 2016 aveva fornito dimostrazione di una qualche vitalità e che oggi sembra proprio essersi spenta in una confusione che appare assieme morale e culturale.
Non lasceremo però trascorrere anche questo 2 agosto 2018 senza rinnovare il ricordo della tragica strage della Stazione di Bologna: quell’esplosione tremenda, quell’orologio fermo alle 10,25 del mattino, quelle vittime ignare colpite dal fulmine nel crocevia delle vacanze.
Così come non lasceremo passare questo tragico anniversario senza sottolineare ancora un’analisi che collega quella tragica stagione con la realtà odierna.
Quei fatti ci ricordano il doppio stato, i segreti, i misteri che hanno reso vulnerabile la nostra democrazia e la stessa Costituzione Repubblicana, mai attuata fino in fondo e attaccata a più riprese.
Qualche anno fa la dichiarazione più provocatoria, a proposito di quel fatto, venne proprio da lui, dal Maestro Venerabile, da Licio Gelli in persona: “Si è trattato di un mozzicone di sigaretta, la bomba non è mai stata trovata”.
Una frase che rappresenta l’impunità del “doppio Stato” o della “tela di ragno” (come la definì Flamigni, a proposito del delitto Moro).
Il “doppio Stato” come elemento di continuità e snodo fondamentale della storia del nostro Paese.
Correva l’anno 1980, l’anno nel quale fu messa alla prova la democrazia e che si concluse con i 35 giorni alla Fiat e la marcia dei cosiddetti “quarantamila” (1980: L’anno che cambiò l’Italia, dal titolo del libro di Diego Novelli)
In quel 1980 si mise in evidenza, almeno agli occhi degli osservatori più attenti ma inascoltati, non tanto il “ritorno” al terrorismo fascista (che pure si era verificato) ma l’emergere di una “teoria politica del terrorismo” che, almeno da Piazza della Fontana in avanti, aveva rappresentato uno degli elementi costitutivi della gestione del potere nel nostro Paese.
Una “teoria politica del terrorismo” che si accompagnò direttamente con una ripresa di dominio da parte del padronato che – appunto – nella vicenda FIAT spezzò la resistenza operaia in nome di una presunta “modernità” carica di sfruttamento e sopraffazione.
Furono svolti alcuni tentativi di analisi in questa direzione, di collegamento tra il terrorismo stragista di evidente matrice “nera”, i servizi segreti, la massoneria occulta della quale la Loggia P2 appariva come l’espressione più evidente .
Dodici mesi dopo nel 1981, sempre per cercare di non dimenticare, fu l’anno in cui Gherardo Colombo scoprì gli elenchi di Castiglion Fibiocchi che comprendevano anche le prove del collegamento tra P2 e Mafia, attraverso logge coperte siciliane provviste anche di diramazioni nel Ponente Ligure: tanto per ricordare che, quanto alla mafia al nord, nessuno ha scoperto o sta scoprendo nulla di nuovo.
Nella lista sono rappresentate tutte le forze politiche tranne i comunisti. L’elenco dei nomi restò segreto per due mesi. I magistrati avevano mandato tutta la documentazione al presidente del Consiglio FORLANI e questi s’era ben guardato dal diffonderla.
Alla fine alcuni giornalisti dentro al Parlamento, sapevano della lista giunta alla Commissione che indagava su Sindona, e da varie indiscrezioni appresero che stava per essere divulgata sui giornali con i relativi nomi.
FORLANI il 20 maggio (la scoperta era avvenuta il 17 marzo) é costretto a rendere nota la lista di 962 presunti iscritti alla loggia P2 tra cui Longo, De Carolis, Miceli, Berlusconi, Rizzoli, Di Bella, Sindona, Calvi, Vittorio Emanuele di Savoia, Tassan Din, due generali, Lo Prete e Giudice, Maurizio Costanzo, Fabrizio Cicchito (entrambi i due si confessarono in pubblico e ammisero lo sbaglio “Sì lo confesso: sono un cretino” disse Costanzo). Franco Di Bella però dovette lasciare la carica di direttore del Corriere della Sera, e assieme a lui, altre eccellenti firme lo seguirono (Chissà perchè, visto che “non c’era nulla di male” come dissero molti iscritti, dopo, nelle varie commissioni d’indagini).Il clamore è enorme, perchè nella lista sono compresi tre ministri (Foschi, Manca e Sarti), il segretario di un partito di governo (LONGO del Psdi), vari deputati, senatori, funzionari di partito, ambasciatori, sindaci, imprenditori, industriali, giornalisti, scrittori, sindacalisti, magistrati, presidenti di tribunali, questori, prefetti, commissari, segretari di ministri, personaggi di società pubbliche e una lunga lista di funzionari delle forze armate.
FORLANI non resiste allo scandalo, per aver trattenuto la lista dei nomi nel cassetto, deve dimettersi.
Il Presidente Pertini cose quell’occasione per indicare alla Presidenza del Consiglio, per la prima volta nella storia della Repubblica, un esponente non democristiano, il segretario del PRI Giovanni Spadolini.
Altri denunciarono il fatto che, in quella direzione, non si fosse mai svolta una valutazione di fondo: il Centro di Riforma dello Stato, diretto da Pietro Ingrao, convocò un convegno su questo tema, proprio ad Arezzo; alcuni coraggiosi tentarono analisi anche in sede locale.
Intanto le indagini sulla strage marcavano il passo.
Qualcuno rispose che sarebbe stata sufficiente la riforma dei servizi segreti e che una collocazione diversa della sinistra nel quadro politico (c’erano già stati il “governo delle astensioni” e la “solidarietà nazionale”) avrebbe rappresentato un’ulteriore garanzia per il successo dell’operazione di riforma che tendeva a cambiare il modo di agire d’interi pezzi dello stato.
Il tarlo della “governabilità” ad ogni costo stava già corrodendo pezzi della sinistra italiana, fino a farla esplodere nel momento della cancellazione dei grandi partiti di massa, trasformati in comitati elettorali sempre più ristretti dal punto di vista del radicamento sociale.
Abbiamo così assistito – da quel fatidico 2 agosto 1980 – al neutralizzarsi dei tentativi, pur nobili, di aprire una pagine diversa e, invece, al realizzarsi progressivo di quel meccanismo di autoritarismo, negazione della democrazia, affermazione di poteri occulti contenuti proprio nel documento sulla “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975, proprio dalla Loggia P2 di Licio Gelli.
E oggi quel documento pare trovare piena e compiuta applicazione: nella realtà economico – sociale, nell’informazione, nell’architettura delle istituzioni laddove (nonostante l’esito del referendum del 4 dicembre 2016) si sta ancora lavorando oscuramente per cancellare l’idea di repubblica parlamentare come sta avvenendo proprio in questi giorni da parte degli ideologi della nuova maggioranza di governo, verso la quale occhieggiano gli eredi di quella estrema destra che assieme alla mafia fornì all’epoca la manovalanza della strategia stragista
Serve quindi la memoria.
Servono la memoria e l’analisi.
L’ analisi di ciò che è stato allora rispetto alla realtà del nostro sistema politico e di ciò che sta avvenendo .
Vale la pena ogni volta che si scende alla stazione di Bologna, fermarsi a leggere i nomi scolpiti nella lapide che ricorda quel tragico giorno: un utile esercizio della memoria di un momento fondamentale nella storia d’Italia, non soltanto di tragedia per le famiglie delle vittime ma di dramma vero e profondo per la nostra convivenza civile e per la difficile democrazia italiana.