Il neoliberismo è un’ideologia che aspira a rompere qualsiasi regola, a superare qualsiasi limite, nella sua corsa volta a mercificare tutto per trarne un maggior profitto. In questa foga iconoclastica, che strada facendo si infarcisce di un lessico mistico e di dogmi semi-religiosi, tutto ha un suo prezzo, anche la verità, le opinioni, la privacy. Amazon, che da semplice sito di e-commerce ha esteso il suo campo di azione all’hosting di siti web, all’editoria e ai servizi di sorveglianza, sta oggi abbattendo ogni barriera tra pubblico e privato, tra stato e business. Con gli enormi mezzi economici e tecnologici a sua disposizione, le ripercussioni di questa “rottura” sono potenzialmente catastrofiche.
di Elliott Gabriel,
Quest’anno potrebbe passare alla storia come un punto di svolta, in cui il mondo ha finalmente preso coscienza del lato oscuro dell’onnipresenza dei colossi della Silicon Valley nella nostra vita quotidiana. O almeno, così si spera.
Da Amazon a Facebook, Apple, Google, Microsoft e PayPal – tra le altre – sono trapelate rivelazioni che confermano il continuo abuso dei dati degli utenti da parte di società monopolistiche, nonché il loro crescente ruolo come fornitori di tecnologia di sorveglianza per lo stato di polizia, i militari e le agenzie di detenzione per migranti degli Stati Uniti.
A marzo è scoppiato lo scandalo dei dati degli utenti di Facebook raccolti da Cambridge Analytica, che utilizzava le informazioni personali per creare milioni di “profili psicologici” dettagliati per la campagna presidenziale di Trump. Appena due settimane dopo, lo staff di Google è andato in subbuglio sulla questione del “Progetto Maven”, una piattaforma di intelligenza artificiale che potenzierà enormemente le capacità della flotta mondiale di droni militari degli Stati Uniti di raggiungere i bersagli automaticamente. Di fronte allo sdegno pubblico e al dissenso interno, l’azienda ha ritirato la sua candidatura a rinnovare il contratto col Pentagono, che scade il prossimo anno.
Adesso i dipendenti e gli azionisti di Amazon.com – il più grande operatore di marketing online e cloud computing del mondo – chiedono che l’amministratore delegato Jeff Bezos interrompa la vendita del suo servizio di riconoscimento facciale – Rekognition di Amazon Web Services (AWS) – alle forze dell’ordine degli Stati Uniti, incluso il Dipartimento per la sicurezza interna – Immigrazione e dogane (DHS-ICE).
“Come dipendenti eticamente impegnati, chiediamo di poter scegliere ciò che costruiamo e di aver voce in capitolo sul modo in cui viene utilizzato”, si legge nella lettera. “La storia ci insegna che i sistemi IBM furono impiegati negli anni ’40 per aiutare Hitler.
“All’epoca IBM non si assunse alcuna responsabilità e, quando il loro ruolo divenne chiaro, era troppo tardi”, con riferimento alle collusioni con la messa in operatività dei campi di sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale. “Non permetteremo che accada di nuovo. È arrivato il momento di agire.”
Presentato a novembre 2016 come parte della suite di cloud AWS, Rekognition analizza immagini e filmati per riconoscere gli oggetti fornendo al contempo analisi agli utenti. Permette inoltre agli utenti di “identificare persone sospette tramite una collezione di milioni di immagini facciali quasi in tempo reale, consentendone l’utilizzo per una tempestiva e accurata prevenzione del crimine”, come si legge nel materiale promozionale. Le forze dell’ordine, come l’ufficio dello sceriffo della Contea di Washington, pagano da $6 a $12 al mese per l’accesso alla piattaforma, che mette gli agenti in condizione di confrontare in tempo reale il database di foto segnaletiche con delle riprese dal vivo.
I dipendenti di Amazon hanno citato un rapporto dell’ACLU in cui si rileva che Rekognition dell’AWS “solleva profonde preoccupazioni per le libertà e i diritti civili” poiché è “suscettibile di abusi”. Tra gli utilizzi potrebbero essere inclusi il monitoraggio del dissenso, oltre al possibile impiego della tecnologia da parte dell’ICE per sorvegliare costantemente gli immigranti nell’ambito della sua politica di “tolleranza zero” di detenzione di famiglie e bambini migranti al confine tra Stati Uniti e Messico.
In una lettera distribuita sulla mailing list “non lo costruiremo”, i dipendenti di Amazon espongono la loro opposizione alla collusione del loro datore di lavoro con le operazioni di arresto e di incarcerazione di massa dei migranti da parte della polizia e del DHS-ICE:
“Non c’è bisogno di attendere per scoprire come verranno utilizzate queste tecnologie. Sappiamo già che in un clima di militarizzazione senza precedenti della polizia, di rinnovati attacchi agli attivisti neri e di ampliamento di una forza di deportazione federale colpevole di violazioni dei diritti umani – questo sarà un altro potente strumento per lo stato di sorveglianza, e in ultima analisi danneggerà i più emarginati.”
Per il giornalista Yasha Levine, lo scalpore sollevato da AWS Rekognition non è certo una novità.
Come nel caso di Google e di altre aziende di punta che lavorano per Washington, si tratta solo di un altro capitolo nella lunga integrazione della Silicon Valley con l’apparato statale di repressione.
“Questa non è una pietra miliare di un’ipotetica ‘Apocalisse della Sorveglianza’, è solo il segno di dove siamo ormai da tempo giunti”, ha dichiarato Levine a MintPress News.
OMG! No way!
Big tech’s “rush to provide face recognition for government, including border patrol and spy agencies (source), alerts us to how society’s computing skills have been directed to technologies of surveillance & control rather than human flourishing.”http://www.differenceengines.com/?p=1163
In questo caso l’indignazione dei lavoratori di Amazon è stata probabilmente provocata dalle recenti polemiche sulle separazioni di famiglie migranti dell’America Centrale nei campi di concentramento al confine sud degli USA, insieme al ruolo chiave svolto da Amazon nell’”ecosistema” dei dati dell’ICE, fondamentale per il funzionamento delle operazioni di controllo, detenzione di massa e respingimento degli immigrati da parte dell’ICE.
Nella loro lettera, i dipendenti di Amazon criticano il ruolo dell’azienda nella piattaforma Palantir in dotazione all’ICE:
“Sappiamo anche che Palantir opera su AWS. E sappiamo che l’ICE si affida a Palantir per gestire i suoi programmi di detenzione e deportazione. Insieme al resto del mondo, abbiamo recentemente assistito con orrore mentre le autorità degli Stati Uniti strappavano i bambini ai loro genitori. Dal 19 aprile 2018 il Dipartimento della Sicurezza Nazionale ha inviato quasi 2000 bambini ai centri di detenzione di massa…Di fronte a questa immorale politica americana e al trattamento sempre più disumano di rifugiati e immigrati negli Stati Uniti anche al di là di queste politiche specifiche, siamo profondamente preoccupati dal coinvolgimento di Amazon, che fornisce infrastrutture e servizi a ICE e DHS.”
Nel 2014, ICE ha concesso a Palantir un contratto da 41 milioni di dollari per il sistema Investigative Case Management (ICM), che ha notevolmente ampliato la capacità di condividere le informazioni tra l’agenzia ed altre banche dati, tra i quali quelle dell’FBI, l’agenzia federale antidroga e l’Ente contro il traffico di Alcol, Tabacco e Armi da fuoco. Il contratto ha permesso ad ICE di aumentare significativamente gli arresti e le incarcerazioni di clandestini, sulla base dei diversi dati raccolti da Palantir e salvati sui server di Amazon Web Services.
“Su Amazon è possibile per chiunque noleggiare le funzionalità [di Rekognition] con la stessa facilità con cui si può affittare uno spazio web, o sottoscrivere un piano di pagamenti con Amazon”, ha commentato Levine.
Nel suo nuovo libro, Surveillance Valley: The Hidden History of the Internet, Levine descrive la stretta relazione tra i Big Data e lo stato di polizia americano. Nell’introduzione al suo libro si legge:
“Da Amazon a eBay a Facebook – la maggior parte dei servizi Internet che utilizziamo ogni giorno sono divenute aziende onnipotenti che tracciano e profilano gli utenti, perseguendo contemporaneamente partnership e rapporti commerciali con le principali agenzie militari e di intelligence degli Stati Uniti. Alcune parti di queste società sono così strettamente intrecciate con i servizi di sicurezza americani che è difficile dire dove finisce il privato e dove inizia lo stato”.
Dopo aver conquistato la vendita al dettaglio e online, il prossimo obiettivo di Amazon è lo stato
Concepito dal fondatore Jeff Bezos come un “negozio universale”, che vende prodotti dai libri ai DVD e alla musica, Amazon ha a lungo rappresentato una grave minaccia per il mercato tradizionale dei punti vendita, poiché tra la fine degli anni ’90 e gli anni 2000 ha spazzato via grandi e piccoli librerie in un mucchio di cenere del commercio al dettaglio.
“Amazon è ormai diventato di fatto il negozio universale in America – è scioccante pensare al giro di affari e di denaro che controlla”, ha detto Levine, aggiungendo che il potere dell’azienda “è abbastanza deprimente.”
L’azienda è diventata anche la più grande società di hosting Internet al mondo, attraverso la sua piattaforma di cloud computing Amazon Web Services. A partire dal 2006, AWS ha svolto un ruolo analogo alla piattaforma di vendita di Amazon.com nel sostituirsi ai tradizionali provider di data center e alle piattaforme professionali IT, raggiungendo un livello di centralizzazione inimmaginabile in termini di archiviazione dei dati e funzionalità informatiche a basso costo. Per un certo periodo persino Dropbox è stata ospitata nel cloud AWS.
Il successo dell’azienda come principale rivenditore e servizio di cloud computing al mondo è strettamente correlato ai livelli di sorveglianza di Amazon non solo nei confronti dei consumatori, ma soprattutto su una forza lavoro dipendente enorme e fortemente sfruttata. Come Levine spiega nel suo libro:
“[Amazon] archivia le abitudini di acquisto delle persone, le loro preferenze sui film, i libri a cui sono interessati, la velocità con cui leggono i libri sui loro Kindle, e le sottolineature e note a margine. Inoltre tiene sotto controllo i suoi magazzinieri, monitorando i loro movimenti e cronometrando le loro prestazioni.
Per gestire una tale mole di dati Amazon ha bisogno di un’incredibile potenza di elaborazione, e questa esigenza ha generato il redditizio business collaterale di noleggio di archiviazione sui suoi enormi server ad altre società”.
Durante le elezioni presidenziali americane del 2012, il software AWS ha fornito quasi tutti gli aspetti dell’analisi dei big data della campagna di rielezione del presidente Barack Obama, dalla gestione web alla gestione delle mailing list, alla raccolta dei dati, assegnazione dei volontari, manutenzione del database di informazioni sugli elettori e “elaborazione in blocco delle transazioni” per le donazioni.
All’inizio del 2013, un accordo segreto ha assegnato ad Amazon un contratto da 10 anni e 600 milioni di dollari per fornire servizi cloud alla Central Intelligence Agency e alle 17 agenzie di intelligence.
Il contratto di Langley con una società così orientata al commercio come Amazon, piuttosto che all’offerente rivale IBM, ha provocato onde d’urto nel settore tecnologico, ma l’azienda si è vantata del fatto che ciò fosse dovuto al fatto di poter fornire alla CIA una “piattaforma tecnologica superiore”, oltre alla sua capacità di fornire “la sicurezza ed affidabilità necessarie per sistemi che presentano criticità di obiettivo”.
La piattaforma di Amazon sarà presto sede di un importante progetto di intelligence della CIA soprannominato “Mesa Verde”, che utilizzerà il software cloud C2S dell’agenzia costruito su AWS in più esperimenti volti ad analizzare migliaia di terabyte di dati, inclusi dati internet pubblici, utilizzando strumenti di elaborazione del linguaggio naturale, analisi del clima di fiducia e visualizzazione dei dati.
Secondo un rapporto di Bloomberg Government di maggio, AWS è l’unica piattaforma cloud privata a cui è stata concessa l’autorizzazione a immagazzinare informazioni dell’agenzia contrassegnate come “Segrete”.
La partnership CIA-Amazon: capitalismo di sorveglianza in azione
La partnership tra Amazon e Langley è solo un esempio di capitalismo di sorveglianza in azione, secondo il professore e studioso di sociologia John Bellamy Foster, redattore del venerabile giornale socialista indipendente Monthly Review.
Parlando a MintPress News, Foster ha spiegato:
“Attualmente Amazon sembra concludere un contratto dopo l’altro con i settori militare e dell’intelligence americani…[Il cloud della CIA] è custodito nei locali di un’azienda privata, una specie di “castello fortificato” per le comunicazioni dell’intelligence [spionaggio], pur separato dal resto di Internet, ma fondamentalmente gestito da una società a scopo di lucro. Amazon ha anche un contratto da 1 miliardo di dollari con la Security and Exchange Commission, collabora con la NASA, la Food and Drug Administration e altre agenzie governative.”
In un saggio del 2014 per Monthly Review, Foster e Robert W. McChesney hanno introdotto il termine capitalismo di sorveglianza in riferimento al processo di capitalizzazione monetaria dei dati estratti attraverso operazioni di sorveglianza condotte in collusione con l’apparato statale. I due individuano le radici politico-economiche dell’era dell’informazione digitale nelle prime fasi del complesso militare-industriale, attraverso l’identificazione negli anni Cinquanta del capitalismo consumistico – corporazioni, agenzie pubblicitarie e media – con lo stato di guerra permanente, che ha infine catalizzato la nascita della tecnologia satellitare, di Internet e il dominio di un ristretto gruppo di imprese tecnologiche monopoliste nell’attuale era della globalizzazione neoliberale.
Dal ruolo del settore tecnologico nelle operazioni dello stato di polizia all’espansione di tecnologie “intelligenti” come Alexa di Amazon nelle nostre case, all’utilizzo dei droni e dell’intelligenza artificiale per tenere d’occhio l’intera popolazione e la manipolazione dei dati degli utenti di Facebook nella partnership tra la campagna di Trump e Cambridge Analytica, il giudizio di Foster sulla crescita metastatizzante del capitalismo di sorveglianza e sul suo ruolo onnisciente nella nostra vita quotidiana è inequivocabile:
“Le implicazioni per il futuro sono sconcertanti.”
Non tutti condividono il pessimismo di Foster. Per l’ex ricercatore della sicurezza informatica della CIA John Pirc, il contratto dell’agenzia con Amazon rappresenta la caduta dello stigma di “giudizio annebbiato” che affliggerebbe la sicurezza del cloud computing. Parlando con The Atlantic, Pirc ha commentato:
“C’è molto interesse per il cloud ma tanta gente è ancora titubante, quindi vedere la CIA che lo adotta, e lo fa in modo così dirompente, è un messaggio molto forte”.
Il sacro caos e la “forza burrascosa della distruzione creativa”
Creazione, epifania, genesi, profezia, rapimento, sacrificio, ira; sono queste le parole dal significato sacro sparse per tutto l’Antico e il Nuovo Testamento, ancora cariche di significato divino per i credenti. Amati dal clero e riveriti dai fedeli, questi termini consacrati sono difficilmente associati al logo della mela morsicata di Apple o alla secolarmente profana voce robotica di Alexa.
Ma nel culto odierno dell’alta tecnologia e di Internet – dove imprenditori come Steve Jobs e Mark Zuckerberg sono stati elevati al livello di profeti o faraoni, e le start-up vengono evangelizzate ai TED Talks come la panacea per problemi che spaziano dal tenersi in forma alla crisi dei rifugiati – un nuovo lessico ecclesiastico si sta facendo strada. Il concetto chiave di questa pseudo-religione dei Big Data è quello di rottura, un termine spesso evocato che indica la sostituzione di vecchi mercati e modelli di business con le nuove innovazioni tecnologiche.
Come il pioniere della Silicon Valley, informatico e studioso Jaron Lanier ha evidenziato nel suo libro del 2013 Who Owns the Future?:
“Al termine “rottura” è stato attribuito uno status quasi sacro nei circoli tecnologici del business…Rompere è il risultato più celebrato. Nella Silicon Valley, si sente sempre che questo o quel settore è maturo per la rottura. Ci piace illuderci che la rottura implichi maggiore creatività. Ma non è così. È sempre la stessa storia.”
Per Lanier – un fervente difensore del capitalismo – la parola viene usata impropriamente per esprimere il potenziale liberatorio della nuova tecnologia, quando in realtà il predominio delle grandi aziende tecnologiche ha portato a un mercato ristretto dominato da “un numero limitato di agenzie di spionaggio in posizioni pervasive”. Il panorama digitale è quindi diventato il feudo delle imprese monopolistiche che esercitano un pugno di ferro sui concorrenti e sulle merci principali dei Big Data: gli utenti di Internet e le loro informazioni personali.
Per Foster, questo processo è assimilabile al neoliberismo – l’ideologia capitalista prevalente che impone il controllo senza ostacoli su tutti gli aspetti della vita pubblica da parte del capitale finanziario e del mercato. Foster osserva che l’ortodossia neoliberale è radicata nel concetto di distruzione creativa, idea associata alla parola d’ordine “rottura”.
Il concetto di distruzione creativa fu introdotto nel 1942 dall’economista austriaco-americano Joseph Schumpeter per descrivere un processo di costante cambiamento insito nel capitalismo, in cui imprenditori emergenti agiscono come “forze innovative” tramite una “perenne tempesta di distruzione creativa” che disorganizza e sposta gli equilibri della concorrenza, rimodella i mercati globali e apre la strada per l’emergenza di nuovi monopoli come, ad esempio, le aziende leader della Silicon Valley.
“Una delle componenti chiave dell’ideologia neoliberista è l’apertura del sistema alla crescita senza restrizioni di aziende corporative monopolistiche e del potere monopolistico”, ha detto Foster a MintPress News, aggiungendo:
“L’era neoliberale ha quindi visto uno dei più grandi periodi di crescita di sempre nel potere monopolistico, in particolare nei settori cibernetico e digitale. Si consideri che né Google, né Amazon né Facebook esistevano 25 anni fa e Facebook non esisteva neanche 15 anni fa. Tra il 2016 e il 2017, Amazon ha registrato un aumento del 51% della capitalizzazione di mercato. Queste sono gigantesche imprese monopolistiche”.
Foster ha continuato spiegando:
“In generale, il capitalismo è un sistema che cerca di superare tutti i limiti nella sua produzione e vendita di merci, mercificando ogni cosa esistente – e oggi, nell’era del capitalismo monopolistico-finanziario e del capitalismo di sorveglianza, questo significa intromettersi in ogni aspetto dell’esistenza allo scopo di manipolare non solo il mondo fisico, ma anche le menti e le vite di tutti. È questo il nucleo centrale del capitalismo di sorveglianza.
Ma questo stesso capitale finanziario monopolistico ha come contropartita la crescente centralizzazione del potere e della ricchezza, l’aumento del controllo sul monopolio, l’espansione del militarismo e dell’imperialismo e sempre maggior potere alla polizia. È ciò che il teorico politico Sheldon Wolin ha definito “totalitarismo invertito”, in cui il crescente controllo totalizzante della popolazione e la distruzione delle libertà dell’uomo sono mascherate da un’ideologia individualistica”.
Ora che Amazon si avvicina al suo venticinquesimo anniversario, Foster fa notare che è diventato “un vasto impero della mercificazione culturale (o anti-culturale)” – e il fatto che sia l’editore del Washington Post rende evidente la fusione dell’impresa monopolista con l’apparato statale dell’imperialismo USA .
Amazon si impossessa del “giornale dei record”, ovvero “la democrazia muore nelle tenebre”
Da quando Jeff Bezos ha acquistato il Washington Post nel 2013 per $250 milioni, il principale quotidiano della capitale americana si è trasformato nel baluardo della Fortezza Amazon. Al di là di qualsiasi squadrone d’élite di lobbisti o dei contratti con l’Homeland Security o la National Security State, il ruolo influente del giornale che plasma l’opinione pubblica e che è il principale organo d’informazione della classe politica dà a Jeff Bezos e ai suoi colleghi un accesso senza precedenti alle sale del potere imperiale.
“Ovviamente è un problema quando un business potente e monopolistico come questo con un proprietario così autoritario è anche nel settore dei media”, ha commentato Yasha Levine, aggiungendo:
“La situazione è questa: Amazon è un importante appaltatore della CIA, e questo importante appaltatore possiede anche uno dei giornali più importanti del paese – che guarda caso dovrebbe investigare sulla CIA e su questioni di sicurezza nazionale.”
Da quando Donald Trump è salito al potere lo scorso gennaio, “Amazon Washington Post” è stato l’obiettivo delle ire del presidente come esempio supremo di “spacciatore di fake news”. Se è vero che alcuni attacchi di Trump al Post possono sembrare semplici sfoghi su Twitter contro un legittimo scrutinio giornalistico, bisogna riconoscere che il giornale, una volta celebrato per la pubblicazione dei rivoluzionari Pentagon Papers del 1971, serve oggi prepotentemente da pulpito per i detrattori del presidente nella cosiddetta “resistenza” liberale, e da portavoce di un’ala aggressivamente neoliberista negli Stati Uniti.
“Il Washington Post è sempre stato un giornale liberal-capitalista, un arbitro dell’ideologia capitalista e un difensore dell’impero degli Stati Uniti, [ma] ora è diventato, come parte dell’impero Bezos, qualcosa di peggio”, osserva Foster.
Non passa un giorno senza che il Post pubblichi una sfilza di storie che cercano di smascherare “interferenze russe”, che avrebbero favorito Trump attraverso i social media o le “fake news”. Sulla base di pareri “esperti” del centro studi sui media “indipendente” PropOrNot, il Post ha accusato MintPress e pubblicazioni come Black Agenda Report, CounterPunche Truthout di essere piattaforme di propaganda legate al Cremlino, senza mai citare uno straccio di prova. Nella sua lista nera il gruppo ha affiancato indistintamente siti di informazione indipendenti e eterogenei ad outlet più dichiaratamente estremiste come Infowars di Alex Jones e il sito web neo-nazista The Daily Stormer.
Il Washington Post sembra avere intrapreso una sorta di guerra ideologica contro basilari istanze progressiste, ha spiegato Foster:
“Di recente ha pubblicato un articolo che descrive come ideali di “estrema sinistra” l’assistenza sanitaria universale o la protezione dei parchi nazionali, come se anche queste tradizionali cause della sinistra liberale fossero ora ben al di fuori della portata di un panorama politico accettabile – una posizione chiaramente concepita per spostare il dibattito politico sempre più a destra. Bezos e Amazon sono semplicemente i simboli di questa regressione sociale, al pari dell’attuale occupante della Casa Bianca”.
Per Levine, questa tendenza – si pensi il sito scandalistico The Intercept che è stato acquistato dall’imprenditore miliardario della Silicon Valley e co-fondatore di eBay Pierre Omidyar – va oltre il solo Post. Levine ha commentato:
“Si tratta della questione più ampia della strada imboccata dalla Silicon Valley, con le sue aziende costruite sulla sponda delle attività dominanti su Internet; e se si dominano gli affari, si domina la narrazione della società e dei media – così funzionano le cose”.
Foster è d’accordo e non usa mezze parole per descrivere il pericolo rappresentato dal crescente potere di Amazon nella società americana:
“La democrazia può essere definita in vari modi, ma nessuna definizione di democrazia – non importa quanto speciosa – è coerente con una società in cui esiste un potere così vasto e monopolistico di una sola classe, e dove l’infrastruttura della vera democrazia (educazione, comunicazione, scienza, cultura, dibattito pubblico, canali di pubblico dissenso) è stata demolita.
Per questo ed altri motivi, la società americana e gran parte del mondo capitalista si sta spostando dal neoliberismo verso ciò che si potrebbe meglio definire come neofascismo”.