di Glen Greenwald

Le fazioni mediatiche, legali, giudiziarie e imprenditoriali del Brasile hanno trascorso gli ultimi tre anni a insistere virtuosamente che la corruzione politica sistemica è il problema più grave della nazione. Erano così terribilmente sconvolte per la corruzione che nel 2016 si sono unite, senza quasi nessun dissenso consentito, a sostegno del passo più drastico che una democrazia può compiere: la destituzione della presidente eletta, Dilma Rousseff, prima dello scadere del suo mandato. Che l’indignazione per la corruzione e la criminalità sia stata il loro pretesto per l’incriminazione, non il motivo reale, era dolorosamente evidente fin dall’inizio. Destituendo Dilma hanno consapevolmente dato il potere a criminali e gangster veri, persone il cui comportamento ladresco e mafioso fanno apparire i trucchi di bilancio di Dilma un attraversamento fuori dalle strisce. Nel pantheon della criminalità organizzata che governa Brasilia post-incriminazione, la “pedaladas” – la pedestre manovra di bilancio usato per giustificare la destituzione di Dilma – suona così bizzarra che è difficile credere che le star della Globo e i funzionari centristi pro-incriminazione siano rimasti seri nel far finta di esserne infuriati.

L’immorale carrierista che hanno insediato come presidente, Michel Temer, è stato colto su nastro a ordinare il pagamento di mazzette per mettere a tacere il letterale gangster, Eduardo Cunha, il compagno di partito di Temer che, da presidente della Camera, ha guidato la procedura di incriminazione contro Dilma e si trova ora in carcere.  Lo stesso Congresso che ha rimosso la presidente eletta con discorsi  pomposi circa il proprio disgusto per la corruzione, ha passato gli ultimi tre anni a ricevere mazzette legalizzate da Temer per proteggerlo da un processo per la sua corruzione e altri reati e – con i nastri di corruzione e il resto – mantenerlo accomodato nel palazzo residenziale.

La frode in tutto questo è troppo enorme per essere espressa in parole, ma non servono parole, visto quanto è manifesta.

Ma ora, con il loro comportamento alle elezioni del 2018, qualsiasi residuo credibile permanga della maschera etica indossata da queste star mediatiche e dalle famiglie oligarchiche che ne sono proprietarie si è completamente eroso. Quello che i media brasiliani stanno facendo oggi è così estremamente corrotto e così trasparentemente ingannevole che – indipendentemente da quanto basso sia il vostro standard per giudicarli – non ci sono parole sufficienti per esprimere il disgusto che merita.

Nella campagna presidenziale del 2018 la stampa oligarchica del Brasile è apertamente unita a sostegno del governatore di San Paolo, Geraldo Alckmin, la massima figura dell’establishment del partito conservatore PSDB. Può essere accuratamente descritto al pubblico statunitense come una versione un po’ più conservatrice e più cauta di Hillary Clinton: è in politica da decenni, finanziato da, e al servizio di, interessi imprenditoriali, occupando inoffensivamente ogni carica immaginabile, comodamente alloggiato e alimentato dall’immoralità e dalla corruzione neoliberista che unge le ruote della classe politica brasiliana.

E’ il massimo guardiano dello status quo e dell’ordine prevalente. Un candidato così unicamente privo di carisma a tutti i livelli che è spesso paragonato a un cetriolo – al punto che Cetriolo è in effetto il suo nomignolo – la sua ultima gara per la presidenza nel 2016 ha avuto come risultato una schiacciante sconfitta di 26 punti per mano di Lula. E’ fondamentalmente Jeb Bush, ma meno audace, meno eccitante e con minor sostegno popolare.

Per un buon motivo, la principale tattica politica di Alckmin consiste nel nascondersi. Non tiene raduni perché nessuno, a parte quelli che soffrono d’insonnia, vorrebbe parteciparvi. La sua ricerca del potere dipende esclusivamente da loschi patti dietro le quinte con intermediari del potere condotti nell’ombra, accompagnati da enormi quantità di denaro dagli interessi oligarchici che serve, esattamente la corruzione legalizzata che ha distrutto la politica brasiliana (e, quanto a questo, la politica statunitense) e che i media del paese fingono di trovare così detestabile.

Per tutto il 2018, nonostante l’amore non celato che i media dominanti del Brasile coltivano per lui, i sondaggi hanno mostrato Alckmin fermo a un penoso 6-7 per cento. Proprio come negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in tutta l’Europa occidentale, grandi numeri di elettori sono così sprezzanti nei confronti della classe dirigente che si rifiuteranno di votare per chiunque sia appoggiato o associato a essa.

Con l’attuale candidato alla presidenza in testa ai sondaggi, l’ex presidente Lula da Silva, in carcere e quasi certamente interdetto dal presentarsi, i tre candidati costantemente in testa nei sondaggi del 2018 sono percepiti (a ragione o a torto) come sfavoriti: il membro del Congresso genuinamente fascista Jair Bolsonaro, che brama un ritorno del governo militare e per tutto l’anno è stato in forte vantaggio in tutti i sondaggi che escludevano Lula; Marina Silva, un’ambientalista nera pacata, nera, evangelica, socialmente conservatrice della regione dell’Amazzonia; e Ciro Gomes, un politico di carriera di sinistra estremamente astuto che ciò nonostante è privo di alleati o coalizioni (grazie a una sinistra divisa senza speranza) e che è sempre stato percepito, e lo è tuttora, come un disgregatore indisciplinato.

La dirigenza del Brasile – guidata, come sempre, da grandi canali mediatici controllati da un gruppo minuscolo di famiglie miliardarie – ha trascorso il 2018 nel panico perché, per quanto si sforzino di resuscitarlo, il cadavere in decomposizione do Geraldo Alckmin è rimasto privo di vita.

Il panico della dirigenza si è manifestato la settimana scorsa in un ultimo disperato tentativo di salvare Alckmin. Il Cetriolo ha rivelato una vasta nuova coalizione con numerosi altri partiti a comporre quello che i media stanno chiamando il blocco ‘centrista’: col che intendono nient’altro che ‘non Lula e non Bolsonaro’. Sabato egli ha annunciato il suo candidato vice alle presidenziali: Ana Amélia del “Partito Progressista” di estrema destra. Per dirlo con delicatezza, non c’è alcunché di ‘centrista’ in nulla di questo. Il partito di Amélia, che sarebbe portato al potere da una vittoria di Alckmin, era la casa politica di Bolsonaro fino al 2015. Le sue origini risalgono al sostegno alla dittatura militare di destra che ha governato il paese per 21 anni, fino al 1985, in seguito al colpo di stato del 1985 appoggiato dagli Stati Uniti che depose il governo eletto di sinistra del paese.

All’epoca Amélia era una giornalista che scriveva a favore della dittatura ed era sposata con un senatore che aveva servito sotto i governanti militari ed era stato scelto da loro. Le sue idee politiche attuali si situerebbero comodamente nell’estrema destra dello spettro politico nelle nuove politiche degli USA e dell’Europa.

Diverse settimane fa, dopo che il presidente del Partito dei Lavoratori (PT) aveva concesso un’intervista ad Al Jazeera denunciando l’incarcerazione di Lula, Amélia si è recata al Senato e – in un misto quasi perfettamente equilibrato di odio xenofobo e di ignoranza – ha confuso e fatto una cosa sola di ‘Al Jazeera’ e ‘Al Qaeda’ e così ha accusato il presidente del PT di parlare a terroristi e di incitare un ‘esercito islamico’ contro il Brasile.

Per quanto brutto sia tutto questo, l’estremismo ideologico è la parte meno rivelatrice di questa farsa. Questa grande coalizione di partiti ora allineata a sostegno di Alckmin è progettata per assicurare che egli controlli il grosso dei fondi e del tempo televisivo che il breve ciclo elettorale del Brasile consente: fondamentalmente ficcare Alckmin in gola agli elettori con tanta forza, tanti soldi, tanta propaganda e potere della dirigenza che i brasiliani finiscano per inghiottirlo per un riflesso involontario, al modo in cui si costringe un cane a inghiottire una pillola amara maneggiando i muscoli della sua gola.

Ma ecco il fatto più sbalorditivo, quello che rivela per sempre quello che sono realmente i media brasiliani. Il partito con il quale Alckmin ha scelto di allinearsi più da vicino, il PP di Ana Amélia, è quello più implicato nell’inchiesta sulla corruzione che da quattro anni spazza il paese. Dei 56 parlamentari federali affiliati a tale partito, 31 – più della metà – hanno in corso attualmente accuse penali di corruzione.

Al fine di candidarsi a presidente come esterno anticorruzione, persino Bolsonaro ha dovuto lasciare questa fogna di corruzione e furto mascherata da partito politico. Anche se Amélia non è tra gli indagati, la vittoria di Alckmin eleverebbe lei e con lei il suo partito fondamentalmente criminale ai livelli più alti del potere.

E la stessa Amélia è tutt’altro che un faro di dirigenza etica: dopo aver dedicato il suo giornalismo a difendere la dittatura, ha avuto i suoi inizi politici quando è stata assunta a tempo pieno in un posto fittizio dal suo marito senatore sostenitore della dittatura, mentre lavorava anche a tempo pieno come ‘giornalista’ sfornando agitprop a favore della dittatura. E lo stesso Alckmin, giusto per inciso, è accusato di aver ricevuto milioni di dollari di fondi illegali, non dichiarati da oligarchi per finanziare le sue precedenti campagne.

Dunque questa è la cerchia del crimine organizzato in procinto di tornare al potere politico, sulle ali di gruppi mediatici e di sedicenti seri esperti politici della Globo News TV che hanno trascorso gli ultimi numerosi anni a zampettare impettiti come pavoni pretendenti etica, tenendo discorsi virtuosi a proposito dei mali della corruzione e della suprema urgenza di fermarla.

Così siamo ora in procinto di assistere allo spettacolo disgustoso delle stesse star della Globo e degli stessi editorialisti politici centristi che hanno chiesto la destituzione della presidente eletta per banali trucchi di bilancio, marciare all’unisono per elevare al potere due dei partiti più corrotti dell’America Latina, uno dei quali detiene letteralmente il primato del Maggior Numero di Dirigenti Incriminati dall’Inchiesta Lava Jato sulla Corruzione.

Il punto vitale che le élite statunitensi, britanniche e dell’Europa occidentale – ancora traumatizzate da Trump, dalla Brexit e dall’ascesa di partiti ipernazionalisti e incapaci di spiegarli – hanno passato due anni a scansare disperatamente è ora più vivido che mai in Brasile. L’autoritarismo non spunta dal nulla. I demagoghi non possono prosperare quando le istituzioni sono sane, giuste ed eque.

Le minacce alla democrazia liberale e l’erosione delle libertà politiche sono possibili solo quando la popolazione perde la fede, la fiducia e la confidenza nelle istituzioni dell’autorità. Cioè quando le società divengono vulnerabili agli appelli di quelli che minacciano – o che promettono – di radere tutto al suolo. Cioè quando i canali mediatici e gli esperti perdono la capacità di avvertire il pubblico delle bugie e dei pericoli; poiché il pubblico, con buone ragioni, considera quelle istituzioni e quegli esperti non come guardiani contro pericoli, inganni e sofferenze, bensì come principali perpetratori di essi.

Quando la popolazione considera quelle autorità come responsabili della sua sofferenza, allora le denunce di Trump, Brexit, Marine Le Pen e Bolsonaro sono non solo inefficaci, ma controproducenti. Quanto più qualcuno è odiato dai distretti dell’élite un tempo elevati e ora disprezzati, tanto più diventano attraenti i bersagli del loro sdegno.

Le fazioni dell’élite negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e nelle democrazie di tutta Europa hanno imparato questa lezione a caro prezzo. E lo stesso oggi accade alle élite brasiliane. Comportamenti come quelli cui oggi stiamo assistendo – unirsi a sostegno di una coalizione monumentalmente corrotta il cui unico proposito consiste nel mantenere ed estendere il vecchio ordine corrotto, dopo aver passato anni a fingere di volere l’opposto, è precisamente il motivo per il quale hanno perso ogni credibilità e autorità per fermare le vere minacce alla democrazia.

Se i media, le élite finanziarie e politiche brasiliane vogliono capire perché la democrazia brasiliana si sta rapidamente disfacendo, il loro tempo non è ben speso a osservare, sezionare e denunciare Bolsonaro. Molto più utile per capire le vere cause dei guai del Brasile sarebbe uno specchio molto grande.

Dopo aver finito di usarlo, possono passarlo ai loro omologhi delle élite nordamericane ed europee che, riflesse in esso, capiranno anch’esse le vere origini delle tendenze antidemocratiche e autoritarie che passano il loro tempo a denunciare impotenti.

 

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/brazils-disastrous-2018-presidential-race/

Originale: The Intercept

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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