Come FAIR ha segnalato in precedenti occasioni (ad esempio Extra! 1/17; FAIR.org 2.4.18) il termine ‘scontro’ è quasi sempre usato per mascherare un’asimmetria di potere per dare al lettore l’impressione di due schieramenti uguali in conflitto. Oscura le dinamiche di potere e la natura dello stesso conflitto, ad esempio chi lo ha istigato e quali armi, se ce ne sono state, siano state usate. “Scontro” è il migliore amico del giornalista quando vuole descrivere violenze senza offendere nessuno al potere; nelle parole di George Orwell: “per nominare le cose senza richiamare loro immagini mentali”.
E’ prevedibile allora che nello scrivere delle recenti sparatorie di massa israeliane a Gaza – che hanno ucciso più di trenta palestinesi e ne hanno feriti più di 1.100 – il termine “scontri” sia usato come eufemismo per riferirsi a cecchini in posizioni fortificate che sparano contro dimostranti disarmati a cento metri di distanza:
- Giornalista tra i nove morti negli ultimi scontri a Gaza, affermano dirigenti palestinesi della sanità (CNN, 4.2018)
- Pneumatici incendiati, lacrimogeni e pallottole vere: scontri a Gaza finiscono mortali (Washington Post, 4.2018)
- Dimostranti feriti mentre riprendono gli scontri a Gaza (Reuters, 4.2018)
- Dopo lo scontro a Gaza, Israele e i Palestinesi si battono con video e parole (New York Times, 4.2018)
Quando da una parte ci sono morti a dozzine e dall’altra si sta seduti dietro un muro pesantemente protetto a sparare contro persone disarmate da centinaia di metri di distanza (contro alcuni che indossano giubbotti con la scritta “Stampa”) non si tratta di uno “scontro”. Va descritto più accuratamente come un “massacro” o, proprio al minimo, come “spari contro dimostranti”. (Nessun israeliano è rimasto ferito, il che sarebbe sorprendente se le due parti si stessero realmente “scontrando”).
La foglia di fico degli “scontri” non è necessaria quando si scrive di nemici degli Stati Uniti. I titoli occidentali hanno regolarmente scritto che il libico Muammar Gheddari e il siriano Bashar al-Assad avevano “sparato contro dimostranti” (Guardian, 20.2.2011; New York Times, 25.3.2011). Il semplice linguaggio comune funziona quando si scrive di quelli in cattivi rapporti con la dirigenza statunitense della sicurezza nazionale, ma per gli alleati degli Stati Uniti, la spinta a una falsa parità richiede eufemismi sempre più assurdi per mascherare quello che sta succedendo davvero; in questo caso il massacro da lunga distanza di esseri umani disarmati.
Israele ha un esercito all’avanguardia: F35, corvette Sa’ar, blindati Merkava e missili Hellfire, per non citare l’apparato di sorveglianza più intrusivo del mondo; controllo totale dell’aria, del mare e della terra. Nelle manifestazioni della Grande Marcia del Ritorno i palestinesi hanno usato sassi, pneumatici e, secondo l’esercito israeliano, occasionali bottiglie Molotov, anche se non è emersa alcuna prova indipendente dell’uso di queste ultime. L’asimmetria di potenza è una delle più vaste di qualsiasi conflitto al mondo, tuttavia i media occidentali continuano ad attenersi a un livello istituzionale di “ciclo di violenze”, con “entrambe le parti” presentate come uguali. Il termine “scontri” permette loro di farlo in eterno, indipendentemente da quanto unilaterale divenga la violenza.
Adam Johnson è un analista collaboratore di FAIR.org.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/laundering-a-massacre-by-labeling-it-a-clash/
Originale: FAIR.org
traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.