La Piaggio decide di rifornirsi dove il costo del lavoro è più basso e le fabbriche dell’indotto di Pontedera chiudono. E agli operai della TMM vengono richiesti i danni per aver impedito lo smantellamento dei macchinaridi

Un anno fa una fabbrica dell’indotto Piaggio, la TMM, produttrice di marmitte per conto Piaggio, in regime di monocommittenza, ha chiuso i battenti. Una decisione improvvisa, effettuata poco prima delle ferie estive dopo mesi di intensa produzione con gli operai che ricordano le ore di straordinario chieste espressamente dal padrone. Altri operai raccontano che i magazzini Piaggio erano saturi di marmitte. Da anni ormai la produzione nello stabilimento di Pontedera viaggia a ritmi ridotti, ma la richiesta di marmitte sembrerebbe avere avuto un picco nei mesi antecedenti l’estate 2017. Fatto sta che la TMM chiude e gli operai decidono di presidiare la fabbrica con il sostegno della FiomCgil.

Nelle settimane successive non manca la solidarietà diffusa, alla Festa Rossa di Lariorganizzano un pranzo popolare raccogliendo fondi, il sindacato generale di base lancia una colletta a sostegno del presidio. Vengono organizzate manifestazione e dei blocchi ma la chiusura della TMM non produce l’effetto sperato, ossia accendere una conflittualità nel polo logistico di Pontedera. Anzi con il passare dei giorni il presidio diventa meta di viaggi “sponsorizzati” di istituzioni locali e parlamentari, in molti corrono al presidio per farsi immortalare con gli operai, la presenza del Pd diventa una costante.

Strano a dirsi, ma proprio coloro che hanno lasciato libertà di delocalizzazione alla Piaggio, chi ha per anni raccontato la fine degli operai sembra riscoprire e innamorarsi delle tute blu sotto la sapiente, e interessata, regia della Fiom.

La solidarietà della minoranza Fiom in Piaggio e del sindacalismo di base, solidarietà disinteressata e senza secondi fini, viene progressivamente sminuita, la sua presenza ai cancelli non viene ben accolta, si crede nelle promesse delle istituzioni locali, di un Governo (Gentiloni) che qualcosa avrebbe potuto fare visto che il figlio del padrone della Piaggio, Matteo Colaninno, ricopre anche ruoli dirigenziali nel Partito democratico. Ma questo conflitto di interesse viene sapiente rimosso e le responsabilità della monocommittenza Piaggio vengono sminuite se non addirittura ignorate, sempre e comunque sotto la sapiente regia della Fiom Pisana.

Il presidio va avanti per mesi e dura tutt’ora, ma non avere trasformato la vertenza TMM in vertenza del Polo logistico alla fine si rivela una scelta perdente come anche riservare fiducia, cieca ed assoluta, nelle istituzioni locali e nel Governo. Arriva più volte il Presidente della Regione, Enrico Rossi, ex sindaco del Pds a Pontedera negli anni aurei della delocalizzazione. Presidente che in Regione non ha voluto discutere di una proposta di legge mirata proprio a combattere le delocalizzazioni e che prevede la restituzione, con gli interessi, di tutti i soldi pubblici ricevuti da chi trasferisce la produzione. E così la TMM chiude definitivamente, dopo che l’anno precedente un’altra fabbrica dell’indotto, la Ristori, aveva fatto altrettanto. Diventa palese il disegno dei Colaninno, ossia trasferire le produzioni nel sud-est asiatico o altrove dove il costo del lavoro è ai minimi termini. E così iniziano l’inesorabile declino le aziende create negli anni del boom produttivo, anche su pressione della stessa Piaggio.

Gli operai della TMM, anzi una piccola parte degli stessi, hanno continuato a presidiare la fabbrica impedendo l’uscita dei macchinari che il curatore fallimentare avrebbe voluto vendere. È la sola forma di lotta attuata, come se il problema fosse circoscritto solo alla TMM. Inizia un braccio di ferro che porta alla richiesta di danni da parte del curatore per conto dell’azienda e le immancabili querele ai danni degli operai del presidio.

La Cgil promette assistenza legale, le istituzioni locali parlano di offesa e provocazione ma Colaninno può dormire sonni tranquilli, nessuno pensa che in fondo la Piaggio abbia responsabilità dirette in questa vertenza.

La solidarietà al presidio è un atto dovuto ma anche la solidarietà diventa un’arma se si trasforma in azione offensiva e non in una sterile dichiarazione a mezzo stampa.

A poche centinaia di metri dalla TMM, nella cooperativa in appalto a Ceva, due giorni di sciopero strappano l’integrativo aziendale, ma la vertenza Tmm diventa terreno fertile solo per la retorica istituzionale, le avanguardie di fabbrica, il sindacalismo di base vengono tenuti ormai lontani dal presidio e dagli operai, resi sicuramente più deboli davanti al padrone da questo isolamento. Ma sicuramente attrattivi per il Pd e le istituzioni locali che possono indossare il vestito della solidarietà astratta, pensando ad una cooperativa di operai per rilevare la produzione (esperienze analoghe come in una falegnameria del Pisano sono naufragate e gli operai hanno perso anche il loro Tfr investito per diventare soci di una azienda presto fallita). Illusoriamente si è pensato che lo sdegno inconcludente delle istituzioni potesse far recedere i padroni dai loro propositi, dalla loro vendetta contro gli operai ai quali vengono richiesti colossali risarcimenti danni.

Una vertenza sulla quale riflettere augurandosi che la solidarietà attiva agli operai sia manifestata da tutte/i ma allo stesso tempo riflettendo sulla fiducia accordata a Istituzioni che sono corresponsabili delle delocalizzazioni avvenute.

https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/il-padrone-chiude-e-chiede-i-danni-agli-operai

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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