di Fabrizio Verde
L’Argentina è ormai scomparsa dalle cronache del circuito mainstream. Tranne che per avanzare paragoni quantomeno arditi con un’Italia che dovesse eventualmente abbandonare la zona euro. Il motivo è facilmente intuibile: a causa delle politiche di neoliberismo selvaggio implementate dal presidente Mauricio Macri, il paese sudamericano è ripiombato in quel baratro da cui era stato tirato fuori con enormi sacrifici, dopo il default, prima da Nestor Kirchner e poi da sua moglie Cristina Fernandez de Kirchner. Grazie a politiche di segno completamente opposto. Ingaggiando anche una dura battaglia contro i fondi avvoltoio che pretendevano di continuare a spolpare il paese.
Tre anni di neoliberismo sfrenato dove hanno portato l’Argentina? A spiegarcelo è l’Indec – equivalente della nostra Istat – che fotografa una situazione chiara: l’attività economica argentina è crollata del 6,7% a giugno secondo gli ultimi dati, mentre la recessione continua a peggiorare nel paese. Oggi l’incertezza è persino maggiore rispetto a mesi fa e le aspettative di un’uscita dalla crisi sono rimandate solo a metà del 2019, secondo la maggior parte degli analisti economici e persino i portavoce ufficiali.
Inoltre, l’impatto della svalutazione della moneta, la confusione quotidiana riguardo il suo valore nei confronti del dollaro e la grave siccità che ha colpito gran parte della produzione agricola del paese (-31%) sono le principali cause del crollo economico attuale. Anche l’industria (-7,5%) e il commercio (-8,4%) sono fortemente influenzati dal calo dei consumi e dall’aumento dei costi dell’elettricità e dell’energia in generale.
Il calo del 6,7% su base annua si verifica anche nel contesto di un’inflazione in crescita, che si stima essere intorno al 35% alla fine dell’anno. Misurato in termini interannuali, l’aumento generale dei prezzi era già al 31,2% a luglio, con una tendenza al rialzo.
I dati Indec segnano l’approfondimento della recessione in Argentina, con un livello di attività economica già inferiore rispetto a quando Macri ha assunto la presidenza a dicembre 2015.
Secondo l’economista Martin Alfie, citato dal quotidiano La Nación, «siamo nel peggiore dei mondi possibili: alla siccità è andato ad aggiungersi l’effetto del tasso di cambio, combinato con una forte caduta dell’industria e del commercio, prodotto di un mercato interno colpito dall’accelerazione dell’inflazione».
Questa brusca caduta dell’economia argentina è frutto di un destino cinico e baro? La risposta è no. Si tratta semplicemente del prodotto di una serie di politiche scellerate che ovunque trovino applicazione recano danni ingenti all’economia. Basti pensare alla Vecchia Europa dove la Grecia è stata devastata per non cagionare perdite alle banche ed al grande capitale speculativo.
A differenza del Venezuela, l’Argentina non è un paese assediato e vittima di una spietata guerra economica. Gli Stati Uniti non hanno applicato nessuna sanzione volta a colpire il governo di Buenos Aires. Anzi, Mauricio Macri, all’inizio del suo mandato aveva enfatizzato che grazie alle sue politiche l’Argentina sarebbe tornata ad aprirsi al mondo. Questi sono i risultati: miseria crescente, disoccupazione di massa, repressione e un pugno di ricchi che continua ad accumulare fortune.
Ai tanti detrattori del socialismo latinoamericano, liberal liberisti alle vongole, sarebbero da rispedire al mittente tutte le loro critiche ideologiche e preconcette. Con la speranza (mal riposta) che possano iniziare a raccontare i favolosi successi del neoliberismo reale in America Latina. Il neoliberismo avrebbe dovuto portare benessere al paese, ma come sempre avviene, ha impoverito la classe operaia e l’intera popolazione. Qualcuno ancora ci crede però.