I toni da comizio sono presagibili, persino scontati: vittimismo incluso, anzi protagonista quasi assoluto della risposta (diciamo) politica ad intervento della magistratura laddove si ravvisano delle ipotesi di reato commesse da un pubblico ufficiale nell’adempimento delle sue funzioni. Funzioni da ministro, quindi le garanzie costituzionali sono speciali, nel senso che sono costruite dalla Carta fondamentale proprio per tutelare tanto l’indipendenza del potere esecutivo quanto quella del potere giudiziario.
Ed è proprio su questi aspetti che si evidenzia oggi, nell’indagine aperta nei confronti di Matteo Salvini sul caso della nave Diciotti, uno scontro istituzionale non da poco, tanto da far intervenire persino il Vicepresidente del Consiglio superiore della Magistratura per richiamare le varie componenti dello Stato ad un rapporto più consono a quelli che dovrebbero essere i livelli di separazione e i confini di reciproca indipendenza contenuti nella divisione dei poteri di settecentesca memoria.
Il problema burocratico e statale, istituzionale e giuridico si avvolge su sé stesso e diventa di difficile comprensione per la gente comune che, a detta di uno studio pubblicato oggi su “La Stampa”, è la prima a recepire, soprattutto dalle periferie delle grandi parti del Paese, i messaggi esasperati, i toni esarcebati di un governo (di parti di esso) che sono alla base della formazione di una opinione pubblica assolutamente non corrispondente con la realtà dei fatti. Nemmeno sul caso della nave Diciotti.
Si trattava di 150 migranti, tra cui donne violentate in Libia, bambini… stiamo parlando di 150 persone non di migliaia. Ed anche fossero solo dieci, per il governo, per il ministro dell’Interno vale il suo punto di principio: non devono sbarcare in Italia. Se li prenda l’Europa. Poi, siccome la diplomazia non è arte per questo esecutivo, davanti alle minacce di mancati versamenti delle quote comunitarie, l’Europa volta la schiena con repentina velocità e allora Roma fa appello al di fuori dell’Europa (o quasi): quell’Albania che Salvini non voleva nella UE (“Entrano loro e usciamo noi, che ne dite?”) accoglie 20 (dicasi venti) migranti; la Repubblica d’Irlanda (che pure dell’Unione Europea fa parte) ne accoglierà 25. Il resto se lo suddivideranno i vescovi nelle parrocchie.
Si trattava di 150 persone che sono state trattenute sulla nave per giorni e giorni senza poter sbarcare per ricevere quegli umani (oltre che istituzionalmente “umanitari”) aiuti e soccorsi. L’ordine era perentorio: non devono sbarcare.
Per questo i magistrati hanno ipotizzato una serie di reati: sequestro di persona (reato che diventa ancora più grave, come tutti gli altri del resto, se commesso da un pubblico ufficiale), abuso d’ufficio e arresto illegale.
Manna dal cielo per Salvini che, con spavalderia tutta da primo novecento, afferma: “Mi arrestino pure, li aspetterò con una bottiglia di grappa”. Quanto meno gretto quando afferma, a proposito dello stupro di una ragazzina di quindici che “quel verme non può nemmeno essere rimpatriato”. Non c’è discussione sulla tragedia vissuta da questa ragazza. Come tutte le violenze è un orrore. Ma ciò che aggiunge violenza verbale all’orrore materiale non fa che alimentare non il senso di giustizia che si deve far nascere e crescere nello Stato di diritto, bensì solo odio, rancore, disprezzo. E tutto ciò può condurre alla violenza. Non lo affermo io ma Gesù Cristo nelle parole tramandate dai Vangeli che Salvini ha esibito a Milano in campagna elettorale.
Il linguaggio ha un valore (o un disvalore a seconda dei casi) ma conta; le parole sono veramente pietre. E se tu su una pietra scrivi “complotto dei magistrati” e su un’altra “verme”, segnando con lo scalpellino dell’odio ogni messaggio che mandi al Paese, allora il Paese si plasmerà ancora di più su questa linea: non penserà ai migranti della Diciotti ma ai cattivi, cattivi, cattivi magistrati che vogliono fermare l’azione “innovatrice” del governo (a proposito, chi consente a Salvini di includermi nella totalità del popolo italiano che vuole il “suo” cambiamento? Io non lo voglio, non l’ho votato e lo ripudio decisamente come elemento che sovverte la Costituzione e le fondamenta democratiche della Repubblica. Quindi, sia gentile (può esserlo?), dica 59.999.999 milioni di italiani, ma non includa me. Al prossimo censimento ne riparleremo…).
Possiamo lasciare alla Magistratura un compito che spetta alla politica? Oggi i pubblici ministeri, nel compiere l’azione penale, esercitano il loro ruolo indipendentemente dagli altri poteri dello Stato. Ma la politica, noi che la viviamo ogni giorno, cosa stiamo facendo a sinistra per arginare questa sfida che il governo porta avanti contro le più elementari garanzia costituzionali per ogni cittadino?
Dietro gli slogan de “prima gli italiani” c’è “dopo la democrazia”.
A settembre, ossia tra pochi giorni, è necessario convocare una grande assemblea nazionale delle forze della sinistra di alternativa e di tutti coloro che si oppongono (da sinistra) al governo giallo-verde per restaurare la democrazia repubblicana con la cacciata di un esecutivo che imbarbarisce l’Italia, che la allontana da una Europa che ci vede “già persi” nel mare magnum dei populismi alla Orbàn e alla Marine Le Pen. Lo pensa persino un liberista acceso come Emmanuel Macron, il che dovrebbe darci la cifra del pericolo che stiamo correndo.
Noi, invece di ascoltare attentamente i nostri avversari e nemici, discutiamo (anche giustamente) delle forme aggregative della sinistra. Uniamo queste discussioni, facciamo della costituente del quarto polo della sinistra prima di tutto un luogo dove la Repubblica e la Costituzione possano essere protette e rilanciate. Senza l’una non può esistere l’altra.
Senza entrambe non esiste nessuna democrazia in Italia. Sarà formale quanto volete, ma senza la formalità sarà anche difficile riuscire ad immaginare una nuova sostanzialità per i diritti sociali e civili. Per l’umano vivere in un Paese dove di umano vi è sempre meno, dove la crudeltà, la cattiveria gratuita, l’odio e il disprezzo per le differenze è la costante di una politica priva di sentimento laicamente repubblicano, lontana anni luce da qualunque ipotesi di giustizia sociale ed esattamente il contrario dello spirito egualitario che è scritto nella Costituzione.

MARCO SFERINI

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Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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