C’è un dato eclatante che riguarda l’ascesa dell’estrema destra. Per una volta non si tratta della triste situazione dell’Italia politica e (anti)sociale.
Questa volta andiamo nella Germania della cancelliera Merkel dove Alternative für Deutschland (AfD), partito che, anche solo con una banalissima ricerca su Wikipedia, viene definito così: nazionalista, populista di destra, euroscettico, conservatore-nazionale, anti-islamico, antifemminista e antieuropeo.
Unite i puntini da 1 a 50 e si formerà una croce uncinata vecchio stile, magari mascherata dietro una comoda freccia di colore rosso tra le parole “Alternative” e “Deutschland”. Questo partito, non nuovo alle cronache xenofobe e razziste in Germania, sta guadagnando terreno laddove un tempo era il regno del cosiddetto “socialismo reale” della DDR: la vecchia Repubblica Democratica Tedesca, quella che molti comunisti scambiavano per un esempio lampante di chiarissimo comunismo.
Un difetto sempre più comune, con lo scorrere del ‘900, per noi di sinistra, per noi comunisti quello di rimanere abbagliati da esempi di rigido burocraticismo che venivano scambiati con un binomio inesistente di giustizia nella libertà: senza scomodare “La ballata di Pinelli”, prendendone però a prestito le parole, nella DDR non vi era nulla che potesse assomigliare al capovolgimento del capitalismo e alla creazione di una società libera nella diversità del singolo rispetto alle masse e alla libertà di queste ultime nel confronto col singolo cittadino, individuo, persona, lavoratore.
Forse il più duro dei regimi satelliti dell’Unione Sovietica, quello della STASI, la polizia politica che spiava decine di migliaia di cittadini arrivando con i suoi microfoni dentro le pareti domestiche… perfino al cesso.
Il lascito, dopo il crollo del muro berlinese e la caduta del castello di carta del socialismo reale, fu la trasformazione dell’ex Repubblica Democratica in un bacino di sfruttamento da parte del ricchissimo regime occidentale: liberalizzazione dei commerci, mercato in espansione e caduta delle ideologie. Un copione che si ripete spesso nella storia.
Così i comunisti della DDR si riorganizzano in una “PDS”, un partito del socialismo democratico, diventano moderati ma conservano – almeno loro – un tratto distintivo dalla socialdemocrazia della Repubblica Federale. Li si potrebbe definire comunisti senza comunismo, oppure socialisti senza socialismo ma con uno spiccato senso di appartenenza a valori di eguaglianza ormai, già all’epoca, rari da ritrovare per l’Europa.
Trascorre un ventennio dove nel continente le forze di sinistra si riorganizzano, si ammodernano, subiscono sonore sconfitte: in Italia quasi scompaiono (tutt’ora stanno scomparendo, ammesso che qualcuno di noi non vi metta mano e in fretta…), mentre in Germania si assiste ad una ambivalenza rappresentata da un lato dai Verdi e dall’altra dalla Die Linke, una sinistra che ha unito la ex PDS con la sinistra socialdemocratica di Lafontaine. Un “Front de gauche”, una “Federazione della Sinistra”, una “Izquierda unida”, per dirla in vari modi.
Alcune esperienze resistono e progrediscono, altre muoiono miseramente.
La Linke elettoralmente “tiene”, viaggi sul 9% dei voti. Ma nell’insieme la società tedesca, pur essendo la più prospera d’Europa, quella con l’economia “locomotiva” che traina tutto il resto dell’Unione Europea, cambia anch’essa davanti ai fenomeni di massa che investono il mondo: terrorismo, migrazioni, rinascita dei particolarismi nazionali.
Così accade che dai nostalgismi neonazisti dei “republikaner” si passi ad una nuova espressione politica che comprenda tutto il contrario di ciò che la Germania ha giurato di non essere più e di non tornare più ad essere: per quarant’anni e più i tedeschi hanno fatto i conti silenziosamente con un senso di colpa profondo, vissuto in ogni famiglia del dopoguerra. Perché nessuno poteva dirsi al riparo dall’accusa di aver sostenuto, anche tacitamente, il regime hitleriano.
Al sole o all’ombra della svastica c’erano un po’ tutti e quei pochi resistenti che hanno combattuto il nazismo, pur nell’estremo sacrificio, non hanno consentito alla Germania di riscattarsi nell’immediato dopoguerra.
Così, per contraccolpo della storia, la Germania è diventata in Europa il luogo di coltivazione maggiore della solidarietà sociale: si sono ricostituiti forti sindacati di massa, la democrazia parlamentare ha trovato piena applicazione e, da un lato il capitalismo e dall’altro il socialismo reale, hanno preso piede comunque antitesi politico-ideologiche rispetto a quelle del NSDAP.
L’espansione merceologica degli anni ’90, con la ritrovata unità territoriale, politica, monetaria, ha portato con sé tutte le insoddisfazioni sociali che non può non trascinarsi dietro: in questo senso il paragone con la ex DDR crea quella contraddizione fatale che determina pensieri del tipo: “Comunque all’epoca si stava meglio”, “Un pezzo di pane lo avevano tutti”, “C’era meno delinquenza”.
Ricchezza apparente del capitalismo va a braccetto con la povertà evidente che crea, mantiene come esercito di riserva per ricattare i lavoratori e i disoccupati del caso.
Di qui la rinascita dell’orgoglio nazionale, del conservatorismo (anti)sociale, tipici del nazismo: nazional-socialismo. Ricordiamocelo sempre: la componente sociale del nazismo è diversa da quella originaria del partito fascista mussoliniano, eppure esiste ed è, paradossalmente, rappresentata dal rosso della bandiera con la svastica.
Oggi, dunque, tornando al principio di questa lunga disquisizione, i neonazisti mascherati sotto nuovi nomi e nuovi simboli sono in procinto di raccogliere nei Lander della ex DDR ben il 27% dei voti: così recitano i sondaggi.
A scapito di chi? Della CDU di Angela Merkel, che da tempo ha surclassato la SPD, mentre la Die Linke rimane sulla buona percentuale del 18%.
Flettono leggermente i loro voti nei Lander occidentali e si rafforzano in quelli orientali, questi nuovi nazional-conservatori-antitutto dell’AfD. Sembrerebbe proprio un’ennesima espressione di voto di protesta che nasce anche grazie alle campagne mediatiche di questi mesi impostate dal ministro dell’interno Horst Seehofer.
La politica di AfD spesso è vicina a quella di PEGIDA (Patriotische Europäer gegen die Islamisierung des Abendlandes), “Patrioti europei contro l’islamizzazione dell’Occidente”, tanto per dire… il nome sobrio che si sono dati questi nazionalisti.
Questa unione di destra estrema rischia, dunque, di sfondare anche in Germania: l’ondata di xenofobia e razzismo, di odio e di intolleranza che pervade i paesi di Visegrad e che si allarga dall’Italia alla Germania rischia di abbracciare l’intero continente.
Ed a noi tocca assistere impotenti ad una riedizione del primo dopoguerra di inizio Novecento, quando i popoli cedevano alle pressioni autoritarie in cambio della “sicurezza” soprattutto sociale.
La risposta a tutto ciò non possono essere forze liberiste ma solo forze socialiste, comuniste, anticapitaliste che mostrino l’ipocrisia delle destre nell’apparire “sociali” e nell’essere invece quanto di più antisociale possa manifestarsi col tratto del rinnovamento, della protezione e della conservazione sociale.
Né Macron, né la Merkel sono la soluzione. Bisogna trovarne una e in fretta prima che la Grecia e la Spagna rimagano da sole a provare a difendere la democrazia apparente. Almeno quella…

MARCO SFERINI

http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/il-freddo-vento-del-neonazismo-su-mezza-europa/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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