La risposta dei sassaresi non è un grido d’indignazione, un corteo con bandiere e striscioni e neppure un raduno in pieno centro. Sì, qualche manifestazione di piazza c’è stata ma per strapparsi di dosso l’etichetta di città dei funerali fascisti la reazione sara molto più forte. Ed è tutta legata al racconto del dramma di Vittorio Palmas, che oggi ha 105 anni e che dal campo di concentramento di Bergen Belsen, lo stesso di Anna Frank, è scampato solo per due chili di troppo: «Quelli sotto i 35 venivano spediti alle camere a gas, ma io per fortuna ne pesavo 37».
La risposta a CasaPound
Sassari reagisce così, provando ad alimentare la memoria e a combattere il rischio di nuovi sentimenti fascisti. Forse non basterà, ma raccontare nella sede del Consiglio comunale la storia di Vittorio Palmas (che a Perdasdefogu, suo paese, tutti conoscono come Cazzài) sarà una vera lezione. Lo schiaffo più forte per il gruppo di militanti di CasaPound che qualche giorno fa hannoorganizzato una specie di parata fascista per il funerale di un professore universitario che non aveva mai fatto mistero delle sue idee di estrema destra.
Ventidue persone indagate
Idea del figlio, che infatti ora è sotto inchiesta insieme ad altre 22 persone. L’indagine della procura della Repubblica e della Digos è ancora all’inizio ma nella città di Berlinguer, di Cossiga e di Segni il caso continua a suscitare indignazione. E martedì prossimo il Consiglio comunale si trasformerà nel teatro della memoria. Non si discuterà la solita mozione ma sarà messa in scena un’opera teatrale che ripercorre la storia di Vittorio Palmas, raccolta in un libro dal giornalista Giacomo Mameli e trasformata nella pièce “Storia di un uomo magro”.
Il racconto della prigionia
Racconto forte, impressionante, altamente drammatico quello del centenario sopravvissuto. Una vita secolare legata alle oscillazioni delle lancette di una bilancia. «Foglio di matricola 37053, mi chiamano alle armi il 2 aprile 1935, sono in forza al 57.mo Reggimento di stanza a Vicenza. Mi visitano e mi giudicano “rivedibile per debolezza di costituzione”. E dire che pesavo 62 chili e che fino ad allora lavoravo come un mulo nei terreni di casa, trebbiavo il grano e vendemmiavo la vigna, zappavo l’orto e facevo muretti a secco. Mi rispediscono a Perdasdefogu e torno alla vita di sempre: scuola niente, orto per le patate, bosco per la legna, alla fontana per l’acqua, dietro qualche bara da portare al camposanto, al pascolo con le capre».
Due chili gli hanno salvato la vita
Tre mesi dopo Vittorio Palmas si ritrova prigioniero di guerra. In un campo di concentramento con altri 200 italiani. Prima a Berlino a fare il saldatore-schiavo dei tedeschi e poi a Bergen Belsen. «In quei giorni ci pesavano tutti. Il più tranquillo era il mio compagno di Padria, quello che mangiava molto. Ma chi era sotto i 35 chili spariva. Sì, veniva messo in un angolo del capannone. Li mettevano insieme, li portavano al centro del campo e poi venivano uccisi nelle camere a gas e poi buttati nei forni crematori. Proprio come vedo e sento adesso dire dalla televisione. Quando ero stato fatto prigioniero, in Croazia, pesavo 62 chili ma la vita del campo di concentramento mi aveva quasi ridotto all’osso. Eppure quel giorno mi sono salvato per due chili, due chili che mi fanno raccontare questa mia vita».