Quando – e soprattutto perché – l’Europa è diventata un valore per noi di sinistra? Premetto – a scanso di equivoci – che io non sono sovranista. Non posso esserlo perché sono l’esatto contrario: sono internazionalista. Anzi sono internazionalista perché sono comunista e non si può essere comunisti e sovranisti allo stesso tempo.
Quando penso però alla mia storia politica – agli anni della mia “resistibile” carriera – ricordo l’enfasi che mettevo – che mettevamo più o meno tutti noi – sul tema dell’Europa: era nei nostri documenti congressuali, nei nostri discorsi, nel nostro sentire comune. Allora pensavamo – e mi sembra che molti lo pensino ancora oggi, non solo nel pd, ma anche nella composita galassia della “sinistra a sinistra del pd” – che essere di sinistra significasse essere a favore dell’integrazione europea e che lavorare per questo fine dovesse rappresentare un nostro obiettivo fondamentale. Sbagliavamo. Drammaticamente. E probabilmente questo è stato uno dei più gravi dei nostri errori.
Ovviamente io mi sento europeo, anzi mi sento europeo più di quanto mi senta italiano, perché sono nato e cresciuto nella cultura europea, e non potrò che essere tale, perché continuerò per sempre ad amare il teatro di Shakespeare e di Eduardo, la musica di Mozart e di Verdi, i quadri di Picasso e di Raffaello, i romanzi di Dostoevskij e di Calvino. Sono europeo perché la mia filosofia è quella greca. E altrettanto naturalmente sono contento che una lungimirante classe politica abbia deciso, alla fine del secondo conflitto mondiale, di creare dei meccanismi – attraverso il controllo comune delle materie prime che servono alla guerra, il carbone e l’acciaio – che rendessero sempre più difficile quello che era successo nei secoli precedenti, ossia lo scontro armato tra i paesi che, pur condividendo una cultura comune, avevano coltivato interessi economici e politici divergenti e spesso contrapposti. Occorre però anche dire che, al di là della capacità degli uomini che fecero l’Europa, la storia aveva deciso di andare da un’altra parte. Nella seconda metà del Novecento i paesi europei hanno smesso di essere potenze e il loro ruolo è stato preso da altre entità politiche e quindi i conflitti tra di essi sarebbero stati oggettivamente inutili e irrilevanti. E non si combatte mai una guerra inutile.
E allora perché, sostanzialmente tra la fine degli Ottanta e gli inizi dei Novanta – gli anni del nostro disorientamento, gli anni in cui abbiamo cominciato a morire – ci siamo aggrappati a questa idea dell’Europa? Credo per un motivo inconfessabile; e che infatti non abbiamo mai confessato. Teorizzavamo – e questo lo dicevamo in maniera esplicita – che l’Italia fosse un paese a maggioranza di destra, quasi naturaliter di destra, e quindi pensavamo che per vincere noi dovessimo progressivamente spostarci verso il centro, se non sposare tesi apertamente di destra. E questo accadde: diventammo un’altra cosa e vincemmo, e quindi ci convincemmo che stavamo facendo bene, che quella era la strada giusta. Invece avevamo vinto non perché eravamo diventati un’altra cosa, ma perché ci avevano fatto vincere, perché avevano capito che eravamo deboli, influenzabili, che saremmo stati a loro disposizione. Ma credo anche che pensassimo che il nostro paese fosse sostanzialmente irriformabile – un peccato esiziale per chi si professava riformista – che i condizionamenti interni e direi gli ostacoli etici prima che politici fossero troppo forti o comunque che noi fossimo troppo deboli per sconfiggerli. Ci convincemmo che in un contesto molto più ampio, che noi immaginavamo virtuoso, come quello europeo, la tara italiana, che era così preponderante se paragonata solo al nostro paese, sarebbe stata molto minore e finalmente affrontabile. E così cademmo nella loro trappola.
Qual è stata la funzione storica del governo Prodi? A cosa siamo davvero serviti noi che abbiamo fatto il centrosinistra? A portare l’Italia nell’euro. La destra non ci sarebbe riuscita – o almeno non ci sarebbe riuscita con la stessa facilità e la stessa rapidità con cui ci riuscimmo noi, perché noi avevamo una classe dirigente migliore e perché le persone che più avevano a temere di quel passaggio si fidavano di noi. A distanza di tanti anni dobbiamo riconoscere che è stata da parte loro un capolavoro politico: noi abbiamo fatto quello che loro non volevano e non avrebbero saputo fare, abbiamo consegnato il nostro paese a un potere fuori controllo e così ci siamo addossati ogni responsabilità.
E così adesso, dopo che hanno ricreato una destra fascista che fa paura, noi dobbiamo per forza di cose affidarci ancora una volta a loro. Tra Draghi e Orban chi scegliereste? Ovviamente Draghi, diranno subito i miei piccoli lettori. No, avete sbagliato. La soluzione per sconfiggere il fascismo non può essere quella di affidarsi a chi lo ha creato. E allo stesso modo non possiamo combattere il sovranismo solo affidandoci a un sovranismo a una dimensione più grande. Non si sconfigge il fascismo che sta tornando a essere forte in Europa affidandoci all’Europa del capitale. Provate a immaginare a qualcosa di diverso, provate a non essere schiavi di questa scelta, che sarà comunque per noi esiziale.