Di Sophie Grahl – Jacobin Mag
Traduzione a cura di Enrico Strano
Cosa spinge a sfuggire alla povertà della propria infanzia? Forse la necessità sociale e materiale o l’impulso alla reinvenzione. Per Didier Eribon, sono coinvolti anche un certo grado di vergogna e disgusto.
Eribon è nato nel 1953 ed è cresciuto in un complesso residenziale alla periferia della città francese di Reims. Fu il primo della sua famiglia a completare l’istruzione secondaria. Si è trasferito a Parigi a vent’anni per studiare filosofia, diventando infine giornalista, accademico e biografo di Foucault. Inorridito dall’omofobia e dal provincialismo della sua famiglia, rimane stentatamente a contatto con loro e non partecipa ai funerali di suo padre.
La morte di suo padre, tuttavia, lo ha influenzato profondamente. Il giorno dopo la sepoltura, Eribon visita la madre nel pomeriggio. Insieme, guardano vecchie fotografie che dipingono in modo crudo la miserabile povertà della sua infanzia. Questo momento lo spinge a scrivere un libro di memorie profondamente analitico. In esso, giunge alla conclusione che non era solo la sua omosessualità a spingerlo verso un ambiente intellettuale borghese, ma un forte desiderio di fuggire dal contesto di classe della sua famiglia.
Il ritorno di Eribon a Reims è un’esplorazione fieramente politica e mirabilmente autoriflessiva delle ragioni di questa cosiddetta “vergogna di classe”.
Un mondo a parte
Eribon offre un resoconto commovente dell’incarcerazione sociale della vita della classe operaia. Suo padre era un operaio che ha lasciato la scuola a quattordici anni; sua madre ha lavorato come donna delle pulizie in modo precario, poi ha iniziato a lavorare in fabbrica per permettere a Didier di finire la scuola. Entrambi lavorarono fino alla metà della cinquantina, quando ricevettero un “pensionamento anticipato”, “sputati fuori dal sistema che li aveva sfruttati in modo spudorato”.
Ma Eribon confessa di aver mostrato scarso interesse per la realtà della loro oppressione. Mentre da giovane abbracciò intellettualmente il marxismo, definisce questo “un modo di idealizzare la classe lavoratrice, di trasformarla in un’entità mitica”. Ha letto pensatori come Marx e Sartre per sfuggire all’esperienza dei suoi genitori , piuttosto che capirla.
“Il mio marxismo giovanile era quindi un vettore di una forma di disidentificazione sociale: ho glorificato la “classe operaia” per mettere più distanza tra me e gli effettivi lavoratori.” Molti di coloro i quali leggono Marx e Trotsky durante i loro anni di ribellione adolescenziale (con malinconia) lo correlano alla facilità con cui si può ignorare le realtà sociali mentre si entusiasmano con idee filosofiche astratte.
Eribon ritrae evocativamente la ferocia fisica del lavoro manuale. Descrive il “corpo di sua madre irrigidito e dolorante a causa dei difficili compiti che ha svolto per quasi quindici anni.” Irritato dalla brutalità di questo lavoro, scrive “Non posso fare a meno di essere colpito da che cosa disuguaglianza sociale significhi concretamente, fisicamente. Persino la stessa parola “disuguaglianza” mi sembra un eufemismo che documenta la realtà della situazione, la nuda violenza dello sfruttamento “.
Eppure i genitori del giovane marxista Eribon, intrappolati in un lavoro così poco retribuito e alienante, avevano aspirazioni molto diverse dalle sue. Erano ansiosi di ottenere i beni di consumo che ai loro nonni erano stati negati: un divano di pelle da catalogo o un’auto usata. Da adolescente, Eribon ha trovato questo tipo di materialismo “deplorevole” e ha criticato i suoi genitori per essere troppo “borghesi” – qualcosa che attribuirà in seguito ad “un’espressione del mio desiderio di non essere affatto come loro”.
Osserva che le aspirazioni della classe operaia cambiano nel tempo e una narrativa che ignora le complessità e le contraddizioni ai fini della mera convenienza politica è destinata a essere falsa. “Qual è il senso di una storia politica che non tiene conto di ciò che le persone sono realmente mentre interpreta le loro vite, una storia in cui il risultato è che si finisce col dare la colpa agli individui in questione per non essersi conformati alla finzione che si è costruita?”
La fine del partito
La preoccupazione principale delle memorie di Eribon non è tanto la sua stessa traiettoria politica, quanto quella dei suoi genitori e della loro comunità: una tradizionale roccaforte comunista in seguito espugnata dall’estrema destra. Dagli anni ’50 agli anni ’70 tutta la sua famiglia era comunista, non solo nel senso che votavano per il candidato comunista ad ogni elezione, ma che il Partito era “il principio organizzatore e l’orizzonte incontrastato del nostro rapporto con la politica”. A che punto e per quali motivi, ciò ha lasciato il posto al voto per il Fronte nazionale e sempre più (se non sempre) al discorso di estrema destra?
I commentatori liberali, di fronte alle persone della classe operaia che si rivolgono all’estrema destra, spesso reagiscono con orrore. Ma quella di Eribon è una narrativa nettamente umanista che cerca di contestualizzare queste tendenze nella frammentazione delle comunità della classe operaia. I giornalisti centristi spesso incorniciano le rotture generazionali come il risultato di tratti di personalità contrastanti (per esempio, i millennial sostenitori della UE in Gran Bretagna contro i loro nonni votanti la Brexit). Ma Eribon mostra che, il più delle volte, il divario esiste a causa delle disparità nell’esperienza politica.
Esaminando la rottura tra la classe operaia e la sinistra, Eribon sostiene che l’elezione del candidato socialista François Mitterrand come presidente nel 1981 “ha prodotto presto un forte senso di disillusione nei circoli della classe operaia e perdita di interesse per i politici nei quali avevano precedentemente avuto fiducia e per i quali avevano votato. “Ciò è dovuto, in particolare, alle speranze accumulate dal coinvolgimento del Partito Comunista (PCF) nella nuova amministrazione. Un PCF forte di cinquecentomila uomini, e fortemente radicato nella classe operaia, era stato cruciale per l’elezione di Mitterrand. Quest’ultimo incluse quattro dei suoi dirigenti nel suo gabinetto mentre prometteva di guidare il paese verso la “strada francese verso il socialismo”.
Tale audace discorso sulle riforme radicali non si è tradotto nella realtà. Il conseguente declino del sostegno al PCF – secondo Eribon, esacerbato dalla sua incapacità di impegnarsi con i movimenti sociali post-68 o dal declino dell’Unione Sovietica – ha lasciato gli elettori della classe operaia senza nessuno a cui votare. “Destra o sinistra, non c’è differenza”, ripeteva la madre di Eribon quando parlavano, “sono tutti uguali, e le stesse persone finiscono sempre per pagare il conto.”
Certo, il conto la classe operaia lo pagò, mentre Mitterrand andava alla deriva e verso l’ortodossia fiscale. Il suo “tournent de la rigeur” del 1983 ha abbracciato l’austerità e ha portato al PCF ad abbandonare il governo l’anno successivo. Ma Eribon sostiene che anche durante i primi anni ’80 del periodo delle riforme soft-left, il Partito Socialista (PS) ha subito una trasformazione nel suo ethos, inaugurando una cosiddetta “filosofia politica”, totalmente incapace di parlare alle persone della classe operaia . Una nuova generazione di intellettuali reazionari ha cercato di “eliminare tutto ciò che era di sinistra dalla sinistra”.
L’abbandono di qualcosa di simile a un discorso di classe, nel contesto di misure di austerità e di politiche economiche ispirate al lassez-faire, ha portato alcune sezioni della classe lavoratrice a guardare altrove. E la nuova forza in ascesa nella politica francese fu il Fronte Nazionale, di estrema destra (FN). Politicamente trascurabile negli anni ’70, prese il 10 percento dei voti nelle elezioni parlamentari del 1986 e oltre il 14 percento nelle elezioni presidenziali del 1988. Il successo di Marine Le Pen nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2017, in una certa misura, rappresenta la continuità di questa tendenza.
Innegabilmente, la base del FN non è solo composta da elettori disillusi della classe operaia. Ha raggiunto molti settori sociali, molti dei quali piuttosto ricchi e che non potrebbero mai costituire un pubblico per la politica di sinistra. Ma Eribon spiega anche come la rimozione graduale di qualsiasi retorica che riconosca la classe operaia indebolisce i legami sociali che un tempo avevano unito la classe.
Quelli che una volta votavano in unità quasi collettive ora si allineavano invece con una serie di altri gruppi demografici – “con negozianti e commercianti, o con pensionati benestanti nel sud della Francia, o anche con militari fascisti o vecchie famiglie cattoliche tradizionali.” Durante le elezioni del 2017 questa tendenza è stata articolata nel pezzo avvincente del romanziere Édouard Louis “Perché mio padre vota per Le Pen”. Inoltre, l’atto stesso del voto è cambiato radicalmente. Mentre votare per il Partito Comunista era la manifestazione di un’opinione collettiva “prodotta dalla mediazione del Partito, che la formava e la esprimeva”, come spiega Eribon, il voto per il Fronte Nazionale è stata un’esperienza totalmente individualista, “la somma di [ …] pregiudizi spontanei, incollati e formulati in un programma politico coerente dal partito.”
Per Eribon, questo problema va oltre i partiti nazionalisti di estrema destra. Fa riferimento all’analisi di Sartre sui sistemi elettorali, che contrappone la costruzione significativa di movimenti politici collettivi e radicati con l’atto “seriale” di votazioni occasionali.
Senza la mobilitazione politica a lungo termine, le tendenze al voto diventano più imprevedibili, poiché le affiliazioni politiche diventano “parziali o oblique” “Piuttosto che parte di uno sforzo collettivo”. Lo scrittore dà l’esempio di sua madre che vota per l’anti-abortista Jean Marie Le Pen, anche se lei stessa ha avuto un aborto. “Ma tutto questo non ha niente a che fare con il voto. Non è per questo che ho votato per lui “, risponde. I voti “illogici” per Brexit o Trump non sono così illogici nel contesto della decennale assenza di un’articolazione politica di classe, mentre i partiti di sinistra e i sindacati combattevano contro la loro erosione e declino.
Se questo potrebbe apparire solo nostalgia di un passato perduto, Eribon ha uno sguardo lucido sulle passate insidie insite nella sinistra stessa. Descrive l’omofobia che esisteva sia nel PCF sia nei più piccoli circoli della sinistra post-’68. “Ogni giorno ho avuto la sensazione che non ci fosse posto per me all’interno del mondo marxista. . . Sono stato diviso in due: mezzo trotzkista, mezzo gay “, scrive. Questa emarginazione divise la sinistra, dal momento che i movimenti gay degli anni ’70 si allontanarono dalla sinistra radicata nelle loro lotte per la liberazione.
L’autore critica anche la posizione della sinistra francese sul razzismo. Egli sostiene che il PCF non è riuscito a sfidare lo sciovinismo all’interno della classe operaia, neanche in risposta all’afflusso di immigrati dopo la guerra algerina. Ciò derivava anche dalla posizione del partito sul conflitto stesso, che indeboliva la sua unità e idealismo: inizialmente sosteneva i “poteri speciali” che il governo usava per annientare le libertà civili degli algerini, prima che si ribellasse, infine, alla guerra.
Orgoglio
Nonostante la delusione di Eribon, tali anacronismi e la vergognosa omofobia che ha sofferto, il suo è un testo ottimista, che crede nel potere della politicizzazione. È un compito encomiabile affrontare le proprie tensioni familiari. Eribon lo fa non come mezzo di espiazione, ma per cercare scomode verità politiche e per contestualizzare la sofferenza di un gruppo di persone ormai trascurato. La sua indagine sui legami della vita della classe operaia e sulle forze brutali che li hanno sopraffatti è tanto delicata quanto astuta.
Per affrontare l’ascesa della mitologia di estrema destra, la sinistra deve trovare un modo per articolare i problemi e le soluzioni sociali nel linguaggio di classe e nell’oppressione. Ma tale resistenza contro un buon senso reazionario richiede anche un’opposizione stridente a tutte le forme di bigottismo. Si tratta, in breve, di un lavoro sul potere redentore dell’orgoglio di classe. Parafrasando lo scrittore Jean Genet, Eribon conclude magnificamente che:
arriva un momento in cui, quando ti sputano addosso, trasformi lo sputo in rose; trasformi gli attacchi verbali in una ghirlanda di fiori, in raggi di luce. C’è, in breve, un momento in cui la vergogna si trasforma in orgoglio. Questo orgoglio, in fondo, è politico, perché sfida i più profondi poteri della normalità e della normatività.