I dati sull’andamento del mercato del lavoro nel secondo trimestre 2018 pubblicati dall’Istat confermano, oltre all’incremento del lavoro precario, il crescente divario economico e sociale tra il Nord ed il Sud del Paese
Il lavoro è sempre più precario e flessibile, a sostenerlo è l’Istat. ‘La consistente crescita dell’ultimo periodo – si legge nel comunicato dell’Istituto di statistica – ha comportato oltre 700 mila occupati a termine in più rispetto al pre-crisi (+30,9%). A questa crescita fa da contraltare la perdita di circa 600 mila indipendenti (-10,2%) nonostante l’aumento nell’ultimo trimestre’.
Cresce il lavoro part time. ‘In dieci anni gli occupati part time sono aumentati di quasi un milione, a fronte di una diminuzione di poco inferiore di quelli a tempo pieno’.
L’occupazione torna ai livelli del 2008, ma solo al Nord. ‘Nel secondo trimestre 2018 si contano 205 mila occupati in più rispetto al secondo trimestre 2008. Si è raggiunto e superato il numero degli occupati del secondo trimestre 2008 e il tasso di occupazione 15-64 anni non destagionalizzato è tornato allo stesso livello (59,1% in entrambi i periodi). Nel Centro-nord la ripresa è iniziata prima e ha portato al recupero delle perdite occupazionali dovute alla crisi già nel secondo trimestre 2016 mentre nel Mezzogiorno, dove il calo degli occupati ha riguardato complessivamente 700 mila unità fino al 2014, il saldo rispetto al pre-crisi è ancora ampiamente negativo (-258 mila, -3,9%; il relativo tasso -1,6 punti)’.
Quello descritto dall’Istat è un Paese che si muove a due velocità. Da un lato c’è il Nord che torna a crescere e dall’altro il Sud che invece arranca e si avvia verso la desertificazione economica e sociale. Lo evidenziano anche altri indicatori come le differenze reddituali (nel Settentrione il reddito medio pro-capite è stato nel 2016 di 32.889 euro, al Sud di 17.984 euro) e quelle sul tasso di occupazione (il divario nel 2007 era del 20,1%, nel 2016 è salito a 22,5%). Ed ancora: i flussi migratori (negli ultimi 16 anni 1 milione e 883 mila residenti hanno lasciato il Mezzogiorno) e la perdita di residenti (tra il 2012 ed il 2016 il saldo netto nelle regioni meridionali è stato negativo per 783 mila unità, di cui 220 mila laureati).
Il divario tra il Nord ed il Sud continua a crescere e la Questione meridionale non solo è rimasta irrisolta, ma è il problema fondamentale del nostro Paese. La politica degli incentivi all’occupazione, adottata negli ultimi tre decenni, non ha ridotto le differenze economiche e sociali. Nelle regioni del Sud è indispensabile ed urgente una seria politica d’investimenti pubblici. Una specie di Piano Marshall 2.0 che preveda lo spostamento di risorse pubbliche dal Nord al Sud del Paese. Ma, anche se la Questione è nazionale, è forte il dubbio che ad occuparsi dello sviluppo del Meridione possa essere un leghista doc come Matteo Salvini.
Fonte: istat.it