Le elezioni di mid-term hanno assicurato ai democratici la maggioranza nella Camera dei Rappresentanti e questa svolta offre l’opportunità alle organizzazioni dei lavoratori ed alle altre componenti della sinistra radicale americana di lavorare per una legislazione progressista

La Camera dei rappresentanti a maggioranza democratica non si è ancora insediata e tuttavia le lobbies che sostengono le cause progressiste – dal salvataggio dell’ambiente al recupero di efficacia delle leggi sul diritto di voto – sono già all’opera per trovare spazio nelle agende dei neo-eletti parlamentari. Quello che i Democratici faranno non appena assumeranno la carica è di grande importanza per i lavoratori e per i loro alleati, anche se molto poco – se non nulla – di quello che hanno in mente si tramuterà poi in vere e proprie leggi nei prossimi due anni. E questo a causa della maggioranza repubblicana in Senato [l’altro ramo del Congresso USA, ndt], dove il leader Mitch McConnell, senatore del Kentucky, assicura un controllo ferreo. Senza considerare poi la presenza in Sala Ovale di Donald Trump, il Presidente di destra e nemico dei lavoratori. Ciò significa che tutte le iniziative legislative che porteranno avanti i democratici, a meno che non si inseriscano in progetti di legge che devono essere approvati per garantire lo sopravvivenza del governo, saranno destinate al fallimento nel momento in cui passeranno nell’altra ala del Campidoglio [sede del Congresso, ndt]. Nonostante questo scenario, quelle iniziative legislative costituiranno la base per la definizione di una piattaforma elettorale del partito che verrà presentata a tutti noi nel 2020. I lavoratori e le forze loro alleate non hanno ancora presentato dei progetti legislativi. Ma il deputato democratico Bobby Scott, della Virginia, futuro presidente della commissione parlamentare per l’istruzione e il lavoro, ha già proposto l’incremento del salario orario minimo a 15$, come ha recentemente riportato il deputato democratico Donald Norcross, del New Jersey, membro ed ex presidente del Consiglio dei mestieri dell’edilizia e delle costruzioni del South Jersey. E lo stesso Scott è il promotore della legge sul salario, l’ultima delle leggi nazionali fondamentali sul lavoro sostenuta dai lavoratori. Essa mira a legalizzare il riconoscimento volontario dei sindacati (c.d. “card check”) nei posti di lavoro dove una maggioranza dei lavoratori certificata da organismi indipendenti firma le tessere elettorali. La legge sul salario consentirebbe di rimuovere numerosi ostacoli opposti sia da parte delle imprese che dalle corti giudiziarie ai primi contratti collettivi negoziati dai lavoratori organizzati. E tali misure aumenterebbero anche le multe per le imprese che si rendessero responsabili di violazioni della normativa sul lavoro. Il progetto di legge è in linea con gli obiettivi dei democratici nuovi e più giovani eletti lo scorso 6 novembre. Alcuni rappresentanti eletti, come Alexandria Ocasio-Cortez di New York, democratica socialista, che è divenuta la loro leader non ufficiale, si sono già dichiarati essere interessati ad un cambiamento delle politiche, non invece i leader del partito. Questo è diventato ancora più chiaro quando un deputato 29enne, nonostante fosse un sostenitore di Nancy Pelosi, si unì ad un sit-in organizzato davanti l’ufficio al Congresso della Pelosi per reclamare un’iniziativa da parte del Congresso per combattere il cambiamento climatico. Non mancano anche altre proposte, molte delle quali di una certa importanza per i lavoratori. Tra queste: un piano di rinnovo delle infrastrutture statunitensi proposto dai sindacati dei lavoratori edili del Nord America (North America’s Building Trades Unions); il mandato all’OSHA (l’agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro) di scrivere una regolamentazione uniforme per ridurre la violenza contro gli operatori sanitari e gli assistenti sociali proposta del sindacato nazionale degli infermieri e dal deputato del Connecticut, Joe Courtney; l’abrogazione delle sovvenzioni federali ai datori di lavoro che incoraggiano le imprese a sottopagare i lavoratori. Quest’ultima idea è del senatore Bernie Sanders, eletto come indipendente nel Vermont. Lo ha definito “Stop Walmart Act” [letteralmente: “la legge per fermare Walmart”, ndt], che prende di mira i salari estremamente bassi pagati dal colosso della grande distribuzione, che costringe quindi i suoi dipendenti a dipendere dai programmi pubblici di sostegno. Un’altra proposta è quella del deputato Jerrold Nadler, dello stato di New York, che presiederà la Commissione giustizia della Camera, e mira a togliere alle imprese la facoltà di costringere i lavoratori all’arbitrato obbligatorio, anche in caso di violazioni delle leggi sul lavoro. La maggioranza repubblicana della Corte Suprema ha già legalizzato questa prassi. Ma forse tutte queste idee passeranno in secondo piano rispetto a quelle della stessa Pelosi. In un articolo del Washington Post, scritto insieme al deputato John Sarbanes, i due hanno manifestato la volontà di “un vero cambiamento per ripristinare la democrazia”. La loro proposta di legge, a cui è stato attribuito il numero simbolico HR1, intende ripristinare l’applicazione di tutte le disposizioni della legge sui diritti elettorali, prendendo di mira quegli stati e quelle amministrazioni locali con storie di discriminazione razziale alle urne. Considerando la proliferazione delle cosiddette “Voter ID” (carte di identità elettorali) e di altri meccanismi che limitano il pieno esercizio del diritto di voto, che molti governi repubblicani hanno imposto dopo la disfatta del 2010, questa battaglia, da sola, darà ai Democratici molto filo da torcere. La proposta di legge HR1 tenterà inoltre di contrastare la sentenza “Citizens United” [cittadini uniti, ndt] della Corte Suprema a maggioranza repubblicana, che ha aperto il sistema di finanziamento delle campagne elettorali a un groviglio di interessi particolari, naturalmente a favore dei politici della destra conservatrice e delle somme di denaro aziendali da parte della classe capitalista, travolgendo gli interessi del resto di noi.

La proposta di legge dei Democratici, se quanto scrivono Pelosi e Sarbanes è vero, imporrebbe a tutte le organizzazioni politiche di rivelare i nomi dei propri donatori ponendo fine al gioco delle grandi donazioni in denaro ai cosiddetti “super PAC”, i comitati di finanziamento delle campagne. Quel denaro proveniente dal sistema imprenditoriale e dalle classi dominanti, hanno affermato Pelosi e Sarbanes, ha consentito di fermare l’attività legislative del Congresso a favore dei lavoratori, dal miglioramento dell’Affordable Care Act [la riforma sanitaria introdotta dall’amministrazione Obama, ndt] al rafforzamento dei diritti dei lavoratori fino al salario minimo. E il progetto di legge HR1 amplierebbe anche il perimetro di applicazione delle leggi sul conflitto di interessi per “porre fine alla porta girevole” tra imprese e governo, hanno scritto Pelosi e Sarbanes. “Il primo giorno della legislatura, i Democratici porteranno in dote qualcosa di concreto per tutti gli americani, il più ambizioso pacchetto di riforme democratiche di tutta una generazione. Queste riforme coraggiose e positive ci riporteranno al governo da e per il popolo”, ha twittato Sarbanes. “Le nostre comunità hanno inviato me e i miei colleghi eletti a Washington con un invito all’azione: riappropriarsi del denaro pubblico sottratto dalla politica, ripulire il paese dalla corruzione e assicurarsi che ogni voto e ogni voce siano ascoltati. Vogliamo mantenere questa promessa”, ha twittato la deputata democratica Katie Hill, eletta in California. Non appena il progetto HR1 verrà presentato, altre proposte seguiranno, inclusa quella di aumentare, per la prima volta dopo un decennio, il salario federale minimo, attualmente fermo al livello di 7,25 dollari l’ora. “Questa dovrà essere una priorità delle nostre prime 100 ore” ha dichiarato la Pelosi a maggio scorso durante un incontro con i sindacati.

https://www.lacittafutura.it/esteri/i-lavoratori-fanno-pressione-sui-nuovi-eletti-democratici-per-una-legislazione-progressista

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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