Da CounterPunch, un’altra denuncia dei risultati tragici di 40 anni di neoliberalismo, l’ideologia che ha conquistato il mondo occupando capillarmente ogni ambito accademico, istituzionale e culturale: mentre anche la sinistra è stata irrimediabilmente infettata dall’ideologia del mercato, gli economisti neoliberali hanno elevato l’egoismo a ideale normativo, improntandone la legislazione con norme anti-sindacali e tagli ai servizi sociali. Con risultati drammatici: crisi economiche, aumento delle diseguaglianze, declino della partecipazione popolare alla vita pubblica, del tenore e addirittura dell’aspettativa di vita, peggioramento delle condizioni sanitarie e aumento della mortalità infantile. 

di T.J. Coles, 30 ottobre 2018

Gli esseri umani sono creature complicate. Siamo sia collaborativi che faziosi. Tendiamo ad essere collaborativi all’interno dei gruppi (ad esempio, i sindacati), mentre competiamo con gruppi esterni (ad esempio, una confederazione di aziende). Ma società complesse come le nostre ci costringono anche a cooperare con gruppi esterni – nei vicinati, al lavoro, e così via. Nei sistemi sociali, la selezione naturale favorisce la cooperazione. Inoltre, siamo orientati ai comportamenti etici, così la cooperazione e la condivisione sono apprezzate nelle società umane.

Ma cosa succede quando siamo costretti all’interno di un sistema economico che ci fa competere ad ogni livello? Il risultato logico è il declino o il collasso della società.

Il dogma neoliberale nel XX secolo

In “L’individuo nella società“, Ludwig con Mises, il maestro di Friedrich Hayek (il nonno del moderno neoliberalismo), scriveva che in una società basata sul contratto sociale, i datori di lavoro sono alla mercé della massa. Ma in un’economia di mercato guidata dall’interesse personale, “il coordinamento delle azioni autonome di tutti gli individui è realizzato dal funzionamento del mercato“. Pertanto, in questo mondo di fantasia, i datori di lavoro possono licenziare i lavoratori e sostituirli con altri a minor costo senza incorrere nei costi sociali connessi alle società basate sul contratto sociale.

Dopo gli anni ’70 del XX secolo in particolare, questo tipo di pensiero iniziò a permeare la cultura dei pianificatori del “libero mercato” nei corsi di economia della Ivy League.

Robert Simons dell’Harvard Business School nota che l’economia oggi è di gran lunga la disciplina accademica dominante negli Stati Uniti, e che molti laureati portano quell’ideologia acquisita, basata sull’interesse personale, sul loro posto di lavoro, nella gestione patrimoniale, negli hedge fund, nelle assicurazioni, nella liquidità e cosi via. Simons critica quella che chiama “l’incondizionata e universale accettazione, da parte degli economisti, dell’interesse personale – degli azionisti, dei manager e degli impiegati – come il fondamento concettuale del fare impresa e management“. Simons nota che i lavoratori sono “tribù” egoiste, come lo sono i manager, nel senso che cercano di ottenere maggiori benefici. “Per porre rimedio a questa situazione potenzialmente catastrofica” connessa ai diritti dei lavoratori, “gli economisti di mercato tentano di incanalare i comportamenti devianti usando la teoria della risposta agli stimoli“, sotto forma di legislazioni anti-sindacali, tagli ai servizi sociali, e la minaccia di delocalizzare i posti di lavoro. Gli economisti di mercato “hanno elevato l’egoismo a ideale normativo”.

Infettare la sinistra

Nel 1988, l’allora Cancelliere Tory, Nigel Lawson, scrisse che negli anni ’70, “il capitalismo, fondato sull’interesse personale, era ritenuto moralmente deplorevole” dalla maggioranza dei britannici. Ma per Lawson parimenti immorale era l’intervento statale: “non c’è niente di particolarmente morale in uno stato interventista“, disse (a meno che lo stato interventista non salvasse le grandi aziende). Ma, fortunatamente per i Tories, “la marea delle idee cambiò”, permettendo loro di tornare al potere e imporre ulteriori riforme neoliberali.

Forse l’aspetto peggiore del neoliberalismo è stata l’infezione del partito Labour. Per fare alcuni esempi: un neoliberale statunitense, Lawrence Summers (che più tardi sarebbe diventato Segretario del Tesoro di Bill Clinton), insegnò ad un giovane Ed Balls, che presto sarebbe divenuto il consigliere economico del futuro Cancelliere, Gordon Brown. Brown, allora ancora un parlamentare, si incontrò con il Presidente della Federal Reserve, Alan Greenspan. Questo segnò l’inizio di un periodo di ulteriore liberalizzazione finanziaria nel Regno Unito, sotto il sedicente “New Labour”.

Gli economisti, alla metà degli anni 2000, poco prima del crollo, iniziarono a vedere crepe nell’ideologia, constatando:

“Vediamo nell’opinione pubblica un disagio generalizzato riguardo le soluzioni di mercato. Il libero commercio e la globalizzazione, la privatizzazione della previdenza sociale, e la liberalizzazione dei mercati dell’energia, tutte suscitano l’opposizione di molti consumatori, a volte motivata ma spesso indefinita. Non è un caso che il sostegno alle soluzioni di mercato si concentri tra quelli che hanno avuto successo economicamente, mentre l’opposizione lo è tra quelli meno fortunati. La libertà di scelta ha un fascino morale, ma la fibra morale è più forte quando non viene tagliata dall’egoismo”.

Nel 2008 l’economia americana, e conseguentemente globale, era al collasso. Greenspan testimoniò alla Camera dei Rappresentanti: “Ho sbagliato nel credere che l’interesse personale delle organizzazioni, nel caso specifico banche e altro, fosse tale che potessero proteggere al meglio i propri azionisti e le società di investimento”. Ma egoismo significa egoismo. I CEO e top manager non hanno visto la necessità di onorare i loro supposti obblighi verso gli azionisti, figurarsi il pubblico in generale.

Le conseguenze sociali

Le conseguenze politiche di decenni di neoliberalismo hanno portato alla privazione del diritto di voto, particolarmente durante il periodo dell’espansione (dagli anni ’70 al 2008), come indicato dall’affluenza alle urne, stagnante o in declino, e dall’ascesa della cosiddetta offerta politica estremista all’indomani del collasso (dal 2009 ad oggi). Ma l’ideologia ha radici profonde nella classe dirigente. Così, persino dopo l’inevitabile crollo del 2008, sia la Banca Centrale Europea che la Banca d’Inghilterra hanno continuato col neoliberalismo imponendo l’austerità alle popolazioni d’Europa e del Regno Unito, rispettivamente.

In questo contesto, le istituzioni finanziare transnazionali e predatorie stanno guadagnando dal caos. Il crollo del gigante delle costruzioni Carillon ne è un esempio calzante. Alla società è stato permesso di fallire e del suo declino hanno approfittato diversi hedge fund, inclusi alcuni con sede negli Stati Uniti.

Le conseguenze del neoliberalismo per la società sono ancora più tragiche. La classe media americana è in declino dagli anni ’70, poiché gli individui diventano o molto ricchi o molto poveri. Uno studio della Harvard Business Review ha notato che all’inizio degli anni ’80, fino al 49% degli americani pensava che la qualità dei loro prodotti e dei loro servizi fosse diminuita negli ultimi anni. I suicidi maschili e femminili hanno continuato a cresceredalla metà degli anni ’90. E uno studio recente suggerisce che l’aspettativa di vita sia scesa nei paesi ad alto reddito.

Nel Regno Unito, l’austerità voluta dai Tory ha creato più di centomila cadaveri in un periodo di 10 anni, secondo il BMJ [British Medical Journal, è considerata uno delle quattro riviste mediche generaliste più autorevoli al mondo, ndt]. Le popolazioni nei paesi più deboli hanno sofferto anche di più. Tra il 1990 e il 2005, i paesi sub-sahariani i cui governi hanno accettato i prestiti per gli aggiustamenti strutturali delle istituzioni neoliberali FMI e African Development Bank hanno sperimentato un incremento di 231 e 360 unità nella mortalità materna, rispettivamente. I paesi dell’America Latina che hanno provato soltanto una crescita del 1% della disoccupazione tra il 1981 e il 2010, hanno sperimentato “un deterioramento significativo delle condizioni sanitarie”, secondo un altro rapporto del BMJ, incluso un aumento di 1,14 bambini morti ogni 1000 nascite. Tutto questo si traduce in milioni di morti.

Come ho documentato altrove, le società più vulnerabili, vale a dire le comunità indigene impegnate a mantenere i propri modi di vita tradizionali, si stanno letteralmente estinguendo, mentre la “civiltà” le invade.

Conclusioni

Se questo modello che dura da decenni continua ad essere imposto al mondo, specialmente nelle nazioni con grandi popolazioni come l’India e la Cina, che stanno sempre più adottando politiche neoliberali, la politica disgregante e le infrastrutture fatiscenti sembreranno un piccolo mal di testa, in particolar modo sullo sfondo di cambiamenti climatici e risorse in diminuzione. Se lo spostamento culturale a sfavore del neoliberalismo a cui stiamo assistendo oggi, che si esprime in tutto, dai movimenti sociali progressisti agli scioperi dei lavoratori, può sostenersi ed espandersi, potremmo semplicemente salvarci e piantare semi per un futuro più equo.

http://vocidallestero.it/2019/01/13/counterpunch-perche-una-societa-neoliberale-non-puo-sopravvivere/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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