di Franco Astengo
La vicenda riguardante il rientro in Italia di Cesare Battisti, terrorista condannato in via definitiva, ha dato origine a una serie di spettacoli mediatici davvero disdicevoli da parte di esponenti dell’attuale maggioranza di governo e della grande maggioranza di già asserviti strumenti mediatici.
Pronunciamenti e presenze davvero inquietanti non solo dal punto di vista della ricostruzione storica dei fatti ma soprattutto della strumentalizzazione al riguardo della perenne, affannosa, campagna elettorale condotta da questi signori sempre in cerca di una rozza visibilità a buon mercato.
Ne è uscita, in verità, una terrificante visione della giustizia confusa con la viltà della vendetta (viltà ben stigmatizzata da Gian Giacomo Migone oggi sulle colonne del “Manifesto”).
Ma c’è di peggio in giro nelle espressioni di questa “partitocrazia qualunquista” che sembra piacere tanto agli italiani, tutti intenti a demonizzare i migranti e seduti sulla riva del fiume ad attendere la mancia del reddito di cittadinanza.
“Il Messaggero”, infatti, osa accostare la figura di Luciana Castellina a non meglio identificati “salotti parigini modello Carla Bruni” adombrando l’ipotesi di un “ritorno” non si sa bene da quale latitanza: un accostamento neppure troppo velato tra la storia della “nuova sinistra” italiana e il terrorismo.
Ripetizione di vecchi schemi abusati ma sempre utili per la mistificazione e la calunnia.
Lungi da me l’idea di difendere soggettivamente Luciana Castellina che sa benissimo farlo da sé.
Sia consentito però sentirsi, personalmente e collettivamente, profondamente offesi da questo stato di cose e soprattutto dallo scempio del diritto e della storia che si sta compiendo in questi giorni.
Mi sia permesso anche rivendicare con il massimo della forza possibile e senza timidezze (che pure un poco permangono anche nella stessa replica della redazione del “Manifesto) la storia della “nuova sinistra” in Italia.
Una storia complessa, articolata, anche complicata nelle sue separazioni e in parte anche nelle derive che certe sue divisioni fecero registrare almeno nel corso del decennio dei Settanta.
Non si può dimenticare però che la nuova sinistra italiana sorse nell’intreccio tra la ventata del’68 e la storia del movimento operaio intreccio che in Italia diede vita al ’68 “lungo” esploso con il ’69 del contratto dei metalmeccanici.
Una nuova sinistra incubata negli anni’60 attraverso riferimenti culturali e politici di grande spessore come quelli che attraversarono il PCI a cavallo dell’XI congresso e,lo PSIUP soprattutto grazie all’elaborazione di Panzieri e dei “Quaderni Rossi”, il dissenso cattolico, l’impegno sindacale.
Una nuova sinistra capace di assumere la più coerente posizione critica espressa in Occidente al momento dell’invasione della Cecoslovacchia, sulla quale si consumò la separazione dal PCI: ricorre in queste ore l’anniversario di Jan Palach ben definito oggi da Francesco Leoncini “un comunista luterano”.
In precedenza però ci si era già appassionati all’internazionalismo seguendo il Vietnam delle due guerre anti-colonialiste e quanto stava avvenendo in Africa per la liberazione di quei popoli.
Ci si era già trovati in piazza per difendere la democrazia italiana da un tentativo di rigurgito neo-fascista cui la DC aveva dato spazio, fino a comprenderne gli epigoni nella maggioranza di governo: si era lottato a prezzo del sangue caduto a Reggio Emilia, a Palermo, Catania, Licata.
Non mi inoltro nel ricostruire la storia di quel periodo ma debbono rimanere ben chiari i tratti sui quali, in quella fase, ci si mobilitò per reclamare un diverso orizzonte per un’intera generazione.
Certi accostamenti subdoli, certi tentativi stupidi di “damnatio memoriae” forniscono oggi il miglior contributo possibile alla distruzione dei fondamenti della nostra vita democratica: distruzione già abbastanza avanti nel suo definirsi, grazie anche ai tanti tentativi di bruciare la Costituzione Repubblicana sull’altare della governabilità e del potere personalistico.
Non si tratta però soltanto di questo: si tratta soprattutto dell’offesa profonda rivolta verso un’intera generazione che aveva cercato, non sempre riuscendovi sia ben chiaro, di coniugare la passione rivoluzionaria con la pratica politica cercando di rendere possibile un “assalto al cielo” svolto nella limpidezza delle proprie convinzioni e di una grande espressione di onestà e d’impegno intellettuale.
Onestà e impegno intellettuale di cui nell’attualità si stenta a trovare le tracce.