Non credo che fosse l’obiettivo iniziale con cui tutto questo è cominciato, ma certamente in queste ultime settimane immagino che qualcuno nella City – e non solo lì – abbia pensato ai vantaggi che l’esasperata discussione su Brexit può portare alla destra di quel paese e quindi di tutta l’Europa. Pensateci un momento: nell’unico grande paese europeo in cui il socialismo riformista è ancora un’opzione – visto lo stato comatoso in cui versano sul continente i partiti tedesco e francese – ed è un’opzione grazie alla svolta radicale che ha dato Corbyn, il dibattito politico è stato artificiosamente polarizzato nello scontro tra due destre intorno alla questione di quale debba essere il rapporto tra il Regno Unito e il resto dell’Europa.
Non è che il tema in sé sia pretestuoso. Tutt’altro: quel grande paese, anche in virtù della propria particolarissima posizione geografica, ha sempre riflettuto a fondo su come confrontarsi con quelli che se ne stanno al di là della Manica. Certo fino alla seconda metà del Novecento questa riflessione era più semplice per gli inglesi, visto che da un lato potevano “ritirarsi” nelle loro colonie, immaginarsi come l’isola da cui dipendeva gran parte del resto del mondo, e dall’altro lato c’era la possibilità reale di confrontarsi con gli altri paesi attraverso le guerre. Nella seconda metà del secolo, dal momento che questa non era più un’alternativa possibile, il Regno Unito ha avuto la singolare capacità di creare un impero molto più vasto di quello che stava lasciando in India e in Africa: gli inglesi hanno creato una sorta di impero pop, che ha conquistato il mondo con le canzoni dei Beatles e dei Rolling Stones, con il cinema e la moda, con l’immaginario della swinging London. Lady Diana è stata l’ultima icona di questa cultura pop, capace di dominare il mondo.
Perché con la fine del Novecento, con la vittoria definitiva del capitalismo nella guerra di classe, anche il Regno Unito è diventato un paese normale in cui dovevano sparire le tensioni politiche e sociali – che sono un elemento che crea sempre tensione intellettuale e artistica e quindi produce bellezza – per completare la trasformazione dei cittadini in consumatori. I consumatori non hanno bisogno di bellezza, hanno solo bisogno di comprare quello che a loro si dice di comprare, i consumatori meno pensano meglio è e la bellezza fa pensare, sempre.
E significativamente la storia politica della fine del Novecento passa per il Regno Unito. Anzi parte da lì. Margaret Thatcher era già da due anni al numero 10 di Downing street quando Reagan divenne presidente degli Stati Uniti e insieme definirono quella che fu la vittoria dell’ultraliberismo, la rinuncia alle politiche e alle tutele che il socialismo aveva imposto alla fine del secondo conflitto mondiale e che avevano caratterizzato lo sviluppo durante i Trenta gloriosi. Per inciso quando un ragazzotto nato nell’86 dice che verrà un “nuovo” miracolo economico, dimostra di non sapere assolutamente nulla di nulla – ed è ben più grave di un congiuntivo azzardato – perché senza i socialisti il boom non ci sarebbe mai stato, in Italia e in Europa: il socialismo fu un elemento fondante dei Trenta gloriosi e siccome il socialismo è stato ucciso – anche con la complicità dei socialisti – come si affannano a dire quelli del partito del ragazzotto, il miracolo economico non potrà più succedere.
E, per tornare alla nostra storia, il Regno Unito è tornato a essere protagonista della guerra di classe – per l’ultima volta, visto che è finita – quando Blair ha sostituito Thatcher, ossia quando il rappresentante di uno dei più antichi e rivoluzionari partiti socialisti del mondo, ha fatto politiche liberiste. Quella è stata la vittoria definitiva del capitalismo nella guerra di classe, di cui noi siamo stati le ultime, colpevoli, vittime, mentre sventolavamo mestamente le nostre bandierine rosse sbiadite.
Brexit è una trappola? Io credo di sì e ho l’impressione che il Labour di Corbyn ci stia cadendo. So bene che Corbyn deve dire da che parte sta nella discussione su Brexit, se vuole partecipare alle prossime elezioni, deve accettare di combattere su un terreno che non ha scelto e che è invece adatto ai suoi nemici. E probabilmente è destinato a essere sconfitto, perché la destra è riuscita a fare due parti in commedia, è riuscita a dare le carte, lasciando al Labour solo scartine. Immagino sia inevitabile, perché è complicato, se non assurdo, continuare a combattere la guerra di classe quando questa non c’è più. So bene che molti di voi pensano a noi che continuiamo a usare questi termini come fossimo quei giapponesi che, in qualche isola sperduta del Pacifico, senza collegamenti con la madrepatria, non sapevano di Hiroshima e pensavano di essere ancora in guerra. Noi siamo ancora più patetici di quei soldati: perché guerreggiamo, almeno a parole, pur sapendo che c’è stata la nostra Hiroshima e che abbiamo perso.
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“Quando questa non c’è più ” abbiamo perso la guerra, l’hanno vinta loro, ma sono rimaste le ragioni del conflitto, anzi, queste stanno lievitando. La guerra, come la pace, non da mai una situazione definitiva. Non mi sembri pessimista, che pure ci sta, piuttosto rassegnato e forse contrario a rimettere in discussione questa realtà che a mio parere diventa sempre più intollerabile. La lotta contro le ingiustizie, per l’uguaglianza, per la pari dignità delle persone può covare sotto la cenere, ma non spegnersi definitivamente. Corbin è in questo una speranza concreta.