Di seguito l’introduzione e l’indice del volume I dieci anni che sconvolsero il mondo. Crisi globale e geopolitica dei neopopulismi di Raffaele Sciortino (Asterios, 2019) che raccoglie, tra gli altri, alcuni dei contributi che abbiamo pubblicato negli anni su Infoaut.
A un libro obiettivamente denso si addice un’introduzione la più possibile asciutta. Il lettore non troverà qui, dunque, un riassunto del contenuto ma qualche indicazione del quadro nel quale questo lavoro si inserisce, della sua articolazione, delle questioni di fondo che punta a sollevare.
Il quadro. I dieci anni che hanno scosso, se non ancora sconvolto, il mondo sono gli anni della prima crisi effettivamente globale del sistema capitalistico: scoppiata tra il 2007 e il 2008, essa ha investito a cascata i meccanismi della globalizzazione finanziaria, gli assetti geopolitici mondiali, le dinamiche soggettive delle classi sociali fin dentro un Occidente che sembrava bloccato per sempre sul mantra neoliberista. Dieci anni possono essere poca cosa a scala storica ma sono un periodo già discretamente lungo a scala generazionale, tanto più se forieri di trasformazioni significative. Poco per fare un bilancio storico ma non per tentare un primo bilancio del presente inteso come un passaggio della storia. Questo libro, allora, non è un lavoro storiografico canonico – pur basandosi su fonti rigorosamente vagliate – ma è un lavoro politico come figlio di questo decennio. Non solo perché per una sua parte rielabora, sistematizza e fornisce una cornice teorica ad articoli da me scritti in tempo reale man mano che la crisi globale e i suoi risvolti venivano a delinearsi. Ma soprattutto nel senso che è il tentativo di mettere in prospettiva questi dieci anni a partire dalla convinzione che sono in corso mutazioni importanti, per certi versi veri e propri punti di non ritorno.
La dinamica degli ultimi decenni – già esito della peculiare controrivoluzione succeduta al lungo Sessantotto e segnata dal sempre eguale dello Spettacolo mercantile lubrificato dal circuito del debito – si è rimessa in moto. E lo ha fatto, finalmente, a partire da sconquassi che originano non dalla periferia ma dal centro dell’impero del capitale, scuotendo il consenso neoliberista diffuso e il suo pilastro, il soft power statunitense, rimettendo in campo l’interventismo statale a salvataggio dei mercati, riaccendendo il conflitto inter-capitalistico, suscitando anche in Occidente reazioni sociali e politiche esterne e contrarie ai dettati dell’ortodossia liberale. Certo, questi sviluppi e queste reazioni possono sembrare a molti ancora poca cosa o andare senz’altro nella direzione sbagliata. Questa ricerca – in questo senso, critica militante nel suo corpo a corpo con il presente – parte invece dall’assunto che proprio per poter discutere delle direzioni possibili del cambiamento, si tratta innanzitutto di captare l’innesco di una nuova qualità della dinamica storica. È questa nuova qualità che a determinate condizioni potrà produrre anche la quantità del cambiamento, e non viceversa, con diversi esiti possibili ad oggi non ancora predeterminati, da giocare in campo aperto senza rinunce a priori all’opzione per una trasformazione radicale, per quanto remota oggi questa possa apparire.
L’articolazione di questo lavoro, ora. Essa è insieme cronologica e tematica: una struttura a spirale – ogni singola parte tocca una dimensione diversa ma a partire dagli sviluppi di quella precedente – che punta a render conto dello sviluppo a ondate della crisi globale, in una successione serrata che ha investito ambiti e geografie via via più ampi. La crisi economico-finanziaria con epicentro nel cuore del sistema, gli Stati Uniti, si è dapprima riversata in Europa mettendo a serio rischio l’euro e minando per la prima volta in profondità la relazione transatlantica. Si è quindi fatta esplicitamente geopolitica sconvolgendo gli assetti mediorientali e poi andando da un lato ad acuire le già precarie relazioni tra Washington e Mosca e, dall’altro, a scuotere quelle con Pechino, che fin qui avevano retto l’equilibrio sbilanciato della globalizzazione. Infine, è intervenuta la mutazione socio-politica, annunciata dalla Primavera Araba e sfociata nel cosiddetto momento populista interno ai paesi occidentali.
Questi slittamenti hanno intaccato la stabilità sia del triangolo geoeconomico tra Stati Uniti, Unione Europea e Cina – oggetto della prima parte di questo lavoro – sia del triangolo strategico Washington-Mosca-Pechino – oggetto della seconda parte – vale a dire i due pilastri del sistema internazionale attuale. Intaccando altresì il compromesso sociale dell’ultimo quarantennio e dando luogo in Occidente al fenomeno emergente – analizzato nella terza parte – del neopopulismo.
Il tentativo che il lettore ha sotto gli occhi è quello di dare una visione d’insieme di questi smottamenti e delle loro interrelazioni, indicandone i passaggi più significativi. Ma l’intento di fondo non è descrittivo, così come la sequenza presentata non vuole essere meramente cronologica. Questa rimanda, crediamo, alla logica intrinseca al meccanismo di fondo del capitalismo nella sua fase più recente. Dietro la genesi degli assetti globali – se ne veda l’abbozzo di ricostruzione nel paragrafo Assemblaggi della globalizzazione – e la loro attuale crisi fanno capolino il capitale fittizio – figura estrema della presa del capitale sull’intero spettro della vita sociale: si veda l’excursus nella prima parte – e la sua concrezione storica nella finanziarizzazione incentrata sul dominio mondiale del dollaro. La tenuta di questo dominio è niente meno che la posta in palio della crisi attuale e della sua evoluzione futura. Esso, del resto, non si identifica semplicemente con l’egemonia statunitense, perché rappresenta la sintesi che a tutt’oggi tiene insieme l’intero sistema globale. È alla luce di ciò che il libro cerca di tracciare la dinamica degli smottamenti in corso e i nessi tra crisi economico-finanziaria e geopolitica – quanto una volta era chiamato imperialismo – e quelli tra geopolitica e lotta di classe. Fin dentro i risvolti soggettivi e i sommovimenti politici che ne sono espressione – se è vero che il capitale non è un sistema ma un rapporto sociale di produzione e riproduzione della vita umana e naturale.
Non si spaventi il lettore. Senza negare la complessità della materia, va detto che il quadro interpretativo qui presentato è di medio raggio, la teoria rimane sullo sfondo senza che la fenomenologia, però, la faccia da padrona. A riprova, il lettore curioso potrebbe leggere subito il capitolo relativamente a sé stante sul neopopulismo, mentre quello più riflessivo, che è poi solo la metamorfosi del primo, punterà sul quadro d’insieme. Altrettanto importante, però, è confrontarsi con alcuni nodi di fondo che questo lavoro prova a tematizzare.
Le questioni di fondo, allora. Una prima questione verte sul perché la crisi globale, dopo dieci anni, non può affatto dirsi conclusa. Che essa continuerà a lungo a far sentire i suoi effetti è cosa generalmente accettata. Ma il punto discriminante è che il combinato di stagnazione economica, formazione di nuove bolle speculative, scontro geopolitico e decisa incrinatura dei sistemi politici occidentali, combinato che è fin qui il prodotto precario delle misure anti-crisi, è al di qua di una effettiva ristrutturazione del rapporto capitalistico che, solo, potrebbe rappresentare una vera fuoriuscita dalla crisi. È questo il nodo, teorico e pratico, della necessità della svalorizzazione del capitale fittizio e insieme delle enormi difficoltà a procedere in questo senso da parte delle classi dominanti – si veda Smottamenti 1. Come conseguenza di questa aporia, una seconda fase della crisi è dunque assai probabile, e con essa l’acuirsi di tutte le contraddizioni inter-capitalistiche e sociali, con forme e ricadute tutte da vedere.
Una seconda questione riguarda il rimescolamento in atto degli assetti globali. A questo proposito il libro si confronta criticamente sia con la tesi del declino degli Stati Uniti sia con la prospettiva di un nuovo ordine multipolare che da quel declino sarebbe in procinto di emergere – si veda Smottamenti 2. L’argomentazione sviluppata offre abbondanti e fondati spunti, crediamo, che invitano alla cautela rispetto a questo tipo di letture. Non perché gli Stati Uniti non siano scossi violentemente dalla crisi in corso. All’interno, come non succedeva dagli anni Sessanta, basti guardare alla misera parabola obamiana e alla sorpresa Trump, tutt’altro che contingente nei suoi aspetti di fondo. E all’esterno, stante la necessità sempre più evidente per Washington di destrutturare oramai anche stati non marginali e bloccare la possibile ascesa di rivali globali. Il problema è che tale destrutturazione non può non investire al contempo gli assi portanti della globalizzazione finanziaria, tende cioè a disarticolare l’insieme senza che un ordine economico e geopolitico sostitutivo abbia la forza di imporsi. Non crediamo sia solo una questione di tempi, anche se su questo il dibattito ovviamente è aperto e gli sviluppi imprevedibili. Comunque sia, qualunque deciso mutamento negli assetti globali non avverrà a freddo, sarà anche il prodotto di una ripresa del conflitto sociale – piccolo particolare che le analisi riduttivamente economiche e geopolitiche della crisi trascurano.
Questo ci porta direttamente ad una terza, rilevante questione: quale significato dare al fenomeno emergente in Occidente dei neopopulismi, oltre la riduttiva contrapposizione fra denigrazione politico-mediatica e facili attese. Il libro interroga i neopopulismi collocandoli sul filo del tempo, passando attraverso l’intreccio dialettico tra il Sessantotto e gli assemblaggi della globalizzazione. È qui in gioco la trasformazione non contingente della lotta di classe dalle forme novecentesche del movimento operaio classico a quelle attuali degli iper-proletari senza riserve in relazione ad una riproduzione sociale oramai completamente risucchiata all’interno dei meccanismi del capitale ma al tempo stesso da essi sempre più cannibalizzata. Si tratta di forme di attivizzazione spurie, confuse e ambivalenti, ancora in fieri e prevalentemente elettorali e di opinione, dagli esiti aperti, che nella reazione a un globalismo al capolinea ma ancora in grado di produrre disastri sociali non vanno al momento oltre la rivendicazione di un cittadinismo e/o sovranismo sempre a rischio di ricadute nazionaliste. Esse segnalano la crisi dell’individuo neoliberale – e la morte della sinistra – seppur in parte sulla medesima base della meritocrazia dell’intelligenza rivendicata, però, non insieme ma contro i poteri globali. In questo senso, sono espressione di una prima rottura anche soggettiva dell’ordine esistente. Dunque, soprattutto per le domande cruciali che a modo loro sollevano, termine di confronto difficilmente eludibile per chiunque rifiuti l’appiattimento sull’immaginario totalitario del capitalismo e sia ancora animato dalla domanda, per quanto flebile oggi possa risuonare, su una comunità possibile sottratta al dominio del profitto.
Infine, la questione delle questioni, quella delle tendenze. La quarta parte del lavoro – che si sofferma sui più recenti sviluppi cercandovi una conferma, o meno, delle ipotesi avanzate – si confronta con le linee di fuga possibili della globalizzazione imperialista. Torna, oltreché sulle tensioni russo-americane, sullo scontro tra Stati Uniti e Cina, stretta quest’ultima tra crescenti criticità e la necessità di prefigurare, anche sulla spinta della lotta di classe interna, l’avvio di un percorso alternativo al modello economico fin qui seguito. Discute un’eventuale frattura dell’Unione Europea e/o la fine dell’euro come eventi possibili nel quadro del rapporto sempre più conflittuale con Washington – è una delle tesi peculiari di questo libro contro le letture che ruotano sulle presunte esclusive responsabilità tedesche dell’eurocrisi finendo nel cul de sac del dibattito euro/no euro. Il quadro che emerge allo stato è, in estrema sintesi, quello di un’impasse. La globalizzazione per come l’abbiamo fin qui conosciuta è seriamente incrinata, stante la politica degli Stati Uniti di scarico della crisi su alleati e nemici grazie alla rendita di posizione sistemica di cui godono all’interno dell’economia globale. Ma tale corso ha ricadute sempre più negative per l’insieme e per gli altri soggetti, le cui reazioni contribuiscono a minare l’ordine globale senza che possa farsi avanti un sostituto credibile dell’egemone mondiale. Senza gli Stati Uniti e il dollaro come perni centrali, quell’ordine è destinato a scomporsi confusamente, con gli Stati Uniti a incasinarsi e a diventare sempre più predatorio nei rapporti tra aree, stati e classi sociali.
È, questo, il quadro di una disarticolazione in corso, che rimanda alla crisi della riproduzione sociale complessiva basata su un’accumulazione capitalistica che gira sempre più nel vuoto virtuale, e però quanto reale, del capitale fittizio. Né l’allargamento del mercato mondiale alla Cina né le ultime frontiere dell’innovazione tecnologica – entrambi macroprocessi in realtà sostitutivi di un’accumulazione allargata e di una proletarizzazione buona – hanno potuto rilanciare decisamente in avanti, ampliandole, la riproduzione della società e della natura. In astratto, se la Cina fosse sganciata dalla pressione predatoria dell’imperialismo occidentale potrebbe ravvivare e rilanciare il capitalismo mondiale rinviando la resa dei conti con i suoi limiti costitutivi; in realtà quello sganciamento è irrealizzabile e anche solo il tentativo di avviare un corso più autonomo del capitalismo cinese e asiatico sortirà, già sortisce uno scontro durissimo con l’Occidente e gli Stati Uniti in particolare.
Resta da vedere se, tra gli sconquassi dell’ordine internazionale, si apriranno spazi per risposte antagonistiche al sistema esistente. È la cruciale questione dell’emergere del marxiano individuo sociale sul terreno, però, della disarticolazione della riproduzione sociale. Problema inedito, se è vero che finora, bene o male, si era sempre pensato a percorsi di emancipazione, collettivi e individuali, sulla base del progresso della base esistente, della sua ricostruzione, e non di un regresso non momentaneo della società. Lo scarto che si impone è dunque molto più ampio del previsto. Sul piano delle prospettive il discorso è in gran parte da reimpostare, tanto meno può essere affrontato a tavolino da un singolo. È già abbastanza se questo libro avrà contribuito un pochino ad approssimare la questione, discutendo i termini essenziali nei quali inquadrarla alla luce dell’attuale passaggio storico. Il lettore – già ma quale? si può contare oggi su una figura in qualche modo predeterminata? Non è, questa figura, essa stessa parte del problema? – si accontenterà di questo servizio per un movimento reale che ancora non c’è, nella consapevolezza però che i nodi cruciali di una comunità umana senza classi iniziano a porsi. Al momento, nulla più di questo…
Torino, 29 dicembre 2018