Processo Cucchi: il suo nome fu sbianchettato dal registro del fotosegnalamento. L’Arma sapeva. Tutti videro il volto tumefatto tranne chi convalidò l’arresto? Aveva sul volto i segni del violentissimo pestaggio, Stefano Cucchi, per questo il suo nome fu sbianchettato dal registro del fotosegnalamento? Quello stesso volto tumefatto che, poche ore dopo, mostrò in tribunale a una giudice distratta che nemmeno fece caso all’errore nelle carte che lo accompagnavano: Cucchi risultava albanese, più vecchio di sei anni e senza fissa dimora. I suoi occhi neri e quella riga di bianchetto sono stati al centro delle testimonianze ascoltate nell’udienza di oggi del processo per la sua morte che vede imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale. Il giovane geometra romano fu arrestato per droga nell’ottobre 2009 e morì una settimana dopo in ospedale, nel reparto penitenziario del Pertini lontano dagli occhi di tutti. Il maggiore dei carabinieri Pantaleone Grimaldi ha confermato che il nome di Cucchi risultò sbianchettato e coperto da un altro nome nell’apposito registro del fotosegnalamento conservato nella caserma dove quella notte fu portato dopo l’arresto. L’ufficiale ebbe un contatto con questa storia nel novembre 2015, all’epoca della riapertura delle indagini. A contattarlo fu il comandante del Reparto operativo di Roma, colonnello Lorenzo Sabatino: gli disse che di lì a poco in caserma si sarebbe presentato il capitano Tiziano Testarmata, all’epoca al nucleo investigativo dei carabinieri provinciali, per acquisire una serie di documenti. Tra gli atti da prelevare – e di cui avrebbe preteso di avere solo una copia conforme mentre successivamente fu acquisita anche la copia originale su richiesta della procura – c’era il registro dei fotosegnalamenti. «Il capitano mi fece presente che c’era qualcosa che non quadrava – ha detto Grimaldi in aula – su un rigo, un nome era stato sbianchettato e sopra era stato scritto un altro nome. Mi resi conto immediatamente dell’anomalia, in quel caso mi sembrò qualcosa in più di un’irregolarità. Meritava un maggiore approfondimento; quell’atto andava sequestrato e acquisito. Guardando in controluce mi resi conto che cancellato si poteva leggere il nome di Cucchi. Ascoltando le mie obiezioni, il capitano Testarmata si mostrò molto perplesso, non sapeva cosa fare e mi rispose che avrebbe chiesto direttive, quindi uscì dalla stanza per fare una telefonata. Non so a chi chiese direttive, so che poco dopo tornò dicendo che la direttiva restava quella di fare una copia conforme, senza prendere l’originale». Quel fascicolo fu successivamente acquisito in originale su ordine della procura. Altri testimoni sono stati sentiti oggi in aula. Tra questi una serie di persone che hanno avuto contatti con Cucchi nella palestra che frequentava: tutti hanno detto che all’epoca precedente il suo arresto, il giovane si allenava regolarmente, nonostante la magrezza, vero chiodo fisso delle difese degli imputati. E poi, Massimiliano Di Carlo, un agente della penitenziaria che vide il giovane nelle celle del tribunale prima del suo accompagnamento in aula per l’udienza di convalida dell’arresto. «Aveva il volto tumefatto con delle macchie scure di colore marrone sul viso – ha detto testimoniando per la prima volta al processo – All’epoca commentai con un collega, dicendo “guarda com’è conciata questa persona”». Il 27 febbraio si ritornerà in aula. Tra i testimoni citati ci sarà il generale Vittorio Tomasone, all’epoca comandante provinciale dei carabinieri di Roma e che, secondo alcuni testimoni ordinò verifiche interne su quanto accaduto in caserma nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009, quando Cucchi fu arrestato

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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