Quando il verdetto arriva Luigi Di Maio è riunito con l’assemblea congiunta dei parlamentari, la prima dopo la sconfitta elettorale abruzzese, celebrata al limite del tempo massimo prima del voto nella giunta per le elezioni che deve decidere sulla richiesta del tribunale dei ministri di processare Matteo Salvini per il blocco della nave Diciotti. Di Maio parla della riorganizzazione del Movimento 5 Stelle, in prima fila tutti i ministri grillini, quando viene a sapere che il 59,05% dei 52.417 mila votanti sulla piattaforma Rousseau autorizza i senatori grillini a votare contro la richiesta di processo. È la notizia che dà il via libera alla fase due per il M5S e i suoi rapporti con l’alleato di governo. La linea pro-Salvini vince ma non stravince, ma ciò non toglie che Di Maio e i suoi tirano un sospiro di sollievo. Fino a pochi giorni fa l’esito pareva scontato e le proporzioni sembravano annunciare tutt’altra competizione, per questo i vertici grillini avevano acconsentito alla consultazione, considerata un passaggio senza rischi, per indorare la pillola dell’immunità all’alleato a Salvini con un bagno purificatore nella «democrazia diretta» made in Casaleggio. Era stata scartata l’idea di far presentare il caso al capogruppo in giunta per il M5S, Mario Giarrusso, che già si era espresso contro il processo. Ed era stato partorito il breve testo che presentava il caso in maniera inattaccabile: nessun riferimento a processi o immunità, quello che nell’ipotesi accusatoria è un sequestro nel dispositivo che interroga gli iscritti alla piattaforma Rousseau diventava una specie di ritardo. Una modifica dell’ultimo minuto consentiva di citare l’ipotesi che Salvini abbia agito per difendere l’interesse dello stato; per non complicare troppo la questione viene espunto anche l’aggettivo «preminente» che serviva a ricordare che oltre alla «difesa della patria» valgono altri principi, come i diritti umani. Un lavoretto di fino, insomma. Solo che era sopraggiunta la paura, il timore che lo stesso meccanismo che ha fin qui prodotto le vittorie elettorali del Movimento 5 Stelle, cioè l’impulso dei votanti a sfidare ogni scenario che viene loro presentato come ineluttabile per aprire squarci di possibilità e scenari incogniti ma nuovi, si stesse producendo anche tra i grillini. Il silenzio di Alessandro Di Battista, le voci di sfida dei dissidenti, il fronte dei sindaci della maggiori città e la presa di posizione di un opinion leader di peso come Marco Travaglio avevano aggiunto suspense all’attesa del verdetto. «Sono orgoglioso di far parte dell’unica forza politica che interpella i propri iscritti, chiamandoli ad esprimersi – dice Di Maio annunciando il risultato – Presto ci saranno votazioni sulla nuova organizzazione del Movimento 5 Stelle». Sono parole che fanno capire come il voto online sul processo a Salvini sia andato ben oltre la questione specifica e man mano si sia trasformato in una specie di voto di fiducia sul «capo politico», a un anno e mezzo dalla sua incoronazione al vertice dei 5 Stelle e dopo dieci mesi di governo con la Lega. Anche per questo, alla riunione con gli eletti, Paola Taverna incamera il risultato e sottolinea la fase che si apre in questo modo: «Chi non è d’accordo si adegua oppure se ne vada dal M5S». La sindaca Chiara Appendino, che si era detta favorevole al processo insieme alla maggioranza dei consiglieri comunali del M5S torinese, si allinea: «Questo voto va rispettato, come accade in ogni organizzazione che si dà delle regole. La mia fiducia nel governo rimane massima». Una decisione che peserà sul prosieguo della legislatura e sui rapporti tra le due forze di governo è stata affidata non genericamente «alla base» ma a una piccola rappresentanza di qualche decina di migliaia di iscritti. Le ultime stime sulla base elettorale di Rousseau risalgono a un anno fa, e si aggirano sui 140 mila account per picchi che fino a ieri non avevano mai superato i 40 mila votanti. Sono cifre che descrivono il ruolo di una piattaforma che da tempo ormai non gioca un ruolo centrale nelle dinamiche del M5S e dei suoi milioni di elettori. Che questa sia la situazione è il segreto di pulcinella. Con candore, ad esempio, il ministro dell’ambiente Sergio Costa ammette di non essere iscritto a Rousseau, e dunque di non essersi posto il problema di come votare. Del resto lo stesso Giuseppe Conte, secondo alcuni retroscena circolati nel pomeriggio di ieri e subito smentiti con stizza, avrebbe gradito poco la scelta di vincolare gli equilibri delicati dell’esecutivo alla roulette russa del voto sulla piattaforma digitale. E sono bastati i (soliti) malfunzionamenti per far sbottare diversi parlamentari grillini in Transatlantico sulle inefficienze del «sistema operativo» di Casaleggio e sui soldi che tutti gli eletti sono tenuti a versare, una specie di tassa per il feticcio della democrazia diretta. Un feticcio che ancora una volta ha funzionato, ma che forse per la prima volta non ha garantito percentuali bulgare e un M5S monolitico.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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