“Assecondare il vento xenofobo per tagliare la spesa del welfare e dividere l’Italia in gironi infernali per sfigati”. Il Domenicale di Controlacrisi a cura di Federico Giusti
Nell’immaginario collettivo il Governo del cambiamento doveva segnare una svolta con benefici per tutti in un paese senza criminalità, normalizzato (da qui la penalizzazione dei reati sociali), con pochi immigrati, zero richiedenti asilo, immigrati silenti e ben disponibili a farsi sfruttare nelle filiere produttive a pochi euro all’ora. Sempre l’immaginario prevedeva un reddito sociale al posto del lavoro, una sovranità monetaria al di fuori delle regole della Bce.
Ma i conti vanno fatti con l’oste se non vogliamo ritrovare in cucina alimenti scadenti ed avariati, il brusco risveglio alla realtà è scandito dagli ultimi fatti di cronaca con la Tav, la quota 100 per le pensioni pensata prima di avere accelerato l’iter per le assunzioni nel pubblico impiego (dove persistono i tetti di spesa imposti dalla Ue e dal Pd), il reddito di cittadinanza senza prima avere assunto il personale necessario nei centri per l’impiego.
Vogliamo soffermarci su due argomenti: la questione reddito\salario e il rapporto tra immigrazione e servizi sociali
Iniziamo dal primo punto cogliendo subito la trasformazione del reddito in una sorta di strumento per arrivare lavoro sotto pagato, una mutazione genetica rispetto ai proclami elettorali dei grillini oltre a rappresentare un sistema di controllo sociale come avvenuto nella Gran Bretagna Thatcheriana.
Da quasi 20 anni i salari, dati Ocse alla mano, sono praticamente fermi , lo sono nel settore privato e nel pubblico impiego ove il contratto è stato fermo per quasi 9 anni accordando aumenti che non recuperano gran parte del potere di acquisto perduto. Qualcuno obietterà che il costo della vita non è cresciuto magari guardando alla debacle del settore immobiliare ma chiunque oggi percepisca un salario sa bene che le tariffe sono cresciute e il potere di acquisto è diminuito come del resto il risparmio delle famiglie italiane. Non cogliamo il rapporto tra reddito di cittadinanza e incremento dei salari, anzi siamo certi che le dinamiche andranno nella direzione opposta senza dimenticare che il reddito riguarderà meno del 20% del totale dei disoccupati alla ricerca di un impiego
Se il reddito è destinato non solo a chi cerca lavoro ma a quanti hanno un reddito complessivo a dir poco basso vuole dire che si andranno ad offrire lavori con paghe da fame ai soggetti sociali piu’ svantaggiati che solo in minima parte possiedono le competenze necessarie per lavori di qualità. Qui entra in gioco la formazione, quella formazione che si è semi distrutta con la soppressione delle Province e sulla quale pubblico e privato hanno poco, e male, investito. Consideriamo che quasi il 70% dei beneficiari del reddito sono in possesso della sola licenza media per comprendere che i lavori loro destinati non saranno quelli ad alta specializzazione richiesti dalle imprese. E qualora si volesse utilizzare il reddito per attivare politihe formative trascorreranno anni prima di raggiungere dei risultati.Dopo anni di appalti al ribasso e di competitività imprenditoriale alimentate dai bassi salari , nei prossimi mesi arriveranno lavori di bassa qualità .
L’idea di destinare alle imprese mesi di sussidio in caso di assunzione a tempo indeterminato solo in teoria potrebbe funzionare da incentivo perchè in tempi di recessione, come quelli attuali, non è detto che le imprese vogliano investire in contratti a tempo indeterminato. In ogni caso, o si attinga dai beneficiari del reddito o da quanti non lo percepiscono, la sola offerta di lavoro è caratterizzata prevalentemente , da occupazioni per le quali non serve una grande specializzazione e allo stesso tempo dentro un contesto di domanda debole aumentando il bacino della forza lavoro crescerebbe anche il numero dell’esercito industriale di riserva e la dinamica salariale sarebbe ulteriormente al ribasso.
Sarà per queste ragioni che continuiamo a dubitare sugli effetti benefici del reddito per ridurre la povertà contenendo la esclusione sociale, siamo invece convinti che gli effetti saranno, in tempi medi, quelli di ridurre ulteriormente la dinamica salariale per una fetta importante della forza lavoro, quella socialmente piu’ svantaggiata. Il futuro ci dirà se siamo stati profeti di sventura o solo obiettivi lettori delle dinamiche salariali ed economiche
Veniamo al secondo punto, la vulgata ufficiale è quella che vede il Governo nell’atto di chiudere le frontiere e di negare il diritto di asilo ai migranti, oggetto di argomentazioni spesso deboli perchè circoscritte alle pur lodevoli ragioni umanitarie che nella società disumanizzata diventano invece oggetto di scherno e di invettive sui social. Secondo molti gli italiani dovrebbero essere i primi, anzi i soli, a beneficiare dei servizi sociali alimentando poi confusione sulla idea stessa di italianità (i figli dei migranti che crescono nel nostro paese parlando l’italiano come prima lingua sono forse diversi dai figli di un padano o di un lucano?)
L’idea percepita , per altro non suffragata da fatti e dati, vede gli immigrati come un peso perché sfrutterebbero tutti i sistemi del welfare “rubando” le case popolari e i posti disponibili negli asili nido agli italiani. Senza annoiare il lettore possiamo asserire, senza timore di smentita, che la spesa sanitaria è diminuita negli ultimi anni nonostante l’aumento della popolazione, anzi la riduzione della spesa procapite si aggira attorno a 70 euro.
Queso è accaduto in un paese dove gli immigrati regolari in meno di 15 anni sono passati dal 3% della popolazione all’8 per cento, eppure nonostante cio’ la spesa sanitaria è diminuita.
Il ragionamento da fare è quindi altro ossia che la presenza degli immigrati è il pretesto per celare la riduzione della spesa sociale complessiva, della riduzione dei fondi alle Regioni per la sanità. Quando poi si parla di aumento della spesa sanitaria omettiamo di dire che alcuni incrementi di spesa derivano dalla privatizzazione, dai servizi in convenzione, dalla spesa farmaceutica che 20 anni fa ha subito una impennata per ragioni non certo collegate al miglioramento delle prestazioni sanitarie se pensiamo alle lunghe liste di attesa e al fatto che un italiano su 3 ha rinunciato negli ultimi anni alla prevenzione perchè costosa e insostenibile.
Altra considerazione utile a confutare i luoghi comuni razzisti è l’analisi della età dei migranti, i giovani, siano essi italiani o stranieri, hanno bisogno di meno cure della popolazione anziana, quindi se gran parte degli immigrati sono sotto i 40 anni anche la incidenza sulla spesa sanitaria sarà piu’ contenuta.
Chiudiamo sulla edilizia popolare, se guardiamo alla spesa nei comuni si scopre che nel corso degli anni è stata ridotta e sono venute meno anche le buone pratiche di alcune amministrazioni locali che imponevano ai costruttori di destinare una piccola percentuale degli alloggi costruiti a favore dell’emergenza abitativa stanziando appositi fondi per fornire ai costruttori stessi una sorta di risarcimento.
Su La Voce.info leggiamo un dato eloquente: in 54 comuni dell’Emilia-Romagna, con 24 mila nuclei in graduatoria, gli alloggi assegnati nel 2015 sono stati poco piu’ di 500. In comuni di 100 mila abitanti, in un anno, si sono distribuiti meno di 10 alloggi vuoi perchè non ci sono i soldi per mettere a norma gli appartamenti, vuoi perchè la politica non intende trovare soluzioni pratiche ed eque per contenere la emergenza abitativa, per esempio chiedere ai destinatari di sostenere i costi della ristrutturazione scalando le spese sostenute con detrazioni dai futuri affitti. Sono esempi semplici di come la destra vende una immagine distolta della realtà e con la politica che rinuncia a trovare soluzioni eque ed efficaci per assecondare il vento xenofobo che soffia sempre piu’ forte nel paese.