Non soltanto dallo stato delle sue carceri si giudica un Paese ma pure da molti altri fattori che, dopo lotte durate secoli, si sono (pareva si fossero…) affermati come segni distintivi di un moderno sviluppo democratico, ancorché nel contesto economico di una società fondata su un egoismo ancestrale che le deriva dal regime delle merci e dei profitti. Fatto salvo, dunque, che viviamo in questa società in cui la struttura è capitalistica, entro questi margini si sono potute sviluppare acquisizioni di diritti civili grazie alla conquista di diritti sociali e viceversa. La marcia per l’egualizzazione dei diritti e la fine della scala delle priorità in nome di un principio assoluto fatto di reti dogmatiche provenienti da un marxismo tanto ottuso quanto antimarxista, è iniziata proprio quando le donne hanno posto la questione di genere come non subordinata alla rivendicazione delle otto ore di lavoro, dell’aumento dei salari, della fine del regime del cottimo e dell’espansione del sindacalismo nei grandi centri di produzione, ma come lotta per una nuova visione sociale fondata sull’uguaglianza totale. Non solo la tangibilità di una moneta sonante che doveva essere implementata nella composizione del salario così scarsa per la voracità di sfruttamento del lavoratore da parte del padrone, ma anche una rivendicazione impalpabile, eterea per certi versi: la donna fuori dal consueto ambito focolaresco, dalla casa che le toccava come “ambito naturale”, come “angelo” della medesima; elevata all’altitudine dell’empireo solo per essere relegata dentro quattro mura e svolgere i compiti considerati intrinseci alla natura femminile. Femminilità e ruolo della donna si sono incontrati per la prima volta durante la Rivoluzione francese: fin troppo tempo è trascorso da quando una girondina monarchica (finita poi sulla ghigliottina) stese un “Dichiarazione della donna e della cittadina“. Olympe de Gouges sfidò la rivoluzione stessa declinata al maschile: una rivoluzione a cui pure avevano partecipato molte donne ma dove la rappresentanza conseguente ai giorni della Bastiglia nelle nuove assemblee legislative era tutta fatta di soli uomini. Aperture mentali se ne iniziavano ad intravvedere e le donne non erano considerate più soltanto buone madri e casalinghe dedite al focolare: stampavano giornali, per l’appunto scrivevano, partecipavano anche alle riunioni dei club politici ma la struttura politica dello Stato rimaneva in mano al “maschio”, all’uomo. Da allora, si tramanda più o meno storiograficamente, con alcuni cenni di fantasia dovuta ad una non sopprimibile accezione enfatica che fuoriesce dalla passione con cui spesso se ne parla, che il femminismo nacque in quel 1791 e che piano piano si diffuse in Olanda e in Inghilterra dove, molto tempo dopo, il movimento famoso delle “suffragette” si espose fino ad atti di vera e propria resistenza “nonviolenta” verso il potere che – a differenza dei rivoluzionari francesi” – era refrattario ed ostile a concedere spazi nella vita sociale e politica per le donne. Compreso il tanto agognato “diritto di voto”, quello che oggi per noi è un dato elementare, certo e incontrovertibile, il “suffragio universale” anche in Italia è conquista molto recente: solo dopo la Seconda guerra mondiale, con l’elezione dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana, le donne si recheranno per la prima volta alle urne. Dopo duecento e più anni dalla “Dichiarazione” di Olympe e dopo settantatré anni dalla fondazione della Repubblica in Italia, il femminismo deve affrontare nuove lotte non offensive, ma ponendosi sulla difensiva, cercando di non far retrocedere l’impostazione moderna di una considerazione egualitaria dei sessi (e dei generi) che come tanti altri diritti sociali e civili pareva acquisizione non interpretabile (anche se molta strada restava e resta da fare…) fino al ritorno di un significato pre-rivoluzionario rispolverato dal moderno sovranismo ultracattolico, maschilista e conservatore. Il disegno di legge “Pillon” e il volantino della Lega di Crotone ne sono un esempio: la donna torna ad essere “angelo del focolare”, rientrando nella piena valorizzazione della sua femminilità che deve essere esclusivamente dedicata a ciò perché, sostengono i leghisti, oggi chi “offende la dignità della donna” è colui che “contrasta culturalmente il ruolo naturale della donna volto alla promozione e al sostegno della famiglia”. Olympe sale sulla ghigliottina una seconda volta e tante suffragette e femministe con lei…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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