di Franco Astengo
L’edizione italiana di “Le monde diplomatique” appena uscita nelle edicole dedica le proprie pagine centrali alle prossime elezioni europee sotto il titolo “Un’unione da rifare”.
Vi si leggono articoli molto interessanti sui temi principali, dall’euro ai trattati,: articoli rappresentativi di voci autorevoli della sinistra critica a livello continentale.
In quel contesto assumono poi particolare rilevanza sul piano politico due interventi, quello di Thomas Guenole, responsabile della formazione politica di France Insoumise e quello di Yanis Varoufakis, ex ministro dell’economia greco nel primo governo Tsipras e fondatore del Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEm25).
L’articolo di Guenole è titolato “Di fronte a Bruxelles, la scommessa della non sottomissione”, quello di Varoufakis “Verso una primavera elettorale”.
A principio di pagina l’abstract di presentazione di entrambi gli interventi recita: “Bisogna disobbedire? E se sì come? La sinistra nel suo complesso ritiene che i trattati attuali impediscano una politica di progresso sociale. Dopodiché, le strategie divergono. Per l’ex-ministro dell’economia greco Yanis Varoufakis solo un movimento transnazionale potrà trasformare l’Europa. Il candidato di France Insoumise Thomas Guenole giudica invece indispensabile rimettere immediatamente in discussione i trattati europei”.
In questa sede allora si pone in rilievo, invece, un’assenza grave all’interno dei due articoli redatti da così autorevoli esponenti delle forze di sinistra: l’assenza riguarda il tema del Parlamento europeo.
Non si riscontra, infatti, alcun accenno al ruolo e alle funzioni del Parlamento: all’evoluzione determinatisi in questo senso nel corso degli anni fino al trattato di Lisbona, al tipo di quadro politico che all’interno del Parlamento si è determinato nel corso dell’ultima legislatura, a un eventuale progetto di riforma dell’istituzione.
Non si accenna a un’ipotesi di abbandono contrapposta magari a un’altra ipotesi di tentativo di valorizzazione.
Pare non esistere la possibilità di aprire, all’interno del Parlamento, una fase di dialettica politica.
Nulla di tutto questo. Perché?
A un’attenta analisi i due testi non sfuggono a una impressione di “astrattezza tecnocratica”.
Questo giudizio si può esprimere perché non si riscontra alla lettura la necessità di una presenza internazionalista di rappresentanza politica dei milioni di sfruttati che vivono nel territorio dell’Unione.
Pare, invece, che si debba riflettere soltanto in termini di valutazioni econometria e/o di opportunità politica.
Insomma: pare proprio che si resti stretti e subalterni alle valutazioni sull’Euro o sulle ipotesi di modifica e/o annullamento dei trattati.
Eppure non sarebbe difficile riconoscere i soggetti da rappresentare, quelli maggiormente colpiti da questa feroce gestione del ciclo capitalistico che sta provocando spostamenti epocali sul piano globale.
Riflettere, invece, sulla possibilità di rappresentanza politica degli sfruttati, di ritorno ai nostri storici “fondamentali” principiando da quelli marxiani consentirebbe anche di evitare quei fenomeni di accostamento a destra pericolosamente insiti in quelle visioni “sovraniste” che pure albergano a sinistra in molti paesi europei (significativo sotto quest’aspetto l’elenco dei possibili alleati di DiEm 25 fra i quali spicca “Aufstehen” spezzone della Linke).
La presenza nel Parlamento Europeo di una forza internazionalista (e non espressione di una alleanza sovranazionale: termine che in questo contesto suona ambiguo) rappresentante sul piano politico di quanti soffrono delle grandi e complesse contraddizioni della modernità contribuirebbe a rivalutare in una qualche misura l’istituzione sollevando anche questioni di fondo che riguardano natura e prospettiva dell’Unione che qui sarebbe troppo lungo da analizzare.
Realizzare questo progetto attraverso la costruzione di una lista che raccolga soggetti di diversi paesi accomunati da questo semplice intento, appunto ripetiamo quello della rappresentanza degli sfruttati, costituirebbe sicuramente un passo avanti nell’affrontare quel dato della frammentazione del rapporto tra progetto politico e azione sociale, la cui divaricazione costituisce un elemento decisivo nel determinare la fragilità di qualsiasi azione politica e l’isolamento della capacità stessa di quella reazione sociale che pure in certi casi si dimostra, sia pure in una maniera piuttosto confusa.
Le forze attualmente in campo sembrano lontane da questa possibilità politica di rappresentanza internazionalista e sostanzialmente, come già affermato, purtroppo subalterne alle negatività dell’esistente.