In galera! A metà giornata il ministro degli Interni sbotta con un post su Fb da cui trapela tutta la sua furia: «Se un cittadino forza un posto di blocco stradale viene arrestato. Conto che questo accada». Non è più tempo di celie e «bacioni», di ostentata calma e spavalda sicurezza. Stavolta Salvini è fuori di sé, schiuma rabbia. Perché la vicenda della Mar Jonio, la nave della piattaforma Mediterranea, si intreccia con il voto su di lui per il sequestro della «Diciotti» e il ministro fiuta la trappola. Perché i 5 Stelle, già in sofferenza, rischiano di sbandare di fronte a un nuovo dramma, e prima che in serata la situazione si risolvesse con la decisione della procura di Agrigento di far entrare la nave con i migranti nel porto di Lampedusa, avevano chiesto senza mezzi termini, in pubblico e in privato, che la vicenda si risolvesse subito nell’unico modo possibile: facendo sbarcare i migranti. Perché la Mar Jonio ha sfidato l’autorità del ministro mettendo a nudo l’inconsistenza della tesi secondo cui i porti sarebbero stati «chiusi» per volere del ministro degli Interni. Così il ministro perde davvero la calma e mostra quel volto brutale che di solito cerca di nascondere dietro le battute e l’amabilità posticcia. E’ un tam tam che inizia nelle prime ore del giorno e prosegue senza soste, a colpi di dichiarazioni, di post e di interviste a getto continuo. Il catalogo è completo. C’è «la nave dei centri sociali». C’è Luca Casarini, descritto come una specie di malvivente: «Andatevi a vedere su Google chi è. Io non tratto con i pluripregiudicati». C’è la denuncia del complotto: «Una coincidenza che il caso della Mar Jonio arrivi quando c’è il voto sulla Diciotti. Io a babbo Natale ci credevo prima di avere 8 anni». C’è l’accusa infamante: «Questa imbarcazione non ha soccorso naufraghi che rischiavano di affogare ma è inserita in un traffico di esseri umani: organizzato, concordato e programmato». Come d’abitudine il ministro travalica di molto i limiti del suo mandato. Ordina arresti. Dispone il sequestro della nave prima che decida chi di dovere, cioè la procura di Agrigento. Ma stavolta lo fa senza autocontrollo, apparendo più volte vicino a perdere il controllo dei nervi. Forse per la prima volta Salvini si sente isolato e intravede la possibilità di uno smacco clamoroso anche sul piano che più gli sta a cuore, quello della propaganda. Perché il coro è unanime: da LeU che con Fratoianni e la capogruppo al Senato De Petris reclama l’immediato sbarco dei migranti ed elogia la missione, al Pd, che in privato non gradisce affatto l’irruzione dell’ex disobbediente proprio alla vigilia del voto sulla Diciotti ma fa di necessità virtù e insiste a sua volta per lo sbarco, sino a Fi che con la presidente dei senatori Bernini accusa Casarini di aver «cercato l’incidente» ma chiede anche, per bocca della vicepresidente della Camera Carfagna, di «decidere presto». Ma soprattutto la stessa necessità esprimono sia Conte che Di Maio. Il vicepremier pentastellato si schiera sì con Salvini chiedendo il sequestro della nave, ma con decibel infinitamente più bassi e insistendo sia con i giornalisti che nei continui contatti con il premier e con lo stesso Salvini per chiudere la vicenda in giornata, «nelle prossime ore». La realtà è che un nuovo dramma prolungato, come quelli della «Diciotti» e della «Sea Watch», non lo reggerebbe nessuno e meno che mai in concomitanza con il voto sull’autorizzazione a procedere contro Salvini. Saviano apre il fuoco ad alzo zero: «Ennesimo atto da buffone sulla pelle dei migranti». Magistratura democratica ripete che impedire lo sbarco significa violare la legge. Il sindaco di Lampedusa garantisce che il paese è pronto all’accoglienza. La sola via d’uscita è affidarsi alla procura, che ordina lo sbarco, apre un fascicolo per favoreggiamento, ma senza nessun tintinnar di manette, e dispone il sequestro della nave, anche se l’armatore, Beppe Caccia, ex disobbediente come Casarini, smentisce che sia mai stata notificato alcuna disposizione di sequestro. Salvini si finge soddisfatto: «La nave è stata sequestrata. Il governo difende i confini e chi sbaglia paga». Ma la sfida non è finita come avrebbe voluto. Il segno che connota l’esito del braccio di ferro, stavolta, non sono i suoi strepiti ma il grido dei migranti sbarcati nonostante i divieti: «Liberté, Liberté».

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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