Francesco Erspamer, professore di Letterature romanze a Harvard e tra i più seguiti opinionisti su Facebook, inaugura con questo articolo la sua collaborazione con l’Antidiplomatico che sarà ospitata nella rubrica ““I mezzi e i fini””.

L’invito che abbiamo rivolto al professor Erspamer a collaborare con noi nasce, non solo per la stima che abbiamo per le sue opinioni, ma anche per il grande interesse che rivestono gli innumerevoli commenti ai suoi post su Facebook che rivelano un vasto “popolo della Rete” estremamente attento alle tumultuose dinamiche che sta attraversando il nostro Paese e lo scenario politico internazionale. “Questo “popolo della Rete”, che, fino a qualche tempo fa, era la “linfa della Sinistra” oggi, generalmente, appare confuso, rassegnato e, spesso, disinformato.

L’Antidiplomatico, quattro anni fa, è nato per essere un suo riferimento, se non politico, almeno informativo. Il successo attestato dalle innumerevoli visualizzazioni
registrate dall’Antidiplomatico si direbbe abbia premiato il nostro progetto. Che, certamente, farà ulteriori passi avanti, grazie anche alla collaborazione del professor Erspamer.

Buona lettura
La redazione de l’Antidiplomatico

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di Francesco Erspamer

Finché c’era l’Unione Sovietica e dunque un modello alternativo di società, non importa se deludente, inadeguato o repressivo, il capitalismo e i suoi media erano costretti a fingersi interessati al bene comune. Non sarebbe stato possibile esaltare, come oggi fanno quotidianamente il Wall Street Journal e il Sole 24 Ore e appena meno spesso tutti gli altri quotidiani, la gig economy, che viene eufemisticamente descritta come “l’economia dei lavori su richiesta, svolti in autonomia e a breve termine” mentre non si tratta di altro che di prestazioni a cottimo (parola che i giornalisti evitano sistematicamente, ancor di più di aggettivi poetici quali “algido” o “vetusto”), dunque di precariato e sfruttamento a livelli ottocenteschi, di prima dell’inizio delle grandi lotte operaie, sindacali, socialiste.

L’egemonia liberista è così assoluta che una compagnia come Lyft (notizia recentissima) può sbarcare in borsa e aumentare il suo valore azionario del 10% in poche ore, e questo benché nei mesi scorsi abbia perso centinaia di milioni di dollari. Non importa: è un mercato delle aspettative, non dei risultati, e tanto meno della responsabilità. Il New York Times lo dichiara esplicitamente: l’economia collaborativa (sharing economy: una vergognosa falsificazione lessicale, totalmente indebita in quanto di collaborativo non c’è nulla, solo bieco individualismo e competizione selvaggia) trionfa malgrado gli effetti negativi sulla qualità della vita della gente e sui salari dei lavoratori.Come ha spiegato un professore della University of California (lo stato simbolo della rottamazione continua del passato e dell’infatuazione per le nuove tecnologie), “sono riusciti a far pagare i rischi ai lavoratori e adesso vogliono farli pagare anche ai risparmiatori”. Ma i profitti se li prendono tutti loro, gli speculatori, protetti da pennivendoli e celebrity in vendita al miglior offerente, che è inevitabilmente una lobby.

Il bello è che nessuno si ribella, e le poche volte che succede, come nel caso dei gilet gialli francesi, viene rapidamente emarginato e accusato di fascio-luddismo dagli intellettuali liberal. È il totalitarismo “soft” del neocapitalismo globalista: che non ha più bisogno di usare la forza bruta (i colpi di stato come quello in Cile, le bombe come quella di piazza Fontana, gli interventi militari diretti come in Vietnam) e neppure la censura e la menzogna, tutti strumenti dispendiosi e poco affidabili; gli basta manipolare le menti, plasmare le abitudini di miliardi di individui resi preliminarmente incapaci di solidarietà e di senso di appartenenza; in sostanza, creare una nuova morale. Eccola, la morale dei nostri tempi: la virtù e il bene si misurano con il successo economico, anzi finanziario, garantito dal valore di un titolo a Wall Street; la qualità della vita, i diritti sociali, sono irrilevanti, e ci viene detto apertamente.

Infatti ho decine di conoscenti e parecchi amici, molti dei quali politicamente impegnati, che usano senza rimorsi Uber e Lyft e comprano online su Amazon, in America quasi senza eccezioni, in Italia in maniera crescente. Perché costano meno e perché sono comodi, spiegano: e questo gli basta per autoassolversi. Come se comportarsi in modo corretto, generoso, socialmente e ambientalmente responsabile fosse comodo o conveniente. Gli scioperi, i boicottaggi, i picchetti, le occupazioni, la lotta, la Resistenza non erano comodi; richiesero sacrifici e una disponibilità a sacrificare i vantaggi personali in cambio di vantaggi collettivi. Il liberismo impera perché è il sistema delle scorciatoie morali e culturali. Certo, l’altruismo uno non se lo può dare, come uno non si può dare il coraggio. Ma almeno smettetela di lamentarvi e di blaterare di soprusi, ingiustizie, ineguaglianza, rivoluzione. Godetevi la gig economy, se siete dei vincenti; e se non lo siete ma vi siete rassegnati a questo ennesimo destino manifesto spacciato dai ricchi, tornate a sperare in una compensazione ultraterrena della vostra passività e indifferenza; perché è l’unica cosa che otterrete, se ci sarà.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_gig_economy_e_il_pretesto_della_convenienza/27802_27803/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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