Per fortuna non succede spesso di incontrare un concentrato di oscurantismo, odio per le donne e omofobia simile a quello che va in scena in questi giorni a Verona. La buona notizia è che non ci mancano gli anticorpi: molte voci si sono levate e la città è stata invasa da streghe, eretici e gente «contronatura» pronta a difendere il paese dal medioevo. Bene, anzi benissimo. Peccato che il medioevo sia ben radicato dentro le nostre istituzioni da tempo. Sono lì a rappresentarlo il vero capo del governo Matteo Salvini e la sciagurata presenza del ministro dell’istruzione Bussetti, ma del resto il fertility day promosso dalla ministra Lorenzin nella passata legislatura ci ricorda quanto diffusa sia la pratica di colpevolizzare le donne e l’idea della «donna forno». Proprio per loro, per chi ha ruoli di governo, sarebbe utilissimo un rapido promemoria su cosa serve alle famiglie che tra la procreazione difficile, notti insonni, pediatri, acrobazie tra turni di lavoro e di genitorialità, nonni troppo presenti o troppo assenti, hanno bisogno di tanto, tantissimo aiuto. Sicuramente non di gadget mostruosi a forma di feto. Non di paura, vergogna, colpa. Non di fanatici crudeli e meschini che odiano le donne, i loro corpi e la loro libertà. Per difendere le famiglie servirebbero asili nido gratuiti in tutto il paese. Cosa che sembra un miraggio nella nostra Italia lontana dal già misero obiettivo europeo del 33% di posti per bambina/o. Per esempio andrebbero concepiti non come un parcheggio, ma come un momento educativo prezioso, quale di fatto è. Sulla formula in pochi obiettano, di scelte conseguenti invece non c’è traccia. Quante educatrici o educatori servono per consentire agli asili nido di svolgere la loro funzione? Sicuramente non 1 educatrice ogni 7 bambini sulla carta, che nella realtà diventa molto di più. Per esempio servirebbe garantire a tutte e a tutti le scuole dell’infanzia. Oggi non è così, sicuramente non lo è a Roma, dove per molteplici motivi e tutti assurdi, non ci sono sufficienti maestre supplenti. Così qualche mattina succede che i genitori che portano i bambini a scuola vengano gentilmente invitati a riportarli a casa perché, dispiace, ma non c’è abbastanza personale. E quello che c’è è costretto a ritmi micidiali, a non prendere le ferie e a fare poco più che guardianìa, tanti sono i bambini di cui si devono occupare, con buona pace della qualità educativa. Sembra incredibile che nella capitale funzioni così? La cosa ancora più incredibile è che a fronte di tutto questo il Comune decida una stretta sulle risorse per le supplenze. Le maestre si ammalano troppo e rimangono troppo spesso incinte. Questa è la tesi esplicita ed esplicitata. Per esempio servirebbe riconoscere il lavoro, chiamarlo col suo nome e pagarlo, pagarlo sempre, pagarlo in modo equo. Pagare le donne quanto gli uomini. E ridurre l’orario di lavoro per liberare il tempo della vita. Basterebbe fermarsi qui – lavoro degno, asili nido e scuole dell’infanzia per tutte e tutti – per sostenere le famiglie, o alleviare i loro salti mortali. Ma non è questo al centro del dibattito di Verona. Probabilmente perché sarebbe una rivoluzione egualitaria quella della scuola per tutte e tutti da 0 anni in su. E troppa insubordinazione nascerebbe in un tempo di vita liberato. Lo sappiamo noi e lo sanno anche loro, gli evocatori del medioevo, che dare la scuola ai bambini e tempo e autonomia alle persone sarebbe una bomba potentissima capace di cambiare gerarchie e ruoli e scardinare le diseguaglianze. E non è quello che vogliono loro.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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