Una imposta fortemente progressiva. Già nel programma della prima “Lega dei Giusti” e poi “Lega dei Comunisti”, Marx ed Engels formulano una serie di punti che saranno stilati con…

Una imposta fortemente progressiva. Già nel programma della prima “Lega dei Giusti” e poi “Lega dei Comunisti”, Marx ed Engels formulano una serie di punti che saranno stilati con meticolosa precisione nel secondo capitolo del “Manifesto del partito comunista” del 1848.

Una imposta fortemente progressiva, così letteralmente definita, sarà il secondo punto: di primaria importanza era l’”Espropriazione della proprietà fondiaria ed impiego della rendita fondiaria per le spese dello Stato“. Seguivano l’”Abolizione del diritto di successione“, la “Confisca delle proprietà di tutti gli emigrati e ribelli”, misure economiche come l’”Accentramento del credito in mano dello Stato mediante una banca nazionale con capitale dello Stato e monopolio esclusivo”: una pubblicizzazione dei settori determinanti il funzionamento di un paese che avrebbe messo fine alla proprietà privata dei mezzi di produzione solo in un secondo tempo.

La fase di transizione dal capitalismo al socialismo sarebbe passata, leggendo i “provvedimenti” da applicare “nei paesi più progrediti” (dove quindi era probabile che le contraddizioni del sistema di sfruttamento della forza-lavoro venissero al redde rationem con la grande massa del proletariato urbano e delle campagne), tramite una “Moltiplicazione delle fabbriche nazionali, degli strumenti di produzione, dissodamento e miglioramento dei terreni secondo un piano collettivo”.

Il superamento di alcune di queste proposte, dettato dalla trasformazione continua, dall’aggiornamento costante degli strumenti di lavoro e quindi dal mutamento delle condizioni stesse dello sfruttamento della forza-lavoro, è nei fatti: tuttavia i dieci punti di intervento “dispotico” sui diritti di proprietà della classe dominante sono ad oggi interessanti da rileggere e alcuni di essi trovano contesto adattabile nella realtà in cui viviamo.

Uno di questi, per l’appunto, è l’”imposta fortemente progressiva” che, tradotto nel linguaggio comunemente conosciuto (almeno si spera…), sarebbe niente altro che la “patrimoniale”, una tassa che applica la fiscalità del resto prevista dalla nostra Costituzione e che invece viene osteggiata dalle forze politiche tanto di destra quanto di centro (il PD, qualora vi fosse bisogno di fare un esempio…) e che in questi giorni è tornata alla ribalta per via di una dichiarazione di Maurizio Landini, Segretario nazionale della CGIL, che ha avvalorato l’ipotesi di prendere in considerazione un regime fiscale dove chi ha di più paghi di più e chi ha di meno paghi di meno.

Parrebbe non una misura rivoluzionaria, comunista, bolscevica: ma solo un regime di buon senso economico. Perché mai chi ha di meno dovrebbe pagare egualmente o maggiormente di chi possiede di più?

Pensare alla “patrimoniale” come una mera misura per una salvaguardia dei conti pubblici è riduttivo. Si tratta invece di inserirla, come osserva Landini, in un più vasto piano di investimenti che risollevi l’economia del Paese: non basta una tassa per rimettere in moto la complessità di un sistema che è crollato sotto il peso delle privatizzazioni, dei contratti a termine, del precariato in sostituzione dei contratti collettivi nazionali di lavoro e di una disoccupazione crescente soprattutto tra le fasce giovanili della popolazione.

La proposta di Landini è una inversione di tendenza quasi storica rispetto alle proposte sindacali di anche solo sei mesi fa, quando la rivendicazione massima era il contenimento dei danni provocati dalla concertazione permanente, da un lungo ciclo di posizioni difensive su cui anche la CGIL si era adagiata senza più promuovere grandi mobilitazioni di massa e scioperi di carattere generale.

Le motivazioni non sarebbero mancate, partendo dall’epoca del Jobs act fino alle misure non certo distanti da questa impostazione liberista promosse dal governo giallo-verde.

La segreteria di Maurizio Landini sembra, iniziando dalla grande manifestazione romana e passando ora per la proposta sulla “patrimoniale”, iniziare a mutare pelle ad un sindacato che pareva sonnolento, incapace di rivalersi socialmente su una politica in cui non trovava più la sponda necessaria per rimettere in moto quella “cinghia di trasmissione” da troppo tempo allentata e improduttiva.

Il livello della povertà crescente, l’immiserimento di tanti milioni di italiani e l’avanzare sulle macerie sociali del Paese della furia xenofoba, razzista e antisindacale delle destre di governo ha reso necessario un cambio ai vertici della più grande organizzazione dei lavoratori italiani: Landini dunque comincia bene e aiuta anche a sinistra chi vuole ricostruire un cammino di ridefinizione anche delle “parole d’ordine” di una ideologia ormai dispersa in mille rivoli e sempre meno presente nelle coscienze dei moderni sfruttati così come in quelle di chi fa parte attivamente di formazioni anticapitaliste e antiliberiste.

La contrarietà a tutto ciò da parte del Partito Democratico non deve stupire affatto: se qualcuno si era illuso che Zingaretti fosse il “Landini del PD”, oggi ha potuto constatare che, a partire dalle dichiarazioni sul TAV e sul referendum Renzi-Boschi contro la Costituzione, il nuovo segretario del partito che si fa definire “di sinistra” ma che è banalmente di centro (con pericolose virate a destra sul terreno economico), arrivando al “no” su una tassazione fortemente progressiva, siamo innanzi ad un cambiamento di facciata, ad un recupero esclusivamente politicista di aperture “a sinistra” solo volte a ricomporre quel minimo di parvenza esteriore per poter affrontare se non proprio la Lega, almeno i Cinquestelle sul piano elettorale.

Il Partito Democratico rimane una forza che interpreta le esigenze e i bisogni di un ceto padronale (pardon… imprenditoriale!) che non ha alcuna intenzione di rinunciare alle posizioni di rendita profittuale che ottiene tramite la protezione politica consolidatasi nel tempo a partire dalle innovazioni in materia di intervento sui diritti sociali di tanta povera gente, fatte con il governo Monti ed espressamente e plasticamente riprodotte nella “Legge Fornero”.

Bene dunque l’importante presa di posizione di Landini che sfida oltre al governo attuale anche una opposizione liberista incompatibile con le ragioni di un sindacalismo di classe che deve poter tornare ad essere tale ed esprimere compiutamente i bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici, permettendo loro di riconsiderarsi come una unità non divisibile dalle crudeltà xenofobe e dal razzismo come mezzo di generalizzazione e fascistizzazione non soltanto delle idee ma anche delle necessità pratiche, provando a rinverdire le gesta di forze del primo novecento che, rimanendo destre estreme, riuscivano a rappresentare un interclassismo inedito per quei tempi e tragica riedizione per l’oggi.

Qualcosa si muove nella CGIL. Ora qualcosa deve muoversi anche a sinistra.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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