Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1912, nell’Atlantico settentrionale, al largo delle coste del Canada, naufragò il transatlantico RSM Titatic. So bene che, illusi dalla retorica della “livella”, ci piace pensare che siamo tutti uguali di fronte alla morte, ma quella storia di un secolo fa ci insegna esattamente il contrario, ossia che nel mondo reale – non quello immaginato dai poeti – non siamo tutti uguali. Delle 329 persone imbarcate in prima classe ne morirono 130 (il 39,5%), delle 285 della seconda ne morirono 166 (il 58,2%), della 710 della terza ne morirono 536 (il 75,4%), infine degli 899 membri dell’equipaggio – affini per lo più ai viaggiatori di terza classe – ne morirono 685 (il 76,1%). Ce l’ha raccontato anche il film: alla fine Rose si salva e Jack muore. Forse in quella zattera di fortuna c’era posto per entrambi quei giovani innamorati – so che qualcuno ha anche provato a simulare la scena, dimostrando che potevano starci, per quanto un po’ stretti, tutti e due. Ovviamente in quella storia uno dei due doveva morire: al cinema devi piangere, altrimenti perché avresti pagato il biglietto.E comunque le statistiche dimostrano che Jack sarebbe probabilmente morto comunque, perché se devi viaggiare in terza classe, è più probabile che muori, hai il doppio di probabilità di morire. Etimologicamente l’aggettivo probabile significa che può essere facilmente dimostrabile, perché deriva dal verbo probare, ossia riconoscere qualcosa per buono. Forse qualcuno pensa che sia una cosa buona che alla fine chi è più povero possa perdersi a causa di un naufragio: in fondo è una sorta di legge di natura, chi è più ricco sopravvive e gli altri peggio per loro. Come in un documentario sulla vita degli animali. Tanti hanno smesso di provare a far sì che questo non sia più un fatto ineluttabile. Ci siamo arresi a questa probabilità, non ci facciamo neppure più caso, tanto noi siamo sulla zattera, infreddoliti, malconci, ma con un’alta probabilità che qualcuno arrivi a tirarci in salvo. E la zattera è proprio piccola, non è come quella del film: vorremmo tirare su qualcuno, ma non c’è posto, vediamo che si sta sgretolando ai lati, sarebbe pericoloso a questo punto caricare altro peso, affonderemo tutti. Qualcuno si sente perfino in colpa – e sinceramente – di essere dalla parte giusta della statistica, ma non è qualcosa che abbiamo scelto noi: siamo nati in prima classe. E mentre ascoltiamo l’orchestra che suona, perdiamo i sensi. Ci risveglieremo asciutti. E vivi. 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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