Attraverso tutto lo sviluppo storico delle diverse forme di città, dalla agorà greca (la piazza della polis) fino alla metropoli moderna, la piazza è sempre stato il luogo deputato agli incontri, allo stare insieme, il nucleo e il cuore della città, uno dei suoi simboli più rappresentativi. Il luogo della democrazia, quello dove si eseguivano le condanne pubbliche, ma anche il luogo dove venivano celebrate le feste o le manifestazioni di protesta o di consenso al potere politico. Credo di non sbagliare se affermo che buona parte della attuale produzione di urbanistica e di architettura sia dedicata alla perdita dei luoghi pubblici, in primis, della piazza, ovvero a quel fenomeno di sequestro dello spazio pubblico da parte dell’ideologia neoliberista. Molte delle città di tutto il mondo vantano splendide piazze: piazza Navona a Roma, piazza del Plebiscito a Napoli, piazza dei Miracoli a Pisa, piazza del Campo a Siena. Perfino Bruxelles vanta una splendida piazza e Marrakech è famosa per la sua piazza Djemaa el-Fna, chiamata la piazza dei folli che sorge accanto alla grande Medina. «Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di essere sempre quella piazza», così Canetti racconta lo stupore e l’incanto che lo colgono durante il suo soggiorno a Marrakech nel 1954. La piazza dunque come rappresentazione della scena pubblica, il luogo privilegiato degli incontri, luogo delle diversità, delle ibridazioni, de ri-conoscimento. Racconta Vezio De Lucia (quando era Assessore all’urbanistica a Napoli) che la notte prima di dichiarare pedonale piazza del Plebiscito non riuscì a dormire temendo una sommossa dei napoletani, che, invece, con sua grande sorpresa, accolsero entusiasticamente il progetto, dimostrando di saper apprezzare il bene pubblico e la bellezza della città. Tutte le piazze sono per definizione pubbliche ed è questo loro carattere che le rende accoglienti, belle, piacevoli, soste obbligate di un percorso turistico o di esplorazione di una città. Ma alle volte le piazze possono essere profanate, come dimostrarono i fatti del G8 di Genova del 2001. La città fu allora sequestrata, divisa in zone rosse, zone gialle: reticolati di ferro, container, blindatura dei tombini, dei cassonetti di rifiuti, bulldozer. Primo esempio, dal dopoguerra, in Italia di un sequestro di una intera città da parte della forza militare. Allora quella città fu sconvolta, dissacrata, mutilata, ferita a morte come un corpo squartato nelle viscere, fatto a pezzi e oscenamente esibito all’intero mondo, mostrando a tutti cosa può essere la città della separazione, della solitudine, del terrore, della violenza istituzionale, dell’inospitalità, della barbarie. Tutti abbiamo ancora ricordo di quel tragico evento che segnò una svolta nei metodi di repressione organizzata. Salvini ora ci ripropone, in tempi di pace, uno stesso scenario. Riesumando le zone rosse dell’infamia. Propone, non contento dei Daspo, il commissariamento dei Sindaci «distratti», benché eletti dal popolo, attraverso i Prefetti, impedendo la sosta nei luoghi pubblici a persone dedite, o anche solo sospettate di attività «illegali» e costituendo fantomatici Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica che avranno il compito di riferire solo a lui. Quel che è accaduto a Genova diventa dunque ordinaria amministrazione limitando la libertà di movimento e uccidendo il carattere sacro della piazza, come mai nella storia era accaduto. D’ora in avanti, contemplando e attraversando una piazza, bisognerà essere pronti a dimostrare che siamo cittadini che non hanno mai avuto problemi con la legge; per tutti gli altri c’è l’allontanamento, l’ulteriore emarginazione, il confino obbligato. Sorge spontanea la domanda: ma di chi è la città? Da sempre la città, tutte le città, è un’opera collettiva degli uomini, l’opera più grandiosa che sia mai stata realizzata per vivere insieme. Da domani il suo carattere pubblico, o quello che ancora rimane di esso, sarà ulteriormente privatizzato e militarizzato. Tutto questo ad opera del ministro della paura e in nome di una “sicurezza” da lui stesso fomentata e strumentalizzata ai fini elettorali. Foucault avrebbe, oggi, molti nuovi capitoli da aggiungere alla sua opera: sorvegliati e puniti.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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