Anna Donati

A volte ritornano: commissari straordinari, aumento di subappalto e trattativa privata, varianti facili per le grandi opere, appalto integrato, ridimensionamento dell’Autorità Anticorruzione, rigenerazione urbana in deroga, proroghe per i lavori delle concessioni.

Anche il governo Cinquestelle-Lega ha infine approvato il suo decreto Sblocca-cantieri: ultimo in ordine di tempo di provvedimenti all’insegna della proroga, della trattativa privata, dei commissari straordinari, delle varianti facili, provvedimenti che abbiamo visto da oltre 30 anni per grandi opere strategiche, protezione civile, post-terremoti, interventi d’emergenza veri, falsi e presunti, con deroghe che diventano la regola. Come sono lontani i tempi delle battaglie grilline all’insegna dell’onestà-onestà, contro la Legge Obiettivo e la dura opposizione al decreto Sblocca Italia del governo Renzi, a cui lo Sblocca-cantieri odierno- da lunedì 6 maggio entra nel vivo al Senato – assomiglia in modo impressionante.

Coerenti i leghisti, che hanno sempre avversato il nuovo Codice appalti del governo Gentiloni e del ministro Delrio del 2016, come dichiarato da tempo dal sottosegretario leghista Armando Siri, oggi indagato per corruzione, che chiedeva di “cancellare il Codice degli appalti, eliminare l’Autorità anticorruzione, perché sono loro la malattia e non le tangenti. Smettiamola di prendere medicine per curare una malattia che ha bisogno invece di buonsenso e di meno burocrazia”. Parole chiare che adesso il decreto Sblocca-cantieri ha tradotto in norme dimenticando la lunga catena di scandali che hanno portato alla nascita del nuovo Codice appalti che adesso il decreto Sblocca-cantieri demolisce in ben 81 articoli. Le tangenti sull’Expo e quelle sul Mose, le inchieste sulla sanità e quelle per la ricostruzione post terremoto, la cricca delle Grandi Opere e la recentissima inchiesta sullo stadio della Roma.

Ora il Parlamento è chiamato a discutere il Decreto, e c’è da sperare che cambi radicalmente il testo ed i suoi inaccettabili contenuti.

Norme in deroga già sperimentate in passato che non sono state un volano per incrementare i lavori ma solo la scarsa qualità delle opere pubbliche, non hanno prodotto innovazioni di prodotto e di processo, anzi hanno fatto registrare un aumento ingiustificato dei costi e gravi episodi di corruzione e concussione.

Il decreto Sblocca-cantieri (decreto legge n. 32/2019) manca il suo obiettivo e avrà come unico risultato il rendere meno trasparente il settore dei lavori pubblici nell’assegnazione dei lavori e dei subappalti, nella definizione e autorizzazione dei progetti, nella vigilanza sulle infiltrazioni della criminalità organizzata, con il rischio di pesanti ricadute sui costi economici e ambientali a carico della comunità. Per questo le associazioni ambientaliste, WWF Italia, Kyoto Club e Legambiente, che hanno già inviato osservazioni critiche e proposte di emendamento ai membri delle Commissioni Ambiente e Lavori Pubblici del Senato.

Le critiche delle tre associazioni si sono concentrano sulle modifiche introdotte dall’articolo 1 del decreto legge n. 32/2019 (AS N. 1248) a numerose disposizioni che cambiano il Codice degli appalti, alla re-introduzione dei Commissari straordinari per la realizzazione delle infrastrutture prioritarie e alla norme derogatorie per la Rigenerazione urbana, denunciando il ridimensionamento sistematico e ingiustificato del ruolo e delle funzioni svolte dall’Autorità Nazionale Anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone.

La norma aumenta la trattativa privata da 150mila euro a 200 mila, ma elimina la fascia da 200 mila fino ad un milione – dove l’attuale codice appalti prevede una procedura negoziata con invito ad almeno 15 operatori – rendendo invece obbligatoria la gara. Quest’ultima modifica sembra essere tra le poche cosa utili all’incremento della concorrenza del decreto.

La restaurazione del Codice appalti promossa dal decreto Sblocca-cantieri viene completata dalla reintroduzione sino al 2021 dell’appalto integrato che affida pericolosamente ad un solo soggetto la progettazione ed esecuzione dei lavori, la riesumazione dei Commissari Straordinari per le opera prioritarie, che possono operare anche in assenza di un  parere espresso dalle amministrazioni di tutela dei beni culturali e paesaggistici e compiere valutazioni ambientali in tempi contingentati,le proroghe sulla quota di lavori da mettere a gara per le concessioni, l’aumento del subappalto, gli allentamenti dei controlli e della soglia dei lavori a trattativa privata,la destrutturazione delle procedure autorizzative delle varianti per le “infrastrutture strategiche” della Legge Obiettivo, con l’eliminazione del doppio controllo in capo al CIPE.

Norme che rafforzano la Legge Obiettivo invece di eliminarla definitivamente insieme al suo lungo regime transitorio per le grandi opere strategiche, che infatti proseguono (più o meno) la loro corsa.

Infine va ricordato che sempre nel decreto legge Sblocca-cantieri sono previste norme per affidare direttamente lavori e progetti nella ricostruzione dei lavori privati post terremoto del Centro Italia e modifiche per consentire Progetti di Rigenerazione Urbana in deroga agli standard vigenti.

Ecco in dettaglio le principali norme contenute nel Decreto Legge 32/2019 Sblocca Cantieri:

Aumento della trattativa privata, gare sopra 200 mila euro e massimo ribasso per le opere sotto soglia

Resta a 40 mila euro, la soglia per gli affidamenti diretti da parte dei funzionari delle pubblica amministrazione, ma sale da 150 mila a 200 mila euro, il tetto massimo per assegnare gli appalti a trattativa privata e procedura negoziata con invito ad almeno tre operatori. Oltre i 200 mila euro il decreto prevede l’obbligo di procedere con gara con procedura aperta, ma con aggiudicazione al massimo ribasso.

Ricordiamo che in questo modo è stata smantellata una fascia da 200 mila fino ad 1 milione in cui la gara era ristretta ad inviti di almeno 15 operatori prevista dal Codice vigente. Per le opere sotto la soglia Ue di 5,5 milioni, si abbandona l’offerta più vantaggiosa a favore del criterio del massimo ribasso, con l’obbligo di escludere le offerte anomale, cioè quelle con percentuali di ribasso superiori alla media. Non dimentichiamo che il massimo ribasso non ha mai favorito la qualità degli interventi ed il rispetto delle regole (sicurezza, lavoro nero..) nei cantieri.

Appalto integrato fino al 2021 
La misura prevede la possibilità di ricorrere all’appalto integrato per i progetti definitivi approvati entro il 31 dicembre 2020. L’altra condizione da rispettare è quella di pubblicare il bando entro 12 mesi dall’approvazione del progetto, arrivando in questo modo a dicembre 2021. Fino a quella data dunque le stazioni appaltanti potranno approvare progetti fino al livello definitivo e mandarli in gara senza tener conto dei paletti attualmente previsti (complessità tecnologica o lavori particolarmente innovativi).

Non dimentichiamo che la separazione tra progettazione ed esecuzione dei lavori da parte dello stesso soggetto, è stata una dei caposaldi del nuovo Codice appalti, che aveva lo scopo di incrementare la qualità dei progetti, la ricerca delle soluzioni tecnologiche e di inserimento del progetto nel contesto territoriale e urbano. Una separazione necessaria per avere una progettazione di qualità, capace di identificare soluzioni innovative, nuove tecnologie, inserimenti adeguati nel territorio e nelle realtà urbana, processi e materiali innovativi. Una progettazione indipendente da chi realizza l’opera che per inerzia tende a riproporre sempre lo stesso manufatto ad alta intensità di cemento e asfalto.

Subappalti crescono dal 30% al 50%
Salgono dal 30% al 50% la quota di lavori che può essere subappaltato dall’impresa principale. Il decreto prevede inoltre la cancellazione della terna delle imprese a cui si vuole subappaltare da indicare nella gara. Inoltre la percentuale di subappalto ammissibile dovrà essere stabilita gara per gara con i bandi dalle amministrazioni, una norma discrezionale che non piace alle imprese.

Va ricordato che sul tema del subappalto è in corso da tempo un braccio di ferro tra l’Italia e la Commissione Europea che vorrebbe la totale liberalizzazione del subappalto e che ha avviato su questo tema una procedura d’infrazione contro l’Italia. Ma il contrasto era già presente quando il ministro Delrio varò il nuovo Codice appalti nel 2016 ed il governo decise di mantenere il limite del subappalto al 30% massimo, tenendo conto del contesto italiano e della delicatezza della questione. Suona davvero anomalo che, ora che al governo del Paese c’è  un esecutivo antieuropeo, ci sia “sdraiati” in questo modo di fronte alle contestazioni, invece di far valere le specifiche ragioni italiane in Europa, a tutela del lavoro e delle caratteristiche delle imprese italiane.

Niente obbligo per i Comuni di centralizzare gli appalti
Con la modifica al comma 4 dell’art. 37 del Dlgs n. 50/2016, i Comuni non capoluogo di provincia possono gestire da soli le procedure di gara di maggior rilievo, senza ricorrere a centrali uniche di committenza o stazioni uniche appaltanti, come prevede il codice attuale. 

Infatti, il decreto in oggetto, elimina l’obbligo per le amministrazioni comunali non capoluogo di ricorrere a formule di aggregazione per l’acquisizione di lavori, beni e servizi oltre certe soglie. Questa non è una misura efficiente perché avere delle centrali di committenza per gli appalti qualificate, trasparenti, controllate, data anche la complessità delle norme, direttive e sentenze, è opportuno.

Qualificazione allentata per le imprese

Per il sistema di qualificazione delle imprese, il limite viene innalzato a 15 anni, mentre oggi per dimostrare i requisiti tecnico-economici le imprese facevano riferimento ai risultati degli ultimi dieci anni. Un modo per permettere ai costruttori di superare all’indietro gli anni peggiori delle crisi cominciata nel 2008, che ormai ha pervaso molte delle principali imprese italiane. Peccato che a farne le spese, con questo nuovo sistema, sia il controllo sulla qualità delle imprese, sminuendo il ruolo delle SOA, gli organismi di controllo, e senza dimenticare che inizialmente l’arco temporale di controllo era di cinque anni, poi portato a 10 anni ed ora innalzato a 15 anni.

Grandi Opere Strategiche della Legge Obiettivo: niente controllo Cipe per varianti fino al 50% dell’importo dei lavori

Con l’introduzione del nuovo comma 1-ter dell’art. 216 del Dlgs n. 50/2016 si stabilisce che, nel caso di “infrastrutture strategiche” approvate con le procedure accelerate e semplificate della Legge Obiettivo inserita nel Codice appalti, se le varianti nella redazione del progetto esecutivo o in fase di realizzazione dell’opera non supano del 50% il valore del progetto definitivo approvato dal CIPE, saranno approvate esclusivamente dal soggetto aggiudicatore.

Si tratta di una modifica gravissima ed inaccettabile del Codice appalti, dove non vi sarebbe più un controllo governativo e collegiale sulle opere strategiche, la spesa per grandi investimenti e l’impatto ambientale delle varianti e modifiche delle opere. Da notare che il 50% del valore del progetto definitivo approvato dal CIPE per le grandi opere ammonta a cifre ragguardevoli e che il nuovo Codice degli appalti (Dlgs n. 50/2016) nasce come soluzione di discontinuità rispetto ad una stagione delle infrastrutture strategiche in cui l’assenza di Piani economico-finanziarie credibili, l’approssimazione sull’ammontare reali dei costi a preventivo e la continua loro lievitazione in corso d’opera, hanno portato a gravami insostenibili per le casse pubbliche e a violazioni sistematiche delle norme.

Mantenere quindi un doppio controllo sulle varianti in corso d’opera appare ancora necessario soprattutto se si considera anche il ruolo dato al CIPE dalla vecchia disciplina proprio in relazione all’approvazione del progetto definitivo e quindi al rispetto delle prescrizioni da questo approvate prima del passaggio alla fase esecutiva di progettazione e realizzazione, in modo anche di avere un controllo reale sugli incrementi di costo delle grandi opere strategiche.

E poi sarebbe ora di cancellare definitivamente anche il regime transitorio della Legge Obiettivo, invece di rafforzare il suo carattere derogatorio.

Proroga per i bandi di gara dei concessionari

Con la modifica introdotta al comma 2, primo periodo dell’art. 177 del Dlgs n. 50/2016 si allungano il tempi – fino al 31 dicembre 2019 – entro cui i concessionari devono adeguarsi per portare all’80% la quota di lavori che devono essere messi a gara. Si tenga conto che il Codice appalti vigente assicurava già due anni ai concessionari per raggiungere questo obiettivo e quindi già da aprile 2108 l’80% dei lavori doveva essere messo sul mercato dai concessionari.

E invece di censurare e penalizzare le concessioni che non hanno provveduto nei tempi stabiliti, il decreto n. 32/2019 concede ulteriori mesi di proroga.

Da segnalare, inoltre, che si lascia immutata la speciale previsione per i concessionari autostradali di mettere a gara il 60% dei lavori mentre la restante parte dei concessionari dovrà mettere l’80% a gara: si tratta di una preferenza immotivata che andrebbe corretta con il presente decreto portando tutti i concessionari all’80% dei lavori a gara e solo il 20% in house. Anche questo governo Cinquestelle-Lega mostra – nonostante i proclami – la solita reverenza verso i concessionari ed in particolare quelli autostradali.

Candidature per il Project Financing senza requisiti

Fondi immobiliari e istituti nazionali di promozione potranno presentare proposte in partenariato pubblico-privato per progetti non previsti dai programmi di lavori pubblici delle amministrazioni pubbliche.  

Inoltre con il nuovo comma 17-bis dell’art. 183 del Dlgs n. 50/2016 si interviene sui requisiti necessari per candidarsi a realizzare opere in project financingstabilendo che gli investitori istituzionali possano non avere i requisiti necessari per candidarsi insieme a soggetti che posseggano tali requisiti. La norma richiamata che elenca questi investitori (legge n. 122/2010, articolo 32, comma 3) indica che si tratta di: a) Stato o ente pubblico; b) Organismi d’investimento collettivo del risparmio; c) Forme di previdenza complementare nonché enti di previdenza obbligatoria; d) Imprese di assicurazione, limitatamente agli investimenti destinati alla copertura delle riserve tecniche; e) Intermediari bancari e finanziari assoggettati a forme di vigilanza prudenziale ed altri soggetti analoghi.

Se consideriamo la debolezza della “Finanza di progetto” nel nostro Paese e il modo sistematico con cui sono crollati tutti i Piani economici e finanziari per progetti e grandi opere, non si ritiene davvero opportuna questa misura, che allenta ulteriormente l’individuazione, e quindi la definizione dei requisiti e delle garanzie in materia di project financing.

Regolamento Unico da varare entro 180 giorni 

Il decreto legge 32 stabilisce che entro 180 giorni venga emanato un Regolamento unico (art. 216, comma 27-octies) di attuazione delle modifiche introdotte che per diverse materie avrebbero dovuti essere resi dall’ANAC. Addio quindi alla soft law del Codice appalti, si ridimensiona il ruolo di ANAC e si torna al Regolamento unico tanto criticato del Codice appalti del 2006 del governo Berlusconi.

La norma inoltre prevede che il vecchio sistema di linee guida e regolamenti attuativi resti in piedi fino all’arrivo del nuovo Regolamento, da varare entro 180 giorni dal decreto. Qui c’è il rischio concreto di lasciare le stazioni appaltanti e imprese senza chiari riferimenti per i prossimi mesi e quindi frenando di fatto i bandi di gara invece di sbloccare i cantieri.

Tornano i Commissari straordinari

Per sbloccare le opere e si rafforza, invece di essere definitivamente eliminata, la Legge Obiettivo, tornano ora i commissari straordinari ad hoc.

Il Decreto Legge 32/2019 all’articolo 4 re-istituisce la figura dei Commissari governativi straordinari per gli interventi infrastrutturali ritenuti prioritari (le “infrastrutture strategiche del vecchio Codice Appalti, Dlgs n. 163/2006). E si consente agli stessi Commissari di procedere in deroga alla normativa vigente sui beni culturali e paesaggistici, passati 60 giorni, nel caso che le autorità competenti non si siano pronunciate, di dimezzare i tempi dei procedimenti di Valutazione di impatto ambientale e della contestuale Valutazione di Incidenza.

Ora, non si può che rilevare come richiamare e rilanciare la pratica del “silenzio/assenso” anche in relazione ai nulla osta relativi ai beni paesaggistici culturali rientri in un vecchio armamentario che si riteneva superato.Come anche la pratica di comprimere da 60 a 30 giorni il termine perché i cittadini possano esercitare il loro diritto alla partecipazione, avendo il tempo necessario per poter redigere proprie osservazioni, proprio su quelle grandi opere che hanno maggiore impatto ambientale, sociale ed economico.

WWF Italia, Kyoto Club e Legambiente, hanno sempre criticato, facendo riferimento al quindicennio di disastrosa applicazione della Legge Obiettivo, come le procedure accelerate e semplificate per le grandi opere abbiano prodotto progetti di scarsa qualità, mal realizzate a scapito della tutela dei beni paesaggistici, culturali e ambientali

Sarebbe necessario non solo eliminare questo articolo 4 dal presente decreto, ma superare in modo definitivo la Legge Obiettivo, che il Codice appalti del 2016 superava sul piano normativo, ma poi consentiva un lungo regime transitorio ancora oggi presente sulle opere ancora in corso di progettazione e decisione.

Ricostruzione post terremoto, avanti senza gara

In relazione alla ricostruzione post sisma ” per la ricostruzione privata” nel Centro Italia, i decreto cancella la procedura negoziata con almeno tre imprese: non sarà più obbligatorio mettere a confronto almeno tre preventivi ma si potrà affidare l’appalto privato direttamente all’impresa.

Ulteriore novità è prevista dal Decreto 32 nei servizi di progettazione per le stesse aree. Il sistema dell’aggiudicazione al massimo ribasso, previa procedura negoziata con consultazione di almeno dieci professionisti, viene esteso ai servizi tecnici e per l’elaborazione degli atti di pianificazione e programmazione urbanistica per importi sotto-soglia.

Anche in questo caso, dunque, la giusta esigenza di procedere rapidamente alla ricostruzione post terremoto del Centro Italia, viene risolta aumentando la trattativa privata nei lavori e nella progettazione, senza introdurre alcun contrappeso di controllo pubblico su queste procedure, che non dimentichiamo hanno spesso indotto comportamenti illeciti e fenomeni di concussione e corruzione in lavori analoghi di ricostruzione.

Interventi di rigenerazione urbana in deroga

Con la modifica previste dall’art. 5 del decreto legge n. 32/2019 (AS N. 1248) all’articolo 2-bis del DPR n. 380/2001, si introduce una norma pericolosa negli effetti diretti e generalizzati che puòprovocare norme arlecchino nelle diverse Regioni italiane, per gli interventi di rigenerazione urbana.

In questi anni è stato chiesto da parte di costruttori e architetti di ridurre i limiti normativi sulla distanza tra fabbricati stabilite dal decreto del ministro dei Lavori pubblici n. 1444/1968, con la ragione che appaiono spesso troppo ampie (portando a strade e spazi pubblici fuori scala) e che non esiste più un rischio di speculazione edilizia ma semmai un’esigenza contraria di avere progetti che valorizzino la densità in particolare nelle aree già edificate e accessibili con i mezzi pubblici, per contenere il consumo di suolo. Questa esigenza è certamente condivisibile in linea generale.

La proposta di modifica prevista all’articolo 5 appare però sbagliata per diverse ragioni. Innanzitutto perché trasferisce alle Regioni la potestà di emanare norme e/o regolamenti che superino l’ordinamento e gli standard nazionali e di definire discipline differenziate in piena autonoma, senza riferimenti chiari. E poi perchè l’unica soluzione individuata è una deroga agli standard vigenti.

La proposta appare un evidente compromesso, perché così il Parlamento non si assume la responsabilità di cambiare la norma sugli standard ma lascia decidere alle Regioni. Ma questa soluzione è sbagliata perché i riferimenti su temi così delicati e sulla qualità del costruito, devono essere omogenei su tutto il territorio nazionale e devono davvero indurre, con strumenti innovativi e da scrivere in norma, la riqualificazione delle nostre periferie

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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