di Guido Salza
Parigi – mercoledì Primo Maggio. Le strade della capitale francese sono state ancora una volta testimoni di violenti scontri tra la polizia e i gilets gialli. La loro protesta, partita spontaneamente per opporsi all’aumento delle tasse sul carburante, si è trasformata in una lunga battaglia per le dimissioni di Macron e ieri ha rubato il palcoscenico alla sinistra nella data storica della Festa del Lavoro. I gilets sono simbolo della richiesta istintiva di ampi strati di popolazione per una forte discontinuità con il recente passato politico. La marea gialla ha bloccato la Francia ogni sabato durante le scorse 24 settimane, e non ha nessuna intenzione di fermarsi. Con loro si sono dovuti confrontare tutti.
Gilets gialli
Partiamo dai nuovi protagonisti del primo maggio parigino, i gilets gialli. Alle 11 del mattino in piazza non ci sono che loro sotto la torre di Montparnasse. La polizia già filtra gli accessi alla piazza, dove è previsto il concentramento. I celerini in cordone aprono zaini, controllano documenti e a mezze parole fanno capire che non c’è da scherzare. Ma con i gilets le minacce non sembrano troppo efficaci.
L’appuntamento per il corteo dei sindacati è previsto solo per le 14:30. Il percorso concordato è lungo poco più di 3 chilometri: dalla piazza antistante la torre fino a Place d’Italie, percorrendo uno dei tanti ampi boulevard della capitale.
A testimonianza della presenza del mondo della sinistra, lungo il primissimo tratto del percorso iniziano a parcheggiarsi i furgoni delle varie sigle sindacali e politiche. I classici palloni vengono gonfiati e qualche manciata di militanti prepara gli stand dai quali verranno lanciati slogan e distribuiti volantini al corteo che dovrebbe sfilare qualche ora più tardi.
Ma quest’anno l’aria che tira è tutta diversa. I gilets gialli scalpitano, e già verso mezzogiorno la piazza non li contiene più. Pochi minuti dopo l’una inizia un corteo spontaneo. La sua composizione è come al solito variegata, ma i cosiddetti casseurs (i black block, per intenderci) sono nettamente minoritari. Quello che inizia a muoversi verso Place d’Italie, ignorando l’agenda della sinistra parigina, è piuttosto un torrente giallo in piena.
Tutto attorno, il dispositivo repressivo che si prepara a contenerlo è davvero impressionante. Un imponente cordone di polizia è già schierato lungo percorso, a qualche centinaio di metri dal punto di partenza. Altrettanta celere blocca gli accessi laterali al Boulevard du Montparnasse. In seconda fila, già si intravede la famigerata Brigade Anti-Criminalité, reparto in borghese e armato fino ai denti, che fa vere e proprie incursioni dentro la folla per isolare e prelevare i manifestanti più ‘agitati’. Ci sono anche decine e decine di poliziotti in motocicletta, usati in genere per fare i caroselli nella folla. Sul mezzo sono sempre in due: uno guida, l’altro spara. Ad un paio di isolati di distanza dal boulevard, la repressione ha addirittura schierato la cavalleria.
Ma i gilets non sembrano intimoriti. È da 24 settimane che si confrontano con l’apparato militare dello Stato e hanno molta più confidenza. La loro è una disponibilità ad accettare un livello di scontro sempre più alto. Ogni nuovo ferito, ogni nuovo arresto, ogni nuova intimidazione non fa che rinvigorire la loro volontà. Ed ecco che, superate le sigle sindacali, il corteo si trova davanti alla polizia, che non retrocede. Così inizia la confrontazione.
La polizia non lascia proseguire il corteo. Dopo più di un’ora e grazie ad un abbondante uso di gas lacrimogeno, di cariche e di incursioni dirette, i gilets vengono pian piano rispediti fin sotto la torre. Questo, naturalmente, coinvolge tutte le sigle sindacali e politiche che si erano piazzate lungo il percorso: tutti vengono gasati e caricati, molti costretti ad abbandonare le loro postazioni. Le migliaia di persone in arrivo per partecipare come ogni anno al corteo del Primo Maggio si ritrovano nel bel mezzo degli scontri. In molti non riescono nemmeno ad avvicinarsi alla piazza. Questo ridimensionerà drasticamente il numero di partecipanti all’appuntamento sindacale.
Passati alcuni minuti, la testa gialla del corteo ripartirà in direzione Place d’Italie, continuandosi a scontrare con la polizia lungo il percorso, ad ogni manciata di metri. Anche perché, come si è detto, di polizia ce n’è davvero tanta. Da ogni angolo tirano e caricano, indiscriminatamente [1]. Un esempio su tutti è quello dell’ospedale di Port Royal. I giornali hanno riportato che dei gilets avrebbero provato ad ‘attaccarlo’. Questa è una vera e propria distorsione della realtà. La verità è che i celerini hanno chiuso per parecchi minuti i gilets schiacciandoli contro la struttura ospedaliera. Tutto ciò mentre proprio alcuni reparti ne avevano occupato il tetto per lanciare granate lacrimogene sulla folla. Una manciata di gilets ha allora provato a rifugiarsi dentro la struttura, inseguiti per altro dai poliziotti [2]. D’altronde, la pratica di spezzettare in più parti il corteo invadendo la strada con centinaia di poliziotti è una tattica alla quale le forze di polizia ricorrono sempre più spesso. La polizia crea una vera e propria gabbia (la nasse) dalla quale non si entra né si esce per lunghi minuti o addirittura ore.
Gilets neri
Inutile negare un’evidenza: la destra è sempre stata presente nel movimento. A molti è capitato di scorgere la croce celtica del gruppo studentesco fascista GUD (Groupe Union Défense) o il faro della Bastion Social, organizzazione di triste ispirazione casapoundiana. Ma può anche sfilarti davanti un tricolore abbellito da qualche bel simbolo monarchico.
Ma i gilets neri non erano preponderanti all’inizio e, a dir la verità, in queste 24 settimane non hanno fatto che perdere terreno. Se è ragionevole ritenere che nella Francia rurale mantengano qualche rendita politica, a Parigi e nelle altre grandi e medie città francesi (Marsiglia, Nizza, Lione, Strasburgo) sono quasi del tutto scomparsi dalle piazze. Da una parte, bisogna riconoscerlo, è perché c’è stata una solerte azione militante da parte di compagni attenti, che più volte hanno accompagnato poco gentilmente questi personaggi fuori dai cortei. Dall’altra, però, la stessa energia potenzialmente rivoluzionaria dei gilets è stata determinante per la marginalizzazione non solo dei gruppuscoli neofascisti, ma anche della presa dell’estrema destra istituzionale.
Chi non sta al passo con il livello dello scontro perde ogni speranza di influenza. E la destra è ormai da mesi che si distanzia spaventata da qualsiasi debordamento violento delle pratiche dei gilets. Intervistato dopo i fatti del primo maggio a Radio France, il candidato di Le Pen alle europee Jordan Bardella ha ripetuto la solita solfa: “ci sono gilets buoni e cattivi. […] I gilets cattivi sono una parte ultra-minoritaria che si è fatta persuadere dalla propaganda comunista. […] Questa manciata di persone sta compromettendo l’efficacia delle sacrosante rivendicazioni di tutto il movimento”. In coda a questo tipo di dichiarazioni, di solito, ci sono espressioni di solidarietà e di vicinanza alle forze di polizia e, soprattutto, disperati appelli a disertare le piazze. Anche Marine Le Pen in persona è più volte intervenuta su questi toni, tirandosi però la zappa sui piedi perché sostanzialmente si appiattisce sulla posizione di Macron. E questo ha fatto perdere parecchio terreno alla destra in seno al movimento più attivo.
Gilets rossi
Vista la presenza della destra e il tema originariamente centrale delle tasse, in molti (troppi) si sono a lungo interrogati se quello dei gilets sia intrinsecamente un movimento di ‘destra’ o di ‘sinistra’. Come è già stato scritto in tutte le salse, non ci può essere risposta giusta ad una domanda così mal posta.
Il movimento dei gilets gialli è un movimento spontaneo che coinvolge ampie fasce della popolazione e che è scaturito dall’istinto di difesa di condizioni di vita già precarie. Partito sulla difensiva, ha poi iniziato a giocare all’attacco. I gilets hanno capito subito di contare, di fare paura e di poter esercitare il proprio volere sulla società francese. Piuttosto, la domanda che andrebbe formulata è: qual è la strategia che i comunisti e la sinistra radicale dovrebbero mettere in pratica per vincere la battaglia per l’egemonia del movimento?
Bisogna riconoscere alla sinistra francese di aver accettato la sfida. I gilets rossi, trainati dalle organizzazioni più radicali e coscienti, si sono da subito messi a disposizione non solo del dialogo, ma anche della lotta materiale al fianco dei gilets. La parola d’ordine lanciata da questi ambienti è quella della convergenza delle lotte. Grazie a questo impegno, i gilets hanno acquisito già molti dei linguaggi e delle pratiche della sinistra radicale di movimento. Per un italiano a Parigi, fa particolarmente effetto sentire scandito dalla massa gialla il coro “siamo tutti antifascisti”.
Più al centro, il flirt tra i vertici della CGT (la Confederazione Generale del Lavoro) e i gilets è ormai sotto gli occhi di tutti e più esche sono state lanciate da entrambe le parti. L’occasione del primo maggio non era la prima volta in cui i gilets convergevano su una data della CGT. Dal canto suo, la CGT ha prodotto parecchio materiale in sostegno delle rivendicazioni dei gilets. Tutto ciò senza parlare della istintiva simpatia che ha provato la stragrande maggioranza della base del grande dinosauro confederale. Migliaia di lavoratori sindacalizzati (CGT e sigle minori come la SUD) si sono letteralmente buttati nella mischia.
A seguito dei fatti del Primo Maggio, il segretario della CGT, Philippe Martinez, dopo aver annullato il comizio del primo maggio a causa degli scontri, ha usato parole dure nei confronti del dispositivo repressivo messo in campo dalla polizia. “La polizia – ha dichiarato Martinez – ha caricato la CGT, una CGT ben riconoscibile. Un fatto grave. Per un ministro dell’Interno che ci aveva assicurato ‘Ho sotto controllo la situazione, ho cambiato il prefetto, vedrete’, bene: abbiamo visto! Una repressione inusitata e senza discernimento da parte delle forze dell’ordine in risposta alle violenze di certi”.
Questo dato di disponibilità e di apertura della sinistra, assieme al fatto che la destra sta inesorabilmente perdendo terreno, dovrebbe fare ben sperare. Vuol dire che le condizioni necessarie per un’egemonia sono presenti. Rimaniamo, però, ben lontani dalla sufficienza.
La sinistra francese non può pensare di ‘integrare’ i gilets. Come è successo simbolicamente ieri, i gilets travolgono i vecchi e confortevoli schemi in cui le sigle politiche e sindacali si sono rifugiate. Li travolgono volenti, quando nell’impeto della loro avanzata li scavalcano per raggiungere la barricata. Li travolgono inconsapevolmente, quando si ritraggono sotto i colpi ciechi della repressione.
Insomma, ai compagni francesi non rimane che rimboccarsi le mani e ricominciare a praticare ancora più coscientemente la vecchia e sempre utile politica leninista. Interpretare e organizzare le richieste delle masse che si mobilitano. Farsi portatori di quelle istanze strategiche, cioè quelle istanze che, seppur nate in seno al movimento spontaneo, sono capaci di spezzare gli ingranaggi fondamentali su cui si basa il sistema politico ed economico. Questo va ben oltre condividere cariche e lacrimogeni durante gli appuntamenti di piazza. La grande energia liberata dai gilets gialli va incanalata verso forme di lotta e di organizzazione consapevoli. D’altronde, se l’amara parabola delle lotte operaie del secolo scorso ha insegnato qualcosa ai gilets rossi, è proprio che i movimenti che non si pongono la questione del potere sono destinati alla sconfitta.
Note:
[1] Qua uno dei tanti video della violenza poliziesca
[2] Qua e qua si può vedere come la bufala dell’attacco all’ospedale da parte dei manifestanti sia totalmente infondata
https://www.lacittafutura.it/editoriali/gilets-gialli-neri-e-rossi