Più ascolto e leggo economisti cosiddetti “moderni” (soltanto perché appartengono al tempo presente, non perché espongano analisi scientifiche che surclassino quelle marxiste nell’esaminare le contraddizioni intrinseche al capitalismo e la stessa contraddizione massima, quindi il processo di formazione e produzione del capitale medesimo), più mi convinco che un contraltare rispetto a chi è espressione del privilegio e del profitto non può essere una sinistra dai contorni non ben definiti.

E’ ormai un adagio “antico”, che vado ripetendo da anni e anni: la mancanza di un aggettivi è la libertà che la sinistra (più o meno definibile tale) si attribuisce per avere quel tanto di campo libero da spaziare ora con forze anticapitaliste e ora con forze social-liberiste (la categoria della socialdemocrazia può essere semmai attribuita proprio alle forze in questione, ondivaghe e ondivaganti).

Ma la mancanza di aggettivi che qualifichino l’essenza della sinistra, la sua natura antropomorfizzata poi in figure umane che la rappresentino, non sarebbe di per sé un dramma così efficace da dover essere affrontato ad ogni passaggio elettorale o ad ogni tentativo di ricostruzione di un fronte progressista in Italia.

Tale mancanza diventa drammatica quando diventa necessario rimettere al centro della questione politica un piano di sviluppo della lotta sociale e politica che abbia una precisa connotazione culturale, quindi ideologica.

Sì, ideologica: perché senza una chiara visione di uno sviluppo delle lotte proiettato in un minimo contorno di evoluzione delle medesime, così da costituire una chiara tela su cui dipingere un quadro dell’alternativa di società, non può esservi nemmeno un progetto seriamente condiviso, costruibile e stabile nel tempo.

I tentativi fatti negli ultimi tempi sono franati per la fragilità delle basi su cui si reggevano e per l’ostinazione a sposare tendenze escludenti piuttosto che includenti: così è avvenuto che una volta era il comunismo ad essere ostativo a tutto ciò, e non tanto “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente” quanto semmai la non riconoscibilità di sé medesimi in quel movimento e quindi l’estraneità di una certa sinistra all’anticapitalismo.

Un’altra volta è stato il settarismo di chi osteggiava la forma partito a non consentire l’allargamento di un tentativo unitario che, infantilmente, vedeva in 300.000 voti un grande slancio egemonico politico-culturale nei confronti del moderno proletariato. A me parve un completo fallimento e i fatti che si sono susseguiti ne hanno dato conferma.

Oggi ci apprestiamo a concorrere ancora una volta al tentativo di dare unità alla sinistra chiamandola semplicemente così, per quello che vuole essere: “La Sinistra”. Diciamo che lo è per antonomasia, perché ha un programma che potrebbe essere quello di un qualunque partito comunista libertario che vuole trasformare una Europa banchieristica, monetaria e antisociale in un continente dove l’interazione tra i popoli è la prima condizione di unificazione proprio di quelle lotte che devono caratterizzare una forza anticapitalista.

Ma siamo davanti anche a solo primi piccoli passi per la costruzione di una federazione di soggetti che, alla fine, dica a questo sistema economico che non è riformabile e che deve essere abbattuto, superato, capovolto e quindi oltrepassato?

Oppure permangono ancora in forze, che hanno abbandonato il comunismo e la critica “senza se e senza ma” al mercato, dei tratti di ricerca del compromesso con forze moderate e del cosiddetto centrosinistra per provare – va detto, con una qual certa ostinazione che parrebbe persino coerenza allo stato puro… (ma del resto, come di ogni cosa, anche della coerenza ne esistono varie tipologie. Più o meno coerenti con la coerenza stessa…).

Siamo sinceri: permangono. E la sfida è proprio questa per una sinistra che voglia avere un inconfondibile fisionomia che evolva e divenga tratto somatico di una politica riconoscibile all’istante, dove non esista più alcuna titubanza nel reputare una forza dell’alternativa magari alternativa a metà a volte e del tutto alternativa altre volte.

Si dice: ma siamo in campagna elettorale, dobbiamo mostrare il massimo di unità possibile. Giustissimo. Credo che questa unità, nonostante tante contraddizioni, stia resistendo bene, anche per una certa disperazione di chi la compone: Sinistra Italiana non ha altri approdi cui agganciarsi nazionalmente e Rifondazione Comunista non avrebbe fatto onore alla sua storia di sinistra autonoma e unitaria se non avesse tentato di portare le sue istanze almeno alla soglia della speranza del raggiungimento di un consenso popolare che oltre a raggiungere il 4% tanto agognato (da tutti i partiti “minori”) consentisse una rinascita della speranza anche e soprattutto tra le iscritte e gli iscritti, i simpatizzanti tutti, stanchi di una traversata nel deserto fatta solo di miraggi.

Per cui il collante al momento esiste, ma poi, se davvero si vuole costruire un soggetto anticapitalista (e non soltanto, dunque, antiliberista) si deve già da ora assumere una disposizione mentale che oltrepassi qualunque risultato del voto del 26 maggio prossimo, pensandosi come non divisibili e, anzi, permeabili a nuovi ingressi nell’alleanza.

Ciò presuppone la costruzione di una cultura politica e sociale che faccia dell’anticapialismo l’asse portante del soggetto federato, della coalizione (ciascuno la chiami pure come meglio crede) e metta quindi la parola “fine” a qualunque dialogo con finti progressismi ed esperimenti locali (o anche nazionali) di riesumazione del centrosinistra.

“La Sinistra” per antonomasia, se tale deve essere, faccia la sinistra: la sinistra anticapitalista, quindi antiliberista con tutti gli aggettivi che ci si porta appresso e che ben conosciamo.

Altrimenti, se il risultato del voto condizionerà la tenuta dell’alleanza, sapremo già da subito che anche questa esperienza è stata influenzata non da una genuina volontà di trasformazione della società mediante la rinascita dei valori egualitari e di un moderno e nuovo comunismo, quanto dalla molto piccolo-borghese volontà di rimanere a galla in un mondo dove invece una controtendenza è necessaria, dove la lotta contro i nuovi fascismi è imprescindibile e non la possono fare coloro che difendono quell’economia capitalista che è alla base dei disastri antisociali che ci hanno condotto nel secondo periodo più buio della storia d’Italia e d’Europa.

Intanto lavoriamo tutte e tutti per un successo de “La Sinistra”: che almeno non vi sia alcun “alibi della sconfitta” per farla naufragare.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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