Il 26 maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, organismo quasi del tutto ininfluente dal punto di vista decisionale – le scelte più rilevanti ricadono sul Consiglio Europeo e sulla Commissione, istituzioni tecnocratiche che riflettono l’equilibrio di potere tra gli Stati nazionali – ma importante per inquadrare il dibattito politico generale. Le elezioni, infatti, esprimono gli orientamenti filosofici complessivi e le opzioni politiche di fondo che si vengono a delineare all’interno della società civile sia in Europa che nei singoli Stati. e rappresentano un banco di prova per comprendere lo stato in cui si trova la lotta per l’egemonia, lo scontro tra le idee all’interno del conflitto tra le classi nella società civile. Dato che tutte le istituzioni dell’Unione Europea sono state concepite sulla base dei principî ordoliberisti della competizione tra gli Stati, del mercantilismo, dell’austerità economico-finanziaria e del dogma del pareggio di bilancio, con la crisi del 2008 la vera natura dell’Europa si è manifestata in tutta la sua crudeltà e la maschera dell’Europa di pace, di unione tra i popoli, è stata gettata definitivamente. Dal momento in cui, con le misure di austerity rivolte a Grecia – ma anche ad Irlanda, Italia, Spagna e Portogallo – è emerso con chiarezza che la guerra tra borghesie nazionali operava ferocemente accanto alla più dirompente guerra contro le classi subalterne, le voci critiche contro l’Unione Europea, le riflessioni ed i dibattiti sulla impossibilità di tenuta dell’Euro sono cresciute esponenzialmente. La borghesia, da quel momento, si è distribuita in due fazioni apparentemente contrapposte ma in realtà profondamente affini. Sovranisti da un lato e tenaci liberisti ed europeisti dall’altro, accomunati entrambi da una visione di fondo fortemente competitiva e sostanzialmente classista della società, ma distinti fondamentalmente su un punto: gli ordoliberisti rimandano ad una visione liberoscambista e cosmopolita, nella quale gli stati nazionali operano come imprese, mentre i cosiddetti sovranisti, recuperando in chiave sciovinista e razzista il concetto di sovranità nazionale, richiamano alla memoria collettiva concetti come appartenenza, identità culturale e tradizione sulla base dei quali la nazione si fonderebbe contro i nemici interni ed esterni (l’Unione europea delle banche e gli immigrati). Si tratta di una divisione che in forme e modalità diverse attraversa la stragrande maggioranza degli Stati Europei. Il dibattito pubblico – quindi la lotta per l’egemonia – è stato monopolizzato, di fatto, da queste due cordate del capitale, mentre la classe lavoratrice, così come gli studenti, i giovani disoccupati, i pensionati, ecc. hanno subito passivamente – rinunciando, di fatto, ad un loro reale protagonismo, ad una soggettività sociale e politica capace d’inserirsi all’interno di questo conflitto – il punto di vista delle classi dominanti. Il tratto determinante che ha contraddistinto, specialmente in Italia, il comportamento e l’attitudine mentale delle classi subalterne è stato quello della paura, del “timor panico”. Prima la paura di una possibile uscita dall’area dell’eurozona (con le possibili conseguenze inflattive e di crescita esponenziale del debito pubblico) ha contenuto tutte le rivendicazioni sul salario, diritti e lotta alla disoccupazione, fino all’ipotesi di riduzione progressiva degli spazi di democrazia formale col governo Renzi; poi la paura dell’immigrazione, dell’abbassamento del costo del lavoro, ha favorito le frange più reazionarie della classe dominante, che in questa fase sfruttano cinicamente le contraddizioni prodotte dalle politiche predatorie dell’UE sul terzo mondo per scaricare sui più sfruttati il senso d’angoscia e le paure di una parte della classe lavoratrice che si sente impotente, incapace di esprimere un proprio punto di vista, una soggettività politica, sulle contraddizioni del presente. La mancanza di una consapevolezza teorica lucida sul carattere ferocemente classista, oligarchico e predatorio con il quale si andavano a costruire i capisaldi dell’Unione Europea ha generato in una parte consistente della sinistra – Sinistra ltaliana, il gruppo dirigente di Rifondazione ed una parte consistente del mondo dell’associazionismo – l’utopia di un’Europa riformabile, di una sorta di contrattazione sindacale sui vincoli di bilancio, nel quadro di un ipotetica fratellanza dei popoli europei che, invece, le politiche di austerity rendevano sempre più rinchiusi nella difesa dei loro interessi locali e subordinati allo scontro feroce tra zone disomogenee dentro la stessa area valutaria. Dentro questo quadro di compatibilità, senza prendere in considerazione l’ipotesi di un’uscita dall’Unione europea, le lotte sociali si rinchiudono nello spazio angusto del pareggio di bilancio, gli investimenti per il lavoro risultano quasi inimmaginabili e la disoccupazione giovanile a due cifre appare come un dato incontrovertibile, mitigato solo dall’emigrazione di massa. L’esperienza drammatica della Grecia ha messo in luce tutti i limiti di quest’impostazione che, di fatto, escludendo il terreno nazionale, non si pone seriamente il problema della presa del potere, quindi della sovranità economica e politica, anche in una fase di transizione, da parte della classe lavoratrice. La linea teorica elaborata dalla sinistra, emblematicamente espressa dall’eurodeputata Eleonora Forenza, è quella di rappresentare politicamente le lotte civili e sociali che si esprimono in Italia in un quadro complessivo di resistenza sociale e civile di fronte all’attacco messo in atto dalle forze reazionarie e liberiste italiane ed europee. Diversa, e per certi versi opposta, risulta la linea elaborata – o in via di elaborazione – di molte forze comuniste che si presenteranno o che non sono riuscite a presentarsi alle elezioni europee. Il partito comunista di Marco Rizzo ha individuato con maggiore lucidità il carattere d’irriformabilità dell’Unione Europea – così come il PCI che non è riuscito a candidarsi alle elezioni per non essere riuscito a raccogliere le firme. Anche sulle analisi della situazione internazionale, sulla necessità di uscita dalla NATO ci troviamo più vicini a queste posizioni. Riconoscendo nell’UE un polo imperialistico con tratti fortemente antagonistici, i comunisti riescono a mettere in luce meglio le ragioni concrete dell’immigrazione ed a confutare le argomentazioni delle forze fasciste e razziste, non solo sul terreno dei valori ma anche su quello delle ragioni materiali, oggettive, di questi fenomeni. Tuttavia il limite fondamentale di queste forze, ed in particolare del partito di Rizzo, è quello di non capire veramente le paure della classe lavoratrice, quindi di chiedere alla classe lavoratrice un’adesione di tipo fideistico, di proiettare nelle classi lavoratrici il proprio punto di vista. Non c’è l’idea di un percorso che, attraverso la mediazione, l’alleanza con altre forze, conduca attraverso l’esperienza la classe lavoratrice a prendere coscienza dell’irriformabilità dell’UE ed alla rottura dei trattati. L’indisponibilità del partito di Rizzo ad ogni mediazione con altre forze, a partire da quelle comuniste a lui più vicine, non permette di valorizzare gli elementi positivi presenti in quella formazione e fa apparire agli occhi di una parte dei lavoratori il voto a quel partito un voto di testimonianza. In un certo senso anche il gruppo dirigente di Potere al Popolo, nell’isolare le altre forze più moderate e lo stesso Partito Comunista, ha esasperato il principio dell’autoreferenzialità e dell’autosufficienza, proiettando ed accelerando nella lotta per l’adozione dello statuto dell’organizzazione uno scontro con la componente moderata che ha aumentato ancora di più la frammentazione e l’inconsistenza delle forze di sinistra. Se dunque La Sinistra rigetta fuori dal proprio recinto l’analisi di classe e la strategia rivoluzionaria, condannandosi ad accordarsi agli euro-liberisti, il PC, in assenza di una tattica, finisce per subordinare la questione dell’uscita dall’Ue alla costruzione di un consenso internazionale la cui esistenza ci consentirebbe di fare la rivoluzione. In conseguenza, come collettivo politico della Città Futura ci troviamo nell’impossibilità di esprimere una chiara indicazione di voto per una delle liste citate, limitandoci ad esprimere la nostra preferenza per quei candidati che, in ambo le liste, si dichiarano contro l’Ue. Per le ragioni sopra esposte ci risulta impossibile non constatare come – ancora una volta e in assenza di una seria analisi critica delle esperienze passate dal 2014 ad oggi – noi comunisti (nessuno può realmente sottrarsi a tale autocritica) ci troviamo sguarniti e impreparati tanto a livello organizzativo quanto a livello teorico-ideologico dinanzi all’appuntamento delle elezioni europee che, come si diceva in apertura, rappresenta un terreno utile più che altro alla propaganda politica e alla costruzione del blocco egemonico in grado di rilanciare efficacemente le lotte contro l’attacco spudorato in corso ai danni delle classi subalterne. Per parte nostra, diversi mesi fa abbiamo proposto un appello per unire le forze della sinistra radicale in modo da rilanciare una proposta unitaria e coerente sull’Europa. Nonostante fossimo allora come ora consci dei limiti intrinseci di uno strumento squisitamente politico quale l’appello e della necessità ineludibile dei comunisti di costruire nella società il blocco sociale di riferimento, purtroppo tale appello è stato accolto solo dal PCI mentre altre forze hanno reputato prioritario dedicarsi alla prosecuzione di battaglie intestine che, come al solito, hanno prodotto quale unico risultato una ulteriore frammentazione. Sempre fiduciosi nelle potenzialità del dibattito e del confronto tra forze politiche continuiamo a lavorare ancora oggi su questo tema, come peraltro testimonia anche l’iniziativa a Roma in data odierna dal titolo “I comunisti e l’Unione Europea” che abbiamo organizzato assieme ad altre organizzazioni quali Militant, Fronte Popolare, Collettivo G. Tanas, Laboratorio 21, PCI. Infine, per quanto l’astensionismo possa comprensibilmente apparire come una tentazione dinanzi ad un simile quadro desolante, non ci sembra che esso rappresenti la soluzione preferibile, reputando comunque maggiormente utile l’espressione di un voto che, quantomeno, esprima una volontà di contrastare l’ondata reazionaria montante nel paese. Tuttavia, riteniamo che la mancanza di un quadro lucido di quello che stanno subendo i lavoratori in Europa, ed in particolare in Italia, accompagnato da una carenza di conflitto accentuato dalle paure e dai ricatti che il contesto europeo ha alimentato, esprimono un limite enorme – soggettivo ed oggettivo – che non possiamo far finta di non vedere, galvanizzati magari da una percentuale risibile che un piccolo gruppo possa eventualmente riuscire a strappare all’avversario.

https://www.lacittafutura.it/editoriali/elezioni-europee-che-fare

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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