L’immaturità civica, la mancanza di una morale e la grande ignoranza della storia del nostro Paese sono alcune delle ragioni per cui è necessaria una sentenza della Suprema Corte di Cassazione per mettere davanti agli occhi di tutti ciò che dovrebbe essere elementare, lapalissiano, incontestabile: fare il saluto romano rievocando non la Roma repubblicana dei Gracchi o quella del principato augusteo, bensì il fascismo che lo riprese per fregiarsene come continuatore di quella storia imperiale, è reato e lo è senza minimizzazioni di sorta. La sentenza 21409 della Cassazione afferma per l’appunto che fare il saluto romano significa evocare il disciolto partito fascista e ciò diviene ancora più grave se accade in un contesto istituzionale come quello cui si riferisce il dispositivo emesso dai supremi giudici. La Costituzione nasce dalla distruzione di un regime omicida e torturatore che ha mandato a morire centinaia di migliaia di italiani in guerra, che ha annientato ogni opposizione con la forza della violenza organizzata, che ha annichilito il vecchio stato liberale sabaudo e ha costruito al suo interno un regime totalitario. La Costituzione è, dunque, la conseguenza di una lotta di liberazione, di una Resistenza al nazifascismo che – è bene sempre ricordalo – ha introdotto in Italia il razzismo come legge di Stato nel 1938: l’antisemitismo si aggiungeva così alle discriminazioni politiche, sindacali e sociali del resto del ventennio mussoliniano. Alla fine della guerra l’Italia si è ritrovata, grazie al regime del littorio, con 320.000 morti tra forze armate, forze della Resistenza e forze fasciste della Repubblica di Salò. I deportati in Germania furono 600.000. I civili morti più di 25.000. Tutti questi dati sono approssimati per eccesso o difetto, poiché tutt’oggi riesce difficile la piena ricostruzione storica di tanti eventi singoli che consentirebbero anche agli Archivi di Stato del Ministero della Difesa (a cui ci si riferisce) di mostrarci un quadro esatto dell’enormità della tragedia che ha sconvolto l’Italia dal 1922 al 1945: dalla costruzione del totalitarismo alla guerra al fianco della Germania hitleriana. Nonostante l’inoppugnabilità dei fatti, che conservano sempre la durezza della loro testa, ci sono sempre tentativi revisionistici in campo, perché la memoria è necessaria e, quindi, utile ma deve poggiare su basi solide di conoscenza proprio di ciò che non è controvertibile. E ciò lo si può ottenere soltanto se dietro alla cultura della memoria esiste una morale non “condivisa”, ma proprio “partigiana”, in tutti i sensi. I fatti storici non possono essere ascrivibili alla morale se a scriverli è uno studioso, uno storico per l’appunto. Egli obbedisce al criterio di enunciazione dei fatti attraverso fonti che devono essere “scientifiche”, ossia verificabili mediante atti e prove inoppugnabili. E’ evidente che per la storia antica ci mancano, ad esempio, molte prove di tanti eventi che consideriamo fatti: non sappiamo nemmeno che volto avesse Gesù Cristo e nemmeno Cleopatra. Abbiamo statue di Augusto e dipinti di Machiavelli ma mai e poi mai potremo avere documentazione ad esempio della loro voce, del timbro di un discorso, della capacità oratoria di questo o quel personaggio del passato precedente all’invenzione del cinematografo e della radiofonia. Tuttavia a nessuno verrebbe in mente di contestare le fonti che ci narrano della morte di Giulio Cesare in Senato oppure la rivoluzione inglese di Cromwell o, ancora, la formazione degli Stati Uniti d’America. Di tutta la storia antica e moderna abbiamo documentazioni che possiamo incrociare per le opportune verifiche in merito alla veridicità delle fonti, alla loro percentuale di attendibilità in merito a ciascun evento, avendo quindi un chiaro elenco dello svolgimento dei fatti e minuziosi racconti di singoli testimoni. Ma non abbiamo nessuna traccia audio e video. Della storia del ‘900 invece audio e video abbondano: dai discorsi di Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia a quelli di Hitler dall’inizio del cancellierato fino alla fine nel bunker sotto la Cancelleria di Berlino. Ne conosciamo per filo e per segno parole, timbro di voce e abbiamo visto molte volte la mimica facciale, le quotidiane espressioni che invocano l’”emergenza del Paese è questa!”, con tono perentorio. Dunque dovremmo essere in grado, attraverso la conoscenza della storia contemporanea, del funzionamento del nostro Stato e di una morale civica fondata sullo studio anche scolastico della Costituzione (nonostante l’assenza dell’educazione civica che ora, pallidamente, verrà reintrodotta con metodo sovranista…) di fronteggiare qualunque tipo di minaccia nei confronti del regime democratico della nostra Repubblica. Invece, davanti ai fatti di Casal Bruciato, alle tante manifestazioni di odio promosse dai neofascisti del terzo millennio e dai sovranisti di ogni ordine e grado, una certa passivizzazione popolare, una accettazione in parte frutto di rassegnazione davanti ad una politica che non cambia mai, che mai fa gli interessi dei più deboli, crescono, si radicano e diventano quella immorale morale comune che sostituisce il senso profondo di solidarietà sociale che si dovrebbe respirare in una Repubblica democratica. Norberto Bobbio scriveva a suo tempo che la funzione parlamentare di una repubblica risiedeva proprio in uno strumento che fosse il luogo di incontro delle diverse idee politiche e che proprio lì, nel Parlamento, risiedesse la migliore capacità di sintesi per la formulazione non solo delle leggi ma dell’ispirazione stessa capace di essere plurale e unica ad un tempo. Non si può fare il ministro dell’Interno e dirsi democratico e poi chiamare “pidocchi rossi” coloro che legittimamente si oppongono a comizi dove si enunciano concetti che contrastano con la solidarietà sociale, con l’uguaglianza e che mettono in contrapposizione governabilità e umanità nella e della Repubblica. I ministri devono scegliere: se sono fedeli alla Costituzione, su cui hanno giurato nelle mani del Presidente Mattarella, lo devono essere sempre, anche quando si trovano nelle piazze e vi arrivano parlando un po’ da membri del governo e un po’ da segretari di partito. Per questo, a rischio di ripetermi, attribuisco alla politica e alla sinistra comunista in particolare il compito fortemente pedagogico – sociale di essere un parlamento – ombra, un luogo dove possano crescere una nuova natura della politica italiana fondata sul confronto tra interpretazioni del regime democratico mediante il viatico obbligato della Costituzione. La declinazione di questo atteggiamento, che deve essere una linea di comportamento per tutte e tutti noi, trova espressione sia nell’affermazione dei princìpi egualitari e di giustizia sociale che portiamo avanti sia nell’effetto di ritorno del contrasto delle parole e delle proposizioni concrete di una destra pericolosa che le forze liberiste come il PD non sono in grado, per loro stessa natura, di contrastare. Una opposizione di intenti non è nulla se anche si ha il 20% dei voti quando non si portano con sé valori e visioni di un mondo che deve essere rovesciato e non accarezzato per arrivare alla consueta costruzione della “pace sociale” tra i soggetti del conflitto di classe. Il saluto romano è reato, così come sono reati le ricostituzioni del partito fascista “sotto qualsiasi nome” che sono avvenute dal 1946 ad oggi. La legge c’è e deve essere applicata. Manca la coscienza popolare. E deve essere ricostruita.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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