RAUL CASTRO E HO CHI MINH NEL 1966

Francesco Cecchini


Mezzo secolo fa, Ho Chi Minh scrisse un testamento politico che Gramma, giornale ufficiale del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba ha pubblicato non solo per la sua validità, ma come tributo al leader di una popolo fratello nato il 19 maggio 1890.
Il rivoluzionario che i vietnamiti chiamavano famigliarmente Bac Ho, Zio HO, nacque il 19 maggio nel villaggio di Hoang Tru nella provincia di Nghe An, Viet Nam centro settentrionale. Gli venne dato il nome di Nguyễn Sinh Cung.
Come da tradizione vietnamita, all’età di dieci anni cambiò il nome e fu chiamato Nguyễn Tất Thành (“Nguyễn che sarà vittorioso”). Un nome del destino, Ho sconfisse sia il colonialismo francese che limperialismo americano.
Il testamento è datato 10 maggio 1969 e tra l altro è scritto : Sopravvivano i nostri fiumi, le nostre montagne, i nostri uomini. Dopo la vittoria costruiremo il nostro paese più bello di oggi. Quali che siano le difficoltà e le privazioni, il nostro popolo vincerà sicuramente (…)La nostra patria sarà riunificata. I nostri compatrioti del Nord e del Sud saranno riuniti sotto lo stesso tetto. Il nostro paese avrà l’ insigne onore di essere una piccola nazione che con una eroica lotta ha vinto (…) e ha apportato un degno contributo al movimento di liberazione nazionale.” Sono parole che paiono evocare i proclami di Tran Hung-dao ai tempi della guerra contro i Mongoli oppure i versi scritti da Nguyen Trai per celebrare la vittoria sugli invasori Ming. Ho Chi Minh aveva chiesto che dopo la sua morte le sue ceneri fossero messe in tre urne funerarie ed interrate in cima a tre colline: una al nord, una al centro ed una al sud del paese per simbolizzare l unificazione del Viet Nam. Il Partito preferì conservare le sue spoglie in un sarcofago di vetro. Ho Chi Minh comunista e rivoluzionario fu anche poeta. In carcere pensava che anche con braccia un carcere con le braccia e le gambe legate nessuno può impedirvi di ascoltare il canto di un uccello, di aspirare il profumo di un fiore. Ascoltare le voci della natura, respirare il profumo dei fiori conforta, allevia la solitudine, rende meno pesante la disumana condizione del prigioniero. La vista del dolore degli uomini diventa stimolo all’ azione e occasione di poesia.
Il suo Diario dal carcere di Ho Chi Minh è una raccolta di poesie in stile cinese classico
Ho Chi Minh. l’indomabile capo della rivoluzione vietnamita, trova nell’amore per la natura forza e conforto per resistere nei lunghi mesi della prigionia, per alimentare un’immensa fede nella vita e nella vittoria finale .


La rosa
La rosa s apre, la rosa
appassisce senza sapere
quello che fa;
Basta un profumo
di rosa smarrito in un carcere
perché nel cuore
del carcerato
urlino tutte le ingiustizie
del mondo.

HO CHI MINH, COLUI CHE PORTA LA LUCE.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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