Il voto europeo mostra la forza della destra nazionalista e populista, ma si è ben lontani dal consolidarsi di un blocco capace di cambiare le politiche europee. Emerge soprattutto la debolezza dell’offerta a sinistra, con l’unica eccezione dei Verdi in Germania e altrove. Flat tax, Tav, privilegi alle regioni ricche, stretta sull’immigrazione e sulla ‘sicurezza’. Questa l’agenda di governo di Matteo Salvini all’indomani delle elezioni europee, vinte il 26 maggio con il 34,3% ; cinque anni fa la Lega aveva avuto il 6,2%, alle politiche dell’anno scorso il 17%. Con Forza Italia all’8,8% e Fratelli d’Italia al 6,5%, il blocco di destra in Italia arriva alla metà dei consensi. Il Movimento Cinque Stelle crolla al 17,1%, perdendo metà dei voti rispetto alle politiche del 2018 ed è in calo anche rispetto al 21,2% delle europee del 2014. Il Pd ha il 22,7%, contro il 18,7% del 2018 e il 40,8% delle europee di cinque anni fa, all’inizio dell’era di Matteo Renzi. In termini assoluti, con il calo dei votanti dal 73% delle politiche 2018 al 56% di domenica scorsa, gli spostamenti risultano molto più contenuti. Il blocco di destra ottiene 13 milioni di voti contro i 12 milioni delle politiche 2018, con la Lega che passa da 5,7 a 9,1 milioni di voti, risucchiando consensi da Forza Italia, mentre Fratelli d’Italia aumenta i voti assoluti. Il Pd mantiene i suoi 6 milioni di voti. Sono i Cinque Stelle invece a perdere metà dei voti ottenuti l’anno scorso, sia verso l’astensione, sia verso la Lega. Due fatti sembrano dominare ora la politica italiana, vista nel quadro europeo. Il primo è il consolidamento di un blocco di destra con la leadership di Matteo Salvini. Si tratta di un vero blocco sociale fondato sulla combinazione di ‘paura e povertà’, già visibile nel voto alle politiche del 2018: la paura di perdere terreno, identità e futuro, e l’impoverimento che ha colpito il 90% degli italiani (http://sbilanciamoci.info/paura-poverta-litalia-del-voto/). Il blocco di destra ha trovato in Salvini il leader capace di dominare il discorso politico, occupare i media, alimentare il razzismo, costruire una vera egemonia politica nei confronti sia della coalizione di centro-destra che ha saputo mantenere intatta, sia dei Cinque Stelle – gli alleati di governo – che pur di restare in sella qualche mese in più saranno incapaci di rompere l’alleanza con Salvini e scegliere un’altra strada. Dal punto di vista dei contenuti il blocco di destra mantiene l’agenda lib-pop del governo giallo-verde, un miscuglio di liberismo – flat tax, deregolamentazione, condoni – e populismo nelle politiche sociali – quota 100 per le pensioni e reddito di cittadinanza, un’agenda che sa ottenere i consensi delle imprese e dei ‘perdenti’ delle periferie del paese (http://sbilanciamoci.info/lib-pop-un-governo-piu-neoliberale-populista/). E in Europa? Il voto europeo ha mostrato la forza del voto a destra, nazionalista e populista, ma si è ben lontani dal consolidarsi di un blocco di destra a scala europea, capace di cambiarne le politiche. Il blocco di destra governa in Italia, Polonia e Ungheria; è al primo posto nei consensi elettorali in Francia e Regno Unito, con il successo del Brexit Party, ma senza avere un impatto concreto sugli equilibri di governo di quei paesi. Ha un peso rilevante in Austria (dove l’estrema destra è stata messa fuori dal governo) e Belgio, e sembra essersi stabilizzato in una nicchia politica in Germania, Grecia, Spagna e nel nord Europa; in nessun paese esprime la capacità egemonica sul sistema politico e sulla società che troviamo in Italia, Polonia e Ungheria. All’interno del Consiglio europeo – dove siedono i governi – questi tre paesi non hanno peso nelle decisioni; Polonia e Ungheria sono stati messi sotto accusa più volte e l’Italia continuerà a restare ai margini. Nel Parlamento europeo il successo della destra è molto contenuto, passa dal 20 al 23% dei seggi, con i deputati divisi in due o tre gruppi politici, con rapporti molto difficili al loro interno. L’influenza della destra sulla politica europea sarà quindi limitata, coerentemente con l’enfasi sulla politica nazionale che guida tali formazioni politiche. Senza la forza di condizionare il Parlamento, le nomine dei vertici di Commissione e Banca Centrale europea, e tantomeno di cambiare le regole europee, la destra – soprattutto in Italia – ha molto attenuato i toni anti-Bruxelles che caratterizzavano la campagna elettorale e la formazione del governo un anno fa. Il blocco di destra tenterà soltanto di ottenere qualche margine di manovra in più sul piano economico, e c’è da aspettarsi che la nuova Commissione non vorrà andare allo scontro su questo. La politica europea così potrebbe continuare con il suo immobilismo, ad avere le élite e la finanza come stelle polari, mescolando all’agenda liberista qualche concessione sociale (http://sbilanciamoci.info/agitata-e-immobile-leuropa-di-melville/). Il secondo risultato delle elezioni europee è lo sgonfiarsi dell’equivoco populista. In Italia il collasso del voto ai Cinque Stelle riflette l’inconsistenza del loro progetto politico e l’incapacità nella gestione del governo. Lo spazio per una politica ‘populista’ che nega lo scontro ‘destra-sinistra’ si è ridotto drasticamente, confermando che un’agenda di quel tipo non è che l’anticamera dello spostamento a destra. I risultati delle elezioni europee tolgono spazio alle illusioni di costruire una declinazione di sinistra del populismo. In Spagna Unidos Podemos dimezza i seggi al Parlamento europeo, stretta tra la ripresa dei socialisti a scala nazionale e l’indipendentismo a Barcellona. A Parigi la France Insoumise di Mélenchon è ferma al 6,3%. Le altre forze di sinistra radicale in Grecia, Portogallo, Germania e nord Europa non si sono allontanate dal loro profilo di sinistra, con risultati alterni: Alexis Tsipras è sconfitto in Grecia, e ha convocato nuove elezioni; in Portogallo le formazioni di sinistra hanno sostenuto dall’esterno il governo socialista e mantengono i loro consensi; la Linke in Germania perde voti. Se consideriamo la forte caduta di quasi tutti i partiti socialdemocratici (con le eccezioni di Spagna, Olanda, Danimarca e qualche altro paese), è evidente il vuoto politico che si apre a sinistra in un contesto in cui l’asse destra-sinistra ritorna dominante. Che cosa resta allora della contrapposizione tra ‘alto’ e ‘basso’ che ha fatto tanto discutere in questi anni? Il blocco di destra ha saputo integrare l’ ‘alto’ delle élite economiche nazionali con il ‘basso’ del voto popolare. In ‘alto’, la rappresentanza politica delle élite europeiste assume nuove forme, al Parlamento europeo alcune forze del gruppo liberale compensano in parte le perdite di popolari e socialisti, come Macron in Francia che toglie voti a gollisti e socialisti. I socialdemocratici sono – come da due decenni – paralizzati di fronte alla scelta se collocarsi ‘in alto’ come partito delle élite europeiste sul modello di Macron, oppure tornare a un radicamento di classe ‘a sinistra’, che tolga spazio ed elettori ai populismi della destra. La sinistra radicale è troppo frammentata e fragile per occupare quello spazio. Il successo dei Verdi in alcuni paesi, Germania innanzi tutto, con il voto giovanile che li contraddistingue, sfugge per ora a una collocazione precisa, ma ha la potenzialità di rinnovare l’orizzonte e i contenuti di quella che chiamiamo ancora sinistra.