Gli operai metalmeccanici scioperano e il Segretario generale della CGIL Maurizio Landini sostiene di non escludere in futuro la proclamazione di una astensione generale dal lavoro. In ballo ci sono quasi 300.000 posti che, per via di una politica aziendale che vede nel primo rilevamento Istat del 2019 un calo del fatturato aziendale pari quasi all’1%: ciò significa che la compressione conseguente di salari e di impiego della forza-lavoro è destinato ad aumentare e che gli stessi numeri forniti dal sindacato in questi giorni sono da intendersi al ribasso. Calano le produzioni farmaceutiche (-9%) insieme a mezzi di trasporto e prodotti chimici. Anche la metallurgia non se la passa bene: la flessione è pari al 3,6%. Un crisi industriale che gli imprenditori attribuiscono parzialmente ad una riduzione dei consumi, visto che in settori come quello dell’informatica e della tecnologia casalinga invece la tendenza è esattamente il contrario e conosce una crescita che non accenna ad entrare in stallo: chi produce computer, telefoni ed elettrodomestici di qual si voglia natura vede il fatturato aumentare nel primo rilevamento annuale di un grasso +8,4%. Una crisi industriale, dunque, che aggredisce comparti di produzione che ripiegano più sul sociale: la riduzione della spesa pubblica in materia di sanità e i mancati investimenti per agevolare ricerche in campo medico, complicano una delicata situazione di tutto il settore che fa riferimento alle cure e all’assistenza.ù Ciò viene bene evidenziato non solo dal quotidiano di Confindustria ma anche da “La Stampa” che proprio oggi, in una analisi dettagliata dello stato del Servizio sanitario nazionale, mostra come tutta una serie di circostanze alimentate da politiche governative tese a privilegiare il privato, portino proprio i cittadini più indigenti ad una trascuratezza nelle cure (il calo di acquisto di medicinali rientra quindi in questo frangente), mentre chi può permetterselo fa riferimento sempre più a strutture private e tralascia le lunghissime attese per gli esami pubblici. I metalmeccanici quindi oggi scioperano per avere aumenti di salario, per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per capire quale futuro avranno gli oltre 150 tavoli di crisi aperti e che quale futuro attende gli operai che si trovano in mobilità, quelli che rischiano veramente di rimanere a casa da un giorno all’altro (parliamo di oltre 60.000 occupati). Eppure sembra che il governo “del popolo”, “del cambiamento” sia completamente sordo alle rivendicazioni di questi moderni proletari la cui stabilità o meno nelle aziende italiane è una parte imprescindibile e ineluttabile dello sviluppo dell’intera economia produttiva e del rilancio di una ricchezza nazionale che oggi diminuisce e che vede l’Europa, proprio a causa del possibile sforamento del tetto di contenimento del debito pubblico, iniziare le procedure per quella ormai celebre “procedura di infrazione” che si riverserebbe con conseguenze devastanti sulla vita dei salariati, dei disoccupati e dei precari, mentre andrebbe a lambire gli interessi immediati del mondo padronale italico. In tutti questi anni i capitalisti, crisi o non crisi, hanno accumulato ingenti ricchezze che custodiscono fuori dall’Italia, evitando così di ridare al fisco una parte di ciò che proprio all’erario avevano preso giovandosi di sgravi che sono sempre pronti ad essere concessi da qualunque esecutivo in nome del “benessere della nazione” (si traduca in “benessere e privilegio dei padroni”). Costruire una piattaforma di rivendicazioni di classe, per una classe lavoratrice che oggi si mostra tale in presenza soltanto della disperazione (che quindi ha smarrito la “coscienza per sé”) e che è priva di una unità politica di riferimento nonché, è bene non tacere questo aspetto, di un insieme di fattori culturali, sociali e morali che dovrebbero emergere proprio dalle condizioni di deprivazione delle elementari soddisfazioni di sufficienti bisogni per una quanto minima e decente vita (invece ci troviamo sempre davanti ad una costante riedizione della “sopravvivenza” spacciata come costante di un sistema che promette sempre in seguito la “ripresa economica” e vantaggi per tutti…), non parrebbe quasi possibile. Invece è necessario, se non altro per mostrare e dimostrare che una alternativa alle politiche confindustrial-governative deve esistere, altrimenti saremmo in presenza di una vera globale e assoluta passiva accettazione dello sfruttamento della forza-lavoro e, quindi, di una completa assenza di una benché pur minima coscienza se non di classe, almeno di “stato” della propria singolarità di vita. Serve subito un piano di aumenti salariali: un minimo di 200 euro in più in busta paga per tutti i lavoratori; misura che deve necessariamente essere accompagnata ad una drastica riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Si tratta di andare oltre la vecchia rivendicazione delle 35 ore per arrivare a 32 ore settimanali: proprio i numeri dei flussi di crisi che attraversano i poli capitalistici continentali ci dicono che non solo non c’è lavoro per tutti ma nemmeno per quella fondamentale base di supporto dell’industrialismo padronale che risulta essere il minimo indispensabile per la garanzia di una produzione che non perda terreno nel confronto concorrenziale con gli altri eguali settori esteri. Dalle parti del governo si afferma che una commistione tra interessi pubblici e privati dovrebbe poter ridare fiato alla “solidità” del debito pubblico (parliamo di 2.300 miliardi di euro…) in virtù di una alleanza tra risparmio finanziario e risparmio più semplicemente attribuibile alle famiglie italiane. Per “risparmio finanziario” possiamo anche leggere alla voce “accumulazione del profitto” e tradurre così in forma veritiera un concetto davvero borghese che vorrebbe farci credere che anche i padroni “risparmiano”: gli imprenditori, quando e se dopo aver usufruito di tutti i benefici di Stato (quindi pubblici) non falliscono per la loro troppa avidità di accumulazione e il loro poco investimento in mantenimento dell’azienda sul mercato per riqualificazione dei prodotti e ammodernamento di strutture, brevetti, ecc, sono i principali “risparmiatori” che non mettono però a disposizione del Paese i frutti del lavoro di altri (degli operai, degli sfruttati moderni). Spostano tutto in paradisi fiscali, quindi dall’Italia e dal sudore dei lavoratori prendono soltanto e non restituiscono quasi mai una briciola in cambio. Che si possa contare sul “risparmio finanziario”, come sostiene Savona facendo quasi una lezione di macroeconomia nella sua prima esposizione pubblica delle linee guida della Consob, è francamente auspicabile ma difficilmente praticabile. Per questo i lavoratori metalmeccanici sono costretti oggi allo sciopero in grandi città italiane e forse un domani a quello generale: perché non può esistere alleanza tra grande padronato e forza-lavoro degli sfruttati nel sorreggere una economia-Paese che finisce sempre e soltanto – per necessaria ispirazione di sistema – a vantaggio di quel 5% di straricchi che detiene il patrimonio del 90% più povero della popolazione. Se a livello mondiale sono 26 soltanto i mega-miliardari che posseggono più della metà della ricchezza del pianeta, in Italia il livello dell’aumento del divario tra grandissimi ricchi e milioni e milioni di poveri si allarga a dismisura. La produzione della ricchezza esiste: i soldi ci sono e ci sarebbero da redistribuire per tutti. Ma le politiche liberiste dei governi anche cosiddetti “del popolo” non lo potranno mai fare e comunque non lo consentirebbero qualora ne fossero anche in potere di farlo. Ecco perché la lotta di classe esiste anche se la si vede e si riconosce davvero poco. I metalmeccanici italiani oggi ci hanno dato la possibilità di ricordarcelo e di tenerlo bene a mente.