Perché il decreto bis sicurezza rende tutti insicuri e perché la cosiddetta opposizione non sembra rendersene conto
Nella piattaforma dei metalmeccanici non ce n’è traccia eppure il mantra di Matteo Salvini sulla sicurezza è anche un attacco diretto all’agibilità delle piazze e del conflitto sociale. Il decreto bis è stato appena approvato ma, da questo punto di vista, lo sciopero dei metalmeccanici è stata un’occasione persa di connettere le lotte con una parola d’ordine unificante: la libertà di movimento, lo stop agli abusi in divisa e alla violenza poliziesca che è direttamente proporzionale alla violenza dei dispositivi di sfruttamento. Cosa c’è di più sistematicamente violento del neoliberismo?
Multe salate alle navi che non rispettano il divieto di ingresso nelle acque territoriali, potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura, assunzione di 800 amministrativi per eseguire le sentenze penali, istituzione di un Fondo per i rimpatri di 2 milioni di euro, contrasto alle violenze in occasione di manifestazioni sportive ovvero estensione del Daspo. Le misure contenute nel decreto sicurezza bis approvato dal Consiglio dei ministri confermano che la repressione del conflitto, della dignità umana e degli stili di vita, la criminalizzazione della solidarietà sono elementi cardine della governance capitalista. La versione finale uscita da Palazzo Chigi è il frutto di numerose riscritture ma l’impianto autoritario e il disprezzo della libertà di movimento accomunano i due partner di governo, leghisti e pentastellati hanno la stessa concezione della democrazia. In particolare è stata cancellata la parola migranti nell’articolo 2 che introduce le multe alle navi. L’articolo 1 stabilisce che il ministero dell’Interno «può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale, per motivi di ordine e sicurezza pubblica», con l’accordo dei ministeri di Difesa e Infrastrutture ed informando il premier. L’articolo 2 fissa multe da 10mila a 50mila euro per il comandante della nave che non rispetta le norme. In caso di reiterazione del reato prevista la confisca della nave. La misura punta a colpire le navi delle ong che soccorrono i migranti. L’articolo 3 estende ai reati associativi di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, anche nelle ipotesi non aggravate, la competenza delle procure distrettuali antimafia. Indirettamente, la disposizione consente l’utilizzo in questi casi delle intercettazioni preventive. L’articolo 4 stanzia 3 milioni di euro nel triennio 2019-2021 per finanziare gli oneri connessi al potenziamento delle operazioni di polizia sotto copertura.
Il Viminale, suscitando l’entusiasmo dei sindacati di polizia abituali sostenitori di abusi in divisa, interviene anche a “maggiore tutela per gli operatori delle forze di polizia impiegati in servizio di ordine pubblico nel corso di pubbliche manifestazioni”. “Si introduce, poi, una nuova fattispecie delittuosa, che punisce chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, utilizza – in modo da creare concreto pericolo a persone o cose – razzi, fuochi artificiali, petardi od oggetti simili, nonché facendo ricorso a mazze, bastoni o altri oggetti contundenti o comunque atti ad offendere”. Arrivano le aggravanti: “Si aggravano le pene – si legge – qualora i reati siano commessi nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico”.
Altri articoli riguardano poi le manifestazioni sportive, da sempre laboratorio per la repressione, aumentando le pene per le condotte di violenza o minacce nei confronti degli arbitri, facendo diventare permanente la facoltà per le forze di polizia di procedere all’arresto fuori flagranza di chi abbia commesso reati con violenza alle persone o alle cose, colpendo con una sanzione amministrativa la vendita non autorizzata di biglietti per accedere alle manifestazioni sportive, anche se effettuata per via telematica.
Tutto ciò è stato ottenuto dal “Capitano” in cambio del ritiro degli emendamenti della Lega all’ambigua proposta bandiera di M5S sul salario minimo. Sullo sfondo della fase politica ci sono il primo voto di fiducia post-europee, sul decreto sblocca cantieri, la trattativa con l’Ue sui conti pubblici, la giustizia, l’autonomia, la flat tax e la Tav: tutto ciò che i decreti di Salvini contengono di perverso nei confronti dell’agibilità del conflitto si riverserà in primo luogo sul più longevo dei movimenti sociali, sulle vertenze in corso nei posti di lavoro, sulle lotte dell’autunno contro una manovra che si preannuncia da lacrime e sangue, a partire dalle equiparazioni del blocco stradale al sequestro di persona e dell’occupazione di luoghi in associazione a delinquere già fissate dal primo decreto. Salvini assicura che l’inasprimento delle pene per chi usi «razzi, petardi, mazze o bastoni» nelle manifestazioni non è «troppo repressivo» della libertà di pensiero perché non colpisce i cortei pacifici. Non solo. L’Italia, come sollecitato da Salvini, manda una dura lettera all’Onu che alla vigilia delle elezioni aveva bocciato proprio il decreto sicurezza bis: l’Italia difende in via «prioritaria» i diritti umani e la posizione Onu ha «un approccio inadeguato e di stupefacente ristrettezza mentale». Meno libertà per tutti, oscurantismo, torsione sicuritaria, razzismo. Esultano i sindacati gialli (ossia spalmati sul Viminale) e neri (spesso dichiaratamente fascistoidi), grandi e piccoli, dei corpi di polizia e, dalla sedicente opposizione piovono critiche solo sulla parte del decreto che criminalizza l’impegno umanitario e il salvataggio in mare, l’accentramento dei poteri sul Viminale in materia di migranti e acque territoriali. Segno che questa concezione autoritaria impregna anche il dna del Pd e delle grandi associazioni collaterali, le stesse che si sono fatte abbindolare all’epoca della scandalosa legge “per” la tortura di Renzi e Gentiloni. Invece il salto di qualità necessario sarebbe quello di assumere la lotta contro i decreti Salvini e quelli di Minniti-Orlando che hanno funzionato da battistrada come un pezzo della lotta di classe, come una delle possibili parole d’ordine unificanti – al pari delle campagne sulla riduzione d’orario a parità di salario, per l’annullamento del debito ecc… – da parte dei protagonisti delle varie tensioni che in questi mesi, comunque, hanno prodotto mobilitazione sociale, politica e culturale nel Paese, contro il fascismo, il razzismo, il sessismo, l’omofobia e, infine, la successione delle mobilitazioni sindacali che sembrano il preludio di uno sciopero generale contro una manovra che già si profila come l’ennesima operazione di macelleria sociale.