Col passare dei mesi, in mezzo e dentro ad una dialettica governativa a tratti tattica e a tratti veritiera, fenomeno delle contraddizioni che vivono le due forze che compongono l’esecutivo, si viene sempre meglio affinando il contorno che delinea l’impostazione ideale di una politica del consenso fondata su tematiche distraenti gli sfruttati tutti (lavoratori, precari, disoccupati a medio e lungo termine) dalle ragioni invece primarie di una tensione sociale e di classe mancante per poter adeguatamente affrontare gli effetti della crisi economica. I comunisti e la sinistra di alternativa hanno in questi mesi, diciamo pure anni, provato ad offrire un riflesso opposto a quello propagandato dal governo e dalle tre destre: tanto da quelle che hanno proposto impianti di intervento liberista nelle riforme economiche e, per acquisire consensi dalle fasce spaventate della popolazione, ricolme di disagio, debordanti di fobie e paure antisociali, xenofobe e razziste, le hanno affiancate a decreti sulla “sicurezza” interna ed esterna che hanno limitato la libertà in svariati modi. Partendo dal pericolo degli attentati fino ai flussi migratori, la sinistra si è dovuta distrarre dalle tematiche del lavoro e dello sfruttamento per fronteggiare a suo modo, del tutto insufficiente vista la portata eversiva degli sragionamenti di destra cresciuti a suon di menzogne spacciate per minacce imminenti reali e concrete (“l’invasione!”, “i terroristi arrivano sui barconi!”, ecc.), l’instaurazione di un sentimento comune che capovolge la storia solidaristica del dopoguerra, quindi la stessa Costituzione e i suoi princìpi fondamentali. Così come sono stati distratti i lavoratori, quindi gli sfruttati, dalle questioni concernenti la lotta contro il padronato e il ristabilimento di un fronte di diritti ineludibili e che si erano acquisiti con tanti decenni di lotte e avevano formato lo “stato-sociale” in Italia, altrettanto è stata deviata l’attenzione della sinistra (quindi non del PD che è parte integrante dell’”operazione distrazione“). La sinistra è stata costretta, quindi obbligata, a rincorrere la prosopopea neofascista e sovranista, mettendo al centro di ogni lotta e narrazione politica ciò che dovrebbe essere scontato, persino banale sul piano politico perché risalente alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino: l’umanità fondata su liberalissimi princìpi egualitari; l’antirazzismo come elemento acquisito di una moderna società sempre liberale; l’antifascismo come pietra miliare non aggirabile del patto costituente dell’Italia repubblicana. Il revisionismo politico e storico si è reciprocamente sostenuto per affiancare all’uguaglianza civile, civica e morale una anti-cultura che apparentemente accetta tutti questi cardini costrutti ma che, sottilmente, nei comizi elettorali e nelle dichiarazioni video con gabbiani protestatari al seguito, propone un sentimento peggiore del negativo concetto di “tolleranza”. Già di per sé la tolleranza è falsamente positiva. Ho avuto modo di scriverlo tante volte e lo ripeto anche qui: significa “Ci sei, ti tollero. Se non ci fossi, sarebbe meglio”. Quindi “tolleranza” non è “solidarietà”, accettazione dell’altro diverso da noi; semmai è mera sopportazione di un fatto, di una persona, di una situazione che si viene a creare e che non vorremmo fosse reale, concreta e quindi parte della nostra vita contingente. Mai come in questa fase “sovranista” (quindi neofascista) è necessario per le forze progressiste e anticapitaliste rimettere al centro della propria “narrazione” il lavoro mostrando il volto dello sfruttamento che invece chi governa (e anche chi sta all’opposizione) vorrebbe celare dietro la modernizzazione come nuovo, ennesimo limitare della storia di una umanità che, al massimo, può un poco correggere gli eccessi del regime dei padroni ma che deve scordarsi, togliersi completamente dalla mente di poterlo rovesciare. Alla lotta di classe, lavoratori (quindi sfruttati) contro gli imprenditori (quindi i padroni, quindi gli sfruttatori), è stata abilmente sostituita – con un meticoloso lavoro di rendere reale ciò che invece è una semplice illusione ottica – la lotta all’interno della stessa classe sociale. Se si vuole semplificare, si può dire che i ricchi, i privilegiati sono riusciti a dividere i poveri e farne ancora una volta una massa divisa da contrasti etnici, riproponendo un nazionalismo che dovrebbe proteggere la patria dal nemico invasore, dallo straniero, dal diverso: in questo senso la torsione a destra di mezzo mondo è cominciata quando si sono finanziate e sostenute le azioni terroristiche da parte di organizzazioni come Al Qaida, come il Daesh, abbondantemente finanziate da paesi noti per il loro ruolo egemone nello scacchiere internazionale e interessati soltanto ad una espansione imperialista ulteriore, quindi ad un accrescimento della loro forza tanto economica quanto militare. E’ molto complicato far cambiare direzione alla storia: solitamente ci riescono solo le rivoluzioni che crescono grazie all’impulso della disperazione dei popoli. Questa disperazione può prendere due strade: quella sostenuta da chi vuole elevare il pubblico sul privato oppure quella portata avanti da chi vuole accrescere il consenso politico mantenendo lo status quo e anzi, facendo finta di essere “governo del popolo”, tutelare ancora di più i privilegi del padronato, della classe dominante, cioè della classe che detiene il vero potere: quello economico. Non dobbiamo dunque nasconderci le difficoltà, ma dobbiamo però essere consapevoli che per superarle serve mettere nuovamente al centro del nostro agire e soprattutto del nostro pensare il lavoro che è, per sua natura nel capitalismo, l’elemento chiave su cui si sviluppano tutti i privilegi e le appropriazioni indebite dei padroni ma su cui fanno perno anche le contraddizioni inevitabili che il sistema delle merci e dello sfruttamento si deve trascinare appresso. Prima fra tutte l’accumulazione del profitto e la generazione di una disoccupazione irriducibile allo zero. Pensare, riflettere, studiare, ricominciare a considerare i fatti e lasciare indietro le ipotesi. Dobbiamo ritornare ad una analisi scientifica delle dinamiche sociali e smetterla di rincorrere le destre sul terreno in cui ci vogliono trascinare e farci impaludare. Certo che dobbiamo anche rivendicare l’umanità di un governo, per quanto espressione dei poteri economici padroni della società. Ma dobbiamo unire l’essere umani all’essere sociale che ciò deve comprendere pienamente: non si può avere dignità di essere umano senza avere la dignità di una vita priva di sfruttamento e di alienazione mentre si pensa di assolvere il proprio “lavoro”. In sostanza, dobbiamo rialfabetizzarci e conoscere le cause dei processi economici per arrivare ad una concreta e scientifica analisi degli gli effetti al fine di poter poi elaborare una politica della sinistra in merito, partendo dal presupposto che non esiste una classifica possibile dei diritti, divisibili in maggiori e minori a seconda se sono sociali o civili. Tutti i diritti si tengono insieme e lo scemare di uno solo di essi provoca un effetto valanga nei confronti degli altri: in poche parole, laddove si apre un vulnus nella rete delle protezioni sociali e laddove si attacca anche il diritto civile considerato meno incisivo nella qualità della vita quotidiana, lì si apre una breccia per un inserimento tanto dei moderni populismi quando dei sovranismi neofascisti che ottengono una cassa di risonanza enorme rispetto alle loro reali dimensioni che, pure, sono pantagrueliche rispetto al recente passato in cui parevano in disgrazia per via dei guai giudiziari, dei 49 milioni e via di seguito. La sinistra deve però rendersi edotta e consapevole del fatto che è dall’”essere sociale” dell’individuo che si determinano tutte le altre contraddizioni che il sistema delle merci e dello sfruttamento si porta appresso. Per questo, tutti i diritti sono uguali e rimangono tali; allo stesso tempo la cultura della sinistra, dell’anticapitalismo deve fondarsi sulle rivendicazioni dei bisogni materiali: senza questa impostazione è difficile ridare senso alla lotta, ridare coscienza ai moderni sfruttati, salariati, precari o disoccupati che siano.